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L'architettura armena tra oriente ed occidente
Adriano Alpago Novello

Da un punto di vista strettamente geografico e rispetto all’Europa, l’Armenia è senz’altro una regione orientale, facendo parte, come si sa, del continente asiatico: ma la sua particolare collocazione territoriale fa sì che il paese sia sempre stato una specie di passaggio obbligato tra est ed ovest, un ponte tra i due continenti, insomma un vero e proprio “crocicchio della storia”.

 

Le vicende della sua gente d’altronde sono estremamente significative a questo proposito, testimoniando da sempre una continua alternanza di contatti e di fratture, di alleanze e di guerre, d’incontri e di scontri tra il piccolo popolo degli Armeni e i più grandi, numericamente e politicamente, vicini, sia d’oriente che d’occidente.

Se da una parte questa situazione d’instabilità e di fluttuazione dei punti di riferimento, anche sotto l’aspetto culturale, può apparire mortificante o “qualunquista”, dall’altra ha anche rappresentato una straordinaria possibilità-necessità di arricchimento, di esperienze sempre rinnovantisi, in sostanza di stimolo a non adagiarsi o ad accettare situazioni precostituite, ma piuttosto ha “costretto“ la cultura armena ad una continua serie di nuove esperienze, ma anche di verifiche e di controlli per evitare il pericolo dell’assimilazione.

Si ricordi che poi i rapporti oriente-occidente (e viceversa) assumono una latitudine assai maggiore di quanto risulti dai semplici scambi con i popoli immediatamente limitrofi essendo l’Armenia quel ricordato punto d’incontro sia delle carovane (e degli invasori) provenienti anche dall’estremo oriente (Steppe-Cina-India), sia degli interessi mercantili (e politici) delle diverse potenze europee d’occidente: si pensi ai commerci facenti capo alle città marinare, come Venezia, Genova, Marsiglia (cfr. A. Alpago-Novello, “L’Armenia all’epoca di Marco Polo”, in Marco Polo, Venezia e l’oriente, Milano 1981).

Il tenace attaccamento poi alla religione cristiana, testimoniato in modo quasi ossessivo dalle migliaia di croci erette o incise dappertutto e per ogni circostanza sul territorio e dalla straordinaria fioritura di edifici sacri, diventa non sola scelta spirituale, ma elemento caratterizzante la propria identità, simbolo di sopravvivenza, persino fisica, del popolo.

Così l’Armenia, circondata da non cristiani (anche il grande mondo greco bizantino appare, con la scissione da Roma, in sostanza “infedele”) diventa l’avamposto orientale della cristianità. Abbastanza significativa, anche se ancora da chiarire sotto il profilo scientifico, è la possibile analogia con l’area copta d’Etiopia, pure punta avanzata della cristianità, in un territorio d’altopiano, con scelte di fondo singolarmente simili: chiesa autocefala, di tendenza monofisita, architetture “monolitiche”, spesso scavate, culto di una Santa Ripsima - in Armenia Hripsimé - uso dei “rotoli” di preghiera,... (Si veda in proposito, ad esempio Salé, i Copti e gli Armeni, Modena 1970).

Questa particolare collocazione geo-politica di frontiera, spiega ad esempio i significativi rapporti intercorsi tra Europa ed Armenia all’epoca delle Crociate, anche favoriti dall’affaccio sul Mediterraneo del piccolo regno armeno di Cilicia. Si tratta di un periodo di contatti particolarmente fecondi anche sul piano architettonico: i Crociati si appoggiarono senz’altro alla tradizionale capacità dei maestri costruttori armeni, che a loro volta paiono far proprie esperienze occidentali, soprattutto nel campo dell’architettura militare. Non è certo un caso che il papa Gregorio XIII riconosca che nessun’altra nazione ha tanto aiutato le Crociate come l’Armenia; (tra i tanti riferimenti bibliografici si veda utilmente: A. Berkian Armenischer Wehrbau in Mittelalter, Darmstadt 1976, Boase (e AA.VV.), The Cilician Kingdom of Armenia, Edinburgh-London 1978).

Le tormentate vicende storiche del paese, continuamente invaso, oltre alle ricordate capacità di “scambio” del popolo (che spesso si traducono in una particolarmente qualificata attività mercantile) favoriscono le migrazioni, anche in paesi lontani. Si tratta di una diaspora imponente che però non pare essere stata solo fattore negativo, ma che in qualche modo, dato il tenacissimo attaccamento alla propria terra e alle proprie origini, ha provocato di riflesso e di ritorno un accrescimento di esperienze anche sotto l’aspetto culturale.

L’Armenia ed il suo territorio, e in particolare il suo Popolo, compaiono frequentemente nelle descrizioni e nei riferimenti di commercianti e viaggiatori dal periodo medioevale (Marco Polo, Storia delle Crociate,...) e anche poi in relazione al diffondersi progressivo in Europa della “moda” dei viaggi in oriente, da parte non solo di mercanti ma anche, sempre più, di eruditi, letterati, religiosi, scienziati (soprattutto geografi etnografi, poi anche storici e storici dell’arte). Notevole importanza ad esempio riveste nel XVII secolo la corte dei re Safavidi di lsfahan, in Iran, città in cui la grossa colonia armena non poco ha contribuito allo scambio reciproco sul piano culturale. Si ricordi che le chiese della Nuova Giulfa sono “persiane” sotto l’aspetto architettonico, ma decorate con affreschi secondo la tradizione (e da artisti) di occidente.
Molto significativi a questo proposito sono i resoconti di Pietro della Valle (1617), Jean de Thévenot (1664), John Chardin (1666), Tavernier (1677), come anche le Lettres Persanes di Montesquieu (1721). (per la presenza armena a lsfahan in modo più specifico si veda: Carswell, New Julfa, the Armenian Churches and Others Buildings, Oxford 1968).

Tuttavia, mentre s’intensificano i rapporti e la conoscenza reciproca tra Est ed Ovest, per motivi d’ordine geografico (si tratta di territorio meno facilmente raggiungibile, soprattutto per le regioni più impervie) e forse per una certa diffidenza sempre crescente nel mondo armeno anche a seguito dell’opera di proselitismo (spesso di taglio “colonialistico”) dei missionari europei e per il progressivo declino delle sue fortune politiche, l’Armenia sembra passare un po' in secondo piano, per esempio nei confronti della vicina Georgia. Significative a questo proposito sono le rispettive “voci” della prima grande Encyclopédie di Diderot, D’Alembert, Voltaire (fine XVIII secolo).

Sembra calare così una sorta di oblio sull’Armenia, considerata spesso popolo di pastori nomadi o in modo generico area “provinciale” del multiforme e composito mondo.

La “riscoperta” dell’Armenia, in particolare della sua architettura, avviene in sostanza nei primi decenni del XX secolo, ad opera dello studioso austriaco Josef Strzygowski che raccoglie (Die Baukuns der Armenier und Europa, Wien 1918) e diffonde in modo sistematico il paziente lavoro di analisi e di ricerca del meno noto studioso armeno T’oros T’oramanian. Sono ben note le teorie dello Strzygowski, esplicate quasi a livello di “manifesto” in uno dei primi saggi Orient oder Rom, Leipzig 1901, in cui si tende a rovesciare le teorie europee sull’origine e gli sviluppi dell’arte e dell’architettura alto medievali e medioevali, (arrivando perfino al Rinascimento) da una comune matrice romana, per proporre un ‘origine orientale, mediata dalle esperienze armene (cfr. Origin of Christian Church-Art, Oxford 1923). Le suggestive ipotesi del professore viennese, se oggi sono da considerarsi in parte superate, hanno però avuto il grosso merito di riaprire un dibattito ed avviare un rinnovato interesse per un settore di studi abbastanza trascurato. Tra i decisi oppositori delle posizioni dello Strzygowski (cui invece sono abbastanza vicini Dalton, East Christian Art, Oxford 1925, e Baltrusaitis, Le probleme de l’ogive et l’Armenie, Paris 1936 e l’eglise cloìsonnee en Orient et en Occicient, Paris 1941) bisogna segnalare Rivoira che affronta il problema armeno, significativamente, in un saggio dedicato all’Architettura musulmana (Milano 1914).

È interessante ricordare alcune conclusioni dell’autore che riporta a “guisa di appendice”, un breve stringente esame di talune tra le più importanti fabbriche religiose dell’Armenia, tanto poco conosciute e pur così interessanti. Esame destinato ad accertare se e quali influenze simili fabbriche esercitassero sulle antiche architetture così musulmane come cristiane” (Prefazione, pagina VIII), per concludere poi che le “caratteristiche fabbriche religiose dell’Armenia, alle quali viene talora conferita un’immeritata vecchiaia, traendone poscia ipotetiche origini ed influenze...quando nei loro veri anni possono sfoggiare indubbie ed eminenti qualità costituiscono uno stile vero e proprio. Uno stile che...è la più alta espressione di un popolo piccolo di numero, ma che riassume nella fede dei padri ogni migliore sentimento, uno stile che nell’adozione di una planimetria romana, oppure romano-bizantina addita da un canto l’attingere ad edifizi dei Romani, e dall’altro le relazioni degli Armeni con l’impero greco. Nelle varianti però e nelle novità introdottevi, palesa la gelosa cura di non essere dei Bizantini pedissequi e tanto meno soggetti” (p. 189). Non è più il caso oggi di insistere sul “bisticcio” delle origini dell’arte cristiana, né cavillare su problemi delle datazioni dei singoli monumenti che talora, per miope provincialismo, si tende ad anticipare o ritardare. Si vedano utilmente, a questo proposito i vari saggi di Jakobson, tradotti i in Miscellanea. Ricerche sull’architettura armena, vo l. 25, Milano 1986. Mentre la disputa nei decenni scorsi tra l’altro avveniva spesso senza la conoscenza diretta dei monumenti armeni (e delle culture limitrofe) o (peggio!) tenendo conto delle sole planimetrie o dei particolari decorativi, la serie rinnovata di studi analitici e sistematici condotti sia da studiosi europei che dai ricercatori locali, permette in modo più equilibrato di vedere come la cultura armena si ponga in funzione di “ponte” tra oriente ed occidente, con una spiccata tendenza, soprattutto in architettura, verso l’occidente; “intermédiaire entre les peuples asiatiques et méditerranéens, l’Arménie est plus proche par sa culture sa religion et ses origines mème, de l’Occident qùelle ne l’est de l’Orient. La tradition d’architecture, en Arménie, place, de façon surprenante, ce pays aux origines mèmes de l’art roman européen” (Der Nersessian, L’Art Arménien, 1977), saltando praticamente (o meglio sostanzialmente rifiutando) le esperienze e la mediazione “bizantina”. “En définitive une étude attentive des monuments artistiques arméniens montre que Ìinfluence byzantine en Arménie a été faible et punctuelle et il semble bien qùinversement le rôle de l’Arménie dans la genèse de l’art byzantin ci sur son développement soit tout aussi faible. Les analogies qùils présentent viennent de leur fond commun. Ils ont la ressemblance que peuvent avoir deux cousins, ni plus ni moins" (Thierry, «Les influences byzantines sur l’art arménien», in XVI Internationaler Byzanhinistenkongress Akten, II/5, Wien 1982, pp. 237-242).

ARMENIAN COMMUNITES OF IRAN TO BE FEATURED IN NEXT UCLA CONFERENCE, MAY 14-16.

UCLA—The fourteenth in the UCLA International Conference series on Historic Armenian Cities and Provinces will feature the colorful history and culture of the Armenian communities of Iran from ancient to modern times. The conference, to be held in Glendale and on the UCLA campus from Friday evening to Sunday afternoon, May 14-16, will bring together scholars from Armenia, Cyprus, Germany, Great Britain, Iran, Italy, and various parts of the United States. The opening session in Armenian will be held on Friday evening, May 14, from 7:30 to 10:00, in the Glendale Presbyterian Church at the corner of Louise and Harvard Streets in Glendale and will include illustrated lectures by Armen Hakhnazarian (Germany and Armenia), Ani Babayan (Isfahan/New Julfa, Iran), Onnik Hairapetian (Glendale and Mashdotz Colleges), and Gohar Avagian (Historical Archives, Armenia).


THE MONASTERY OF SURB STEPANOS

The Saturday sessions on May 15 from 9:30 a.m. to 5:30 p.m. will be held on the UCLA campus, in Court of Sciences 50 (Young Hall), and will be conducted in English. The presentations will focus on the political, cultural and literary, economic, and social history of the Armenians of Iran or Persia. Speakers include Richard Hovannisian (UCLA), A.E. Redgate (Newcastle, England), Peter Cowe (UCLA), Hovann Simonian (USC), Thomas Sinclair University of Cyprus), Gabriella Uluhogian (Bologna University, Italy), Vazken Ghougassian (Eastern Prelacy, New York), Rubina Peroomian (UCLA), Houri Berberian (California State University, Long Beach), Rose Marie Cohen (Los Angeles), Gayane Hagopian (UCLA), Anahid Keshishian (UCLA), Bert Vaux (University of Wisconsin-Milwaukee).

The Sunday afternoon sessions on May 16 from 1:30 to 5:30 will be in Armenian and in English with presentations by Armen Ter Stepanyan (Matenadaran, Armenia), Armen Hakhnazarian (Germany and Armenia), Artsvi Bskhchinyan (Armenia), Samvel Stepanian (Glendale), Aida Avanessian (Tehran, Iran), Claudia Mardirossian (UCLA), and Anny Bakalian (New York University). As in all previous conferences, a photographic exhibit will be mounted by Richard and Anne Elizabeth Elbrecht of Davis, California.


THE MONASTERY OF DZORDZOR

The conference is organized by Professor Richard G. Hovannisian, Holder of the Armenian Educational Foundation Chair in Modern Armenian History at UCLA, and is co-sponsored by the Armenian Society (Iranahay Miutiun) of Los Angeles and the UCLA International Institute, G.E. von Grunebaum Center for Near Eastern Studies, and the Center for European and Russian Studies.

All proceedings are open to the public at no charge. Parking on the UCLA campus is in Parking Structure 2, entrance from Hilgard Avenue at Westholme. The conference program may be viewed at www.uclaarmenian.org and Professor Hovannisian may be contacted by e-mail at Hovannis@history.ucla.edu.