XX
SECOLO: Genocidio - Genocidi
Introduzione
al Convegno di Michele Wegner,
e note biografiche su Armin T.Wegner
in occasione dell'iniziativa "XX Secolo: Genocidio - Genocidi"
Palazzo
Valentini, Roma, 03/05/2000
Perché La
Tragedia Armena può toccarci cosi da vicino? Perché
comprendere l’altrui tragedia di ieri può contribuire
ad evitare l’eventuale nostra personale tragedia del domini?
Perché la tragedia del singolo e la tragedia di un popolo
si determinano allo stesso modo?
Ho avuto un padre
la cui coscienza maturò al di là dello spazio del
tempo, perché testimone oculare di eventi tragici e straordinari.
Dovevo raggiungere
la piena maturità perché la mia profonda curiosità
delle origini e delle motivazioni uscisse allo scoperto, diventando
poi impegno morale nella ricerca delle compressione del divenire
della vita di vita di mio padre e con essa degli eventi storici
che da lui furono attraversati.
E’ nato cosi
con mio padre un dialogo a intermittenza, che piano ha formato un
mosaico di risposte ai suddetti interrogativi. Ad una presentazione
a Pistoia della mostra “Armin T. Wegner e gli Armeni in Anatolia”
, un gruppo di giovani mi espresse la curiosità di conoscer
il perché ed il come di me figlio cosi coinvolto nel passato
del padre.
Raccontai che non
vi era nulla di particolare, ma che tutti i figli avranno il loro
giorno, in cui divenuti orma adulti vorranno porre ai genitori domande
a cui il più delle volte risponderà Soltanto voce
dal di dentro, la voce della memoria inconscia, tramandataci per
eredità.
Per un lungo e lento
scorrere del tempo, infatti, non tutti percorriamo lo spazio della
nostra infanzia e gioventù. Poi arriva un giorno in cui avvertiamo
con meraviglia che qualcosa è cambiato, non improvvisamente
ma lentamente, senza che a lungo ne abbiamo perso coscienza. Da
figli siamo diventati noi stessi padri, genitori di una nuova generazione.
Siamo cosi figlio
e padre contemporaneamente. Percorriamo una strada sulla quale i
nostri genitori sono già passati, e dietro a noi verranno
i nostri figli. La distanza tra gli uni e gli altri è però
tale che il più delle volte chiamarsi e udirsi non è
più possibile.
E quando non potremo
più da figli parlare con i nostri genitori, che avranno concluso
ormai il ciclo della loro vita, ci accorgeremo che molte domande
rimarranno senza risposta. Saranno molte però le sensazioni
che andremo provando, come se parte del padre e della madre continuasse
a vivere dentro e attraverso di noi.
Scopriremo di rappresentare,
in questo legame con i nostri predecessori, la continuità
per eredità di somiglianza fisica e psichica, ma ancor più
l’appartenenza intellettuale e delle tradizioni che caratterizzano
la famiglia, il clan familiare, poi la stirpe e con essa la lingua
e la nazione.
La distruzione di
questa appartenenza è stata, nel corso dei secoli, la vera
grande tragedia che ha unito dai tempi più antichi ad oggi
nel loro destino gli uomini . Gli uomini nel loro insieme, nel divenire
e finire dei singoli, determinano il sorgere di una nazione e più
tardi il suo tramonto.
Quando il tramonto
avviene per distruzione violenta da parte di un’altra cultura,
la tragedia è collettiva. Questa tragedia di perdere la immedesimazione
con qualcosa che ci caratterizza in quanto appartenenti a una comunità
ben definita, come un taglio ombelicale che comporti la morte del
singolo individuo prima e della collettività poi, è
la tragedia del genocidio. Il genocidio non distrugge solo esseri
viventi, ma ancor peggio la loro storia, la loro memoria, tradizioni
e usanze, quelle particolarità che rendono cosi ricca l’esistenza
stessa della umanità.
Questo dramma, come
detto, ha accompagnato l’umanità dal suo sorgere, ma
se da una parte ha distrutto, da quelle stesse ceneri è sgorgata
poi anche nuova vità, nuovo fervore e nuova creatività.
Convincersi di queste certezze aiuta a porsi e ad agire da quella
parte della coscienza collettiva che si impegna per evitare nuovi
soprusi e distruzione dei singoli, ed agisce preventivamente, perché
ha maturato la convinzione del vincolo che integra e unisce il destino
dei singoli facendone il destino delle nazioni.
ARMIN
THEOPHIL WEGNER
Biografia
Armin Theophil Wegner
naque a Wuppertal, in Germania nel 1886 e mori a Roma nel 1978.
Dottore in diritto, scrittore, poeta profondamente colpito dalla
tragedia del popolo armeno di cui era stato testimone oculare nella
Turchia Ottomana, ha dedicato gran parte della sua esistenza alla
battaglia per i diritti umani e il suo impegno letterario e poetico
alla ricerca della verità su se stesso e sugli uomini.
Allo scoppio della
prima guerra mondiale, nel quadro dell’alleanza militare tra
la Germania e la Turchia( governo dei Giovani Turchi), è
inviato in Medio Oriente come membro del servizio sanitario tedesco
al seguito del generale Von Der Goltz, nella campagna mesopotamica
del 1915- 1916.
Wegner, attraversando
l’Asia Minore, è testimone del genocidio del popolo
armeno, la prima “pulizia etnica” del XX secolo. Eludendo
le ferree ordinanze e i divieti delle autorità turche e tedesche,
scatta centinaia di fotografie nei campi dei deportati, raccoglie
lettere di supplica che cerca di consegnare alle ambasciate, invia
lettere in Germania, scrive diari, raccoglie appunti e notazioni,
riuscendo a far giungere parte del materiale in Germania e negli
Stati Uniti.
Scoperta la sua
attività clandestina, è espulso dalla Turchia e richiamato
in Germania nel novembre del 1916. Porta con sé, nascoste
sotto la cintola, le lastre fotografiche delle Immagini del genocidio
del popolo armeno al quale aveva assistito impotente.
In Germania si impegna
intensamente per dare diffusione alla tragedia degli armeni. Organizza
conferenze a dibattiti; pubblica le lettere inviate alla madre e
agli amici dal deserto di Dier es Zor nel libro intitolato “la
via senza ritorno. Un martirio in lettere” .
Nel 1919 invia una
lettera aperta al presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, nella
quale denuncia lo sterminio della nazione armena e auspica una patria
per i sopravissuti. Nel 1933, all’indomani della serrata contro
gli ebrei, indirizza ad Adolf Hitler una lettera di protesta contro
i comportamenti antiebraici e antiumani del regime.
Viene
arrestato dalla Gestapo, torturato e incarcerato. Liberato, dopo
varie peregrinazioni, si rifugia tra il 1936 e il 1937 in Italia,
a Postano. Vivrà nel nostro paese, a Roma e a Stromboli,
sino alla fine dei suoi giorni, tentando di continuare la sua attività
di scrittore, ma senza mai riuscire ad adattarsi alla sua condizione
di esule.
Wegner si è
sposato due volte,ha avuto due figli, Sibyl e Misha, tuttora viventi.
Solo nel 1965, in occasione della commemorazione del 50° anniversario
del genocidio degli armeni, la stampa scopre la sua documentazione
fotografica. Il suo ruolo di testimone del genocidio armeno e di
difensore dei diritti dei popoli, degli armeni e degli ebrei, è
finalmente riconosciuto a livello internazionale.
Nel 1968 viene inseguito
del titolo di “Giusto” dallo Yad Vashen in Israele e
dall’Ordine di S. Gregorio, a Yerevan, capitale dell’Armenia
caucasica, dove una strada porta il suo nome. Qui nel 1996, le sue
ceneri sono state tumulate nel muro della memoria, a “Tsitsernakaberd”
, la “collina delle rondini”, dove sorge il Monumento
al genocidio degli armeni.
Armin
T. Wegner è morto a Roma all’età di 92 anni,
il 17 maggio del 1978. A Stromboli, sul soffitto della stanza di
lavoro della torre sono incise queste parole: “ Ci è
stato affidato il compito di lavorare ad un’opera, ma non
ci è dato di completarla”.
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