programma di febbraio 2016 milano
programma di febbraio 2016
mercoledì 3 h. 19.00
Antonia Arslan, Alessandro Litta Modignani
e Vittorio Robiati Bendaud
presentano:
Haigaz chiamava " Mikael...Mikael..."
Armenia 1915 Una testimonianza
a cura di Alessandro Litta Modignani
postfazione di David Meghnagi
Armenia, 1915.
Un adolescente viene strappato ai libri di scuola per vivere la deportazione di massa del suo popolo. Approfittando dello stato di guerra, in nome di una Turchia “panturca”, il governo mette in atto il genocidio del popolo armeno. Il giovane ragazzo, sopravvissuto miracolosamente ai massacri, manterrà la promessa fatta ai genitori e diverrà un medico.
Dopo aver vissuto e patito di persona le sofferenze, gli orrori e ogni sorta di atrocità,
Michel Mikaelian rende con questo libro la sua testimonianza autentica del genocidio degli Armeni. Non dimenticherà la madre morta, distesa all’ombra di un piccolo arbusto nel deserto; portandosi dentro il senso di colpa per avere abbandonato lungo un sentiero selvaggio, senza voltarsi, il suo fratellino Haigaz.
e il volume
Pro Armenia
Voci ebraiche sul genocidio armeno
a cura di Fulvio Cortesi e Francesco Berti
prefazione di Antonia Arslan
Ho letto questo libro d’un fiato, imparando molte cose, commuovendomi, partecipando, confrontando idee e sensazioni.
Ho amato i personaggi che mi sfilavano davanti, seguito il procedere dei loro passi e dei loro pensieri, delle loro angoscianti esperienze, della loro risoluta volontà di testimoniare. Ma questo non è un romanzo: è una storia di armeni e di ebrei.
Sono qui raccolte le parole, le descrizioni, le impressioni, il grido di dolore di alcuni degli ebrei che hanno seguito in prima persona il procedere del genocidio armeno, e hanno vissuto da vicino quei mesi e quegli anni terribili, spesso in posizioni privilegiate di osservazione.
Antonia Arslan
Quattro testimonianze sul genocidio armeno che ne ricostruiscono la storia, ne chiariscono le peculiarità e ne descrivono gli orrori denunciando le responsabilità con il coraggio di chi non rimane in silenzio davanti all’umanità calpestata e l’indignazione di chi vede il mondo restare inerme se non indifferente davanti al crimine.
Segue rinfresco
sabato 6 h. 18.00
Concerti dell' Associazione musicale Kreisleriana dedicati a Debussy
Introduzione del musicologo Danilo Faravelli
Stefania Redaelli, pianoforte
Stefano Sardo, voce recitante
Children' s Corne
domenica 7 h. 17.00
Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno
Nel 1939, poco prima dell'invasione della Polonia,Adolf Hitler tenne un discorso al comando delle SS, in cui ordinò come procedere per la "soluzione finale" e lo sterminio degli ebrei attraverso un universo concentrazionario fatto di sangue e orrore. Quando qualcuno dalla platea gli fece notare che sterminare milioni di ebrei non sarebbe passato inosservato, Hitler rispose: "Chi si ricorda oggi dello sterminio degli armeni?". Anche in questo Hitler è stato sconfitto. Non si può cancellare un popolo né la sua memoria. E a mantenere vivo il ricordo del genocidio armeno per primi sono stati proprio quattro ebrei.
"Armeni, fratelli miei, è un ebreo che vi sta parlando...". Nel giorno della Memoria che ricorda l'Olocausto degli ebrei nella Germania nazista della Seconda guerra mondiale e a settanta anni dalla liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, la casa editrice La Giuntina dà alle stampe Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno, un libro toccante e coraggioso a cura di Fulvio Cortese e Francesco Berti, che racconta dello sterminio degli armeni per mano dei Giovani turchi nel 1915.
Toccante perché le voci narranti di Metz Yeghern, il Grande male come lo chiamano gli armeni, sono quelle di quattro ebrei. Coraggioso perché, a distanza di cento anni dal massacro degli armeni, il loro genocidio è ancora negato dai carnefici. Nessuna traccia sui libri di scuola di tanti Paesi europei, nessuna traccia nei libri di scuola della Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan.
E, a quanto sembra, nessuno traccia nemmeno nelle commemorazioni che si terranno il 24 aprile a Berlino, visto che il ministro degli Esteri tedesco, Frank Walter Steinmeir, ha recentemente dichiarato che "Il governo (tedesco) è informato delle iniziative programmate dalle comunità armene per il centenario degli eventi del 1915. Ma al momento non è previsto il patrocinio queste iniziative". Rispondendo nel Bundestag a una serie di domande dei deputati di Die Linke, il capo della Diplomazia tedesca ha detto che non c'è "certezza storica" del genocidio armeno e che, per questo, la questione va risolta tra Turchia e Armenia. .
Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno è un volume che gronda sangue e memoria. La prefazione di Antonia Arslan squarcia il velo di racconti serrati e tragici. Le parole di Lewis Einstein, André Mandelstam, Aaron Aaronsohn eRapahel Lemkin rievocano un genocidio fantasma, che aleggia sull'Europa e la cui testimonianza impone una doverosa riflessione. Il racconto in tempo reale di questi quattro ebrei è ancora più significativo perché Einstein, Mandelstam, Aaronsohn e Lemnkin furono tra le poche voci a cercare di portare all'attenzione del mondo quello che nel 1915 stava succedendo in Turchia. All'epoca i tedeschi erano a conoscenza e non fecero nulla per fermare l'eccidio, rendendosi storicamente complici dei Giovani turchi e del massacro di più di 1 milione e mezzo di armeni.
Sfilano nelle pagine di Pro Armenia le immagini di madri, padri, bambini, anziani, ragazzi e ragazze, un intero popolo sterminato, cacciato dalle proprie case, umiliato, offeso, torturato. I vagoni merce che trasportavano gli armeni a morire nel deserto non erano marchiati dalla svastica del Terzo Reich, ma dalla Mezzalunadell'impero ottomano, tuttora nella bandiera della Repubblica turca. Immagini di morte e disperazione in bianco e nero, che prendono corpo e vita, che respirano plasticamente attraverso il racconto di chi c'era e ha provato a salvarli.
Quattro uomini giusti, quattro ebrei. Furono tra i pochi a squarciare il velo dell'indifferenza su un genocidio che era il tragico antipasto della mattanza ebraica cui il mondo avrebbe assistito solo un pugno di anni dopo. Le quattro voci dei "fratelli" ebrei degli armeni provarono a lanciare l'allarme, tentatono di fermare l'eccidio in una disperata corsa contro il tempo. Ma la comunità internazionale colpevolmente volse lo sguardo altrove.
Oggi, a cento anni dal genocidio armeno, non è più possibile chiudere gli occhi e - anzi - è un dovere tenerli bene aperti. Perché, se - come dice Elie Wiesel - l'ultimo atto di un genocidio è la sua negazione, la demonizzazione dell'altro, l'antisemitismo e l'armenofobia galoppante, alimentata negli ultimi anni sia dall'Azerbaijan che dalla Turchia, è il segnale che un nuovo genocidio potrebbe ancora compiersi, perché laddove non esiste "memoria", il Grande male può nuovamente affilare i suoi artigli.
Ebrei ed armeni, uniti nella memoria e nella condivisione di un passato di morte e di una ferita lacerante che si riapre ogni volta che la comunità ebraica e quella armena entrano nel mirino di antisemiti e armenofobi. Non è casuale che nel giorno della memoria dellaShoah il presidente armeno Serzh Sargsyan abbia indirizzato alla comunità ebraica mondiale un discorso, dicendo che "E’ verità incontestabile che relegare le vittime di genocidi all’oblio e al negazionismo, soprattutto se di Stato, rappresenti un altro passo dello stesso crimine. E si tratta di un doppio crimine perché viene commesso non solo contro delle vittime innocenti ma anche contro il nostro presente ed il nostro futuro".
Ma c'è una speranza. In un'Europa segnata da un antisemitismocrescente, la Fondazione per la Memoria della Shoah e laFondazione per l'Innovazione politica, hanno diffuso i risultati di una ricerca sulla "Memoria nel Ventesimo secolo". Un'inchiesta condotta su 31.172 giovani tra i 16 e i 29 anni in 24 Paesi del mondo. Il 77% dei giovani intervistati crede che nel 1915 in Turchia andò in scena il genocidio degli armeni. E in Italia i numeri sono addirittura più alti. Nonostante il silenzio dei libri di Storia, l'87% dei ragazzi italiani interpellati non ha dubbi nel dire che quello degli armeni fu un genocidio.
Alla faccia di Hitler e delle sue convinzioni assassine, la Storia ha già parlato. E questo vale per gli ebrei, per gli armeni e per i ruandesi. I tre popoli che nel Ventesimo secolo hanno attraversato l'inferno del genocidio e ne custodiscono la memoria, tramandandola affinché non succeda mai più. Anna Mazzone
a cura di Fulvio Cortese e Francesco Berti
Prefazione di Antonia Arslan
Edizioni La Giuntina
Pro Armenia - Giulio Meotti - Il Foglio
“Chi mai si ricorda dei massacri degli armeni?”, diceva Hitler nel 1939 nel preparare l’Olocausto. “ La Germania ha pochi nemici interni, ma posto il caso che in altre circostanze ne avesse, supponiamo franco-alsaziani o ebrei, non approverebbe allora qualsiasi mezzo per liberarsi del nemico interno quando già si è assediati da nemici esterni? Giudicherebbe crudeli le persecuzioni?”, diceva un carnefice turco a un filantropo tedesco che gli rimproverava la strage degli armeni nel romanzo di Franz Werfel “I quaranta giorni del Mussa Dagh”, scritto nel 1929 e pubblicato nel 1934. I tedeschi chiusero effettivamente entrambi gli occhi su quello che stavano facendo i loro alleati turchi, e finirono per superarli in ferocia. Ma non c’è solo un legame simbolico tra il genocidio armeno durante la Prima guerra mondiale e il genocidio ebraico durante la seconda. La casa editrice di cultura ebraica Giuntina nel centenario del genocidio armeno, pubblica le testimonianze d’epoca di quattro ebrei(con la prefazione di Antonia Arslan, scrittrice italiana di origine armena che ha dedicato alla storia dei suoi familiari all’epoca della strage romanzi famosi come “La masseria delle allodole”). Quei quattro testimoni raccolsero notizie di prima mano e denunciarono subito i massacri, forti di una sensibilità da minoranza che in passato era stata più volte colpita dai pogrom, e che di lì a pochi anni sarebbe tornata a conoscere un’altra immane strage, la più grave di tutti. I quattro testimoni si chiamano Lewis Einstein, André Mandelstam, Aaron Aarondohn e Raphael Lemkin. Einstein, che scrive dei massacri armeni sulla Contemporary Review del primo gennaio 1917, era segretario di legazione nell’ambasciata degli Stati Uniti a Costantinopoli. Diplomatico era anche André Mandelstam, segretario dell’ambasciata russa prima della dichiarazione di guerra. Dopo la rivoluzione d’ottobre sarebbe andato in esilio a Parigi, divenendo un insigne esperto di diritto internazionale. Lì, nel 1948, pubblica un testo intitolato “La Turchia”, in cui ricostruisce il contesto in cui il genocidio armeno è maturato e perora la causa dell’autodeterminzione delle etnie non turche dell’impero ottomano, anche nell’interesse di una “rigenerazione” dello stesso popolo turco. Aaronsohn, pioniere sionista di origini romene e studi francesi (agronomo famoso, scoprì il farro selvatico) aveva fondato un gruppo di intelligence che collaborava con gli alleati. Proprio basandosi sulle informazioni raccolte in questa veste, il 16 novembre del 1916 presentò al ministero della Guerra britannico un memorandum intitolato “Pro Armenia”. Lemkin, il più famoso fu un linguista e giurista ebreo polacco. Nel 1921 aveva letto i resoconti giornalistici del processo tenutosi a Berlino a carico del giovane armeno Soghomon Tehlirian, accusato di aver ucciso l’ex ministro dell’interno ottomano, Mehmet Talaat, uno dei più zelanti ispiratori dell’eliminazione degli armeni. Sarà Lemkin nel 1933, pensando proprio all’esperienza degli armeni e degli assiri dell’Iraq, a proporre per primo il concetto di “genocidio”. In questo libro è riportato il suo impressionante promemoria sul Metz Yeghern, “Grande male” (così gli armeni chiamano la strage avvenuta tra il 1915 e il 1916). Scampato ai nazisti, Raphael Lemkin diventerà docente universitario in America, altre che consigliere del Giudice di corte suprema che sarà titolare della pubblica accusa a Norimberga. I curatori di “Pro Armenia”, Fulvio Cortese e Francesco Berti, docenti universitari rispettivamente a Trento e a Padova, nella postfazione ricordano l’importanza di queste “voci ebraiche sul genocidio armeno” per constatare come di quegli eventi si potesse sapere tutto già ai tempi in cui venivano consumati.
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marina Mavian