L'eliminazione
programmata degli
Armeni dall'altopiano anatolico
da
La Gazzetta del Mezzogiorno del 28-2-06
L'eliminazione
programmata degli Armeni dall'altopiano anatolico, dove vivevano
da millenni, operazione iniziata nell'aprile del 1915 e condotta
con grande sistematicità dalle autorità turche, costituì
il primo genocidio della storia del XX secolo. Eppure la vicenda
è ancora considerata un tabù in Turchia: come dimostra
il processo intentato allo scrittore Orhan Pamuk, che in una intervista
rilasciata in Svizzera aveva ammesso la necessità che la
Turchia riconoscesse questa sua triste pagina storica. «Il
crimine di lesa umanità perpetrato dai turchi» fu riconosciuto
dalle potenze alleate, che sin dal maggio del 1915 individuarono
le responsabilità del governo turco nelle deportazioni e
nei massacri della minoranza armena. Tuttavia le richieste di istituire
tribunali alleati previsti dai trattati di pace del 1920, di fatto
furono vanificati per l'ondata di acceso nazionalismo dei seguaci
di Mustafà Kemal, che dopo l'ascesa al potere nel 1921 invalidarono
tutte le decisioni assunte anche dalla giustizia turca ed elaborarono
una tesi che attribuiva «tutte le responsabilità di
tutte le calamità cui gli armeni furono esposti nell'impero
ottomano agli stessi armeni e ai loro intrighi». Uno degli
aspetti più sconcertanti dell' oblio del primo sterminio
di massa del secolo scorso è individuabile nella decisione
delle autorità ufficiali della Turchia negli anni Sessanta
di alimentare una storiografia negazionista. Ha fatto discutere
anche la tesi di uno storico britannico, Bernard Lewis, noto per
«il suo atteggiamento filoturco», il quale ha escluso
«l'intenzionalità» genocida nelle operazioni
di deportazione che provocarono oltre un milione di vittime.
Senza
contare la gran massa degli esuli e fuorusciti, che si riversarono
in Europa e in America. Una consistente esodo interessò anche
il Sud d'Italia, con gruppi di Armeni accolti - anche se non sempre
a braccia aperte - in Puglia (tra questi il poeta Hrand Nazariantz,
tanti anni dopo candidato al premio Nobel). Senza risposta sono
state anche la decisione dell'Onu nel 1987 e in seguito quella della
Comunità Europea che hanno stigmatizzato ufficialmente il
rifiuto della Turchia a riconoscere il genocidio armeno. Una nuova
fase di riflessione politica e storiografica è stata aperta
dalla pubblicazione di un denso volume di Taner Akcam, Nazionalismo
turco e genocidio armeno (tradotto dalla casa editrice Guerini e
Associati, pp. 283, euro 24). Akcam è il primo storico turco
a riconoscere ufficialmente lo sterminio degli armeni e per questo
è stato condannato a dieci anni di carcere (insegna oggi
in una università statunitense). Nel volume ricostruisce
attentamente le cause che determinarono lo sviluppo di una mentalità
militarista ed aggressiva e «uno spirito di vendetta»
verso le minoranze non musulmane dopo le guerre balcaniche del secondo
Ottocento e la perdita di molte terre.
«Questa
vendetta - sostiene Akcam- che non avrebbe potuto scegliere come
bersaglio i bulgari e i greci, fu consumata contro gli ingrati armeni,
'traditori ed alleati degli imperialisti'». L'identità
nazionale turca affonda, dunque, le sue radici nella violenza. I
leader turco-ottomani, sfruttando le emergenze prodotte dal primo
conflitto mondiale utilizzarono metodi apertamente criminali non
solo contro la popolazione armena, ma riuscirono ad espellere una
gran parte della popolazione greca dalla costa occidentale. Tra
il 1915 e il 1917 furono portate a termine, la «turchizzazione»
dell'Anatolia, sulla base di una operazione «pianificata centralmente»
e condotta dal ministero degli Interni, che gestì la deportazione
degli Armeni in modo capillare attraverso i suoi organi periferici.
Una delle novità più interessanti della ricostruzione
di Akcam è rappresentata dal ricorso a nuove fonti: atti
processuali e documenti turchi. Nella vasta indagine critica non
si celano anche le responsabilità dell'Ooccidente ed i limiti
dei trattati di pace, in particolare quello di Sèvres, in
base al quale si decise, dopo la prima guerra mondiale, la suddivisione
dell'Anatolia. La divisione, infatti, di quest'ultima era funzionale
agli interessi delle potenze imperialiste e non scaturiva dalla
necessità di punire i crimini contro l'umanità. Altro
aspetto rilevante di questa importante riflessione critica è
la precisa ricostruzione dei tabù presenti nella società
turca di oggi per le violenze commesse non solo contro gli Armeni,
ma anche nei confronti di Curdi e Greci.
Nei
«curricula» scolastici o nei programmi universitari
gli avvenimenti storici relativi alle coabitazioni con popolazioni
non musulmane o alle culture delle minoranze etniche sono completamente
assenti. Akcam parla di una «diffusa amnesia sociale»
con l'evidente «scopo di evitare le conseguenze psicologiche,
emotive e morali causate da tali ricordi». Le conclusioni
di questa ampia e documentata ricostruzione delle cause che provocarono
il genocidio armeno aprono spazi interessanti di riflessione sulla
Turchia odierna e sui processi di democratizzazione all'interno
di uno dei Paesi che dovrebbe far parte dell'Europa Unita.
Vito
Antonio Leuzzi
28/02/2006
Anche in Turchia si alza il sipario su una pagina cruenta e oscura.
Mai riconosciuta dal governo e dal popolo di Ankara. Lo scrittore
Orhan Pamuk e lo storico Taner Akcam
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