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14 Maggio 2008 -
LA CHIESA ARMENA: UN’ESPERIENZA BIMILLENARIA COMPLESSA E SOFFERTA

14 maggio 2008
Luigi Sandri: Padre Bogos Levòn Zekiyan è armeno cattolico. Gli armeni cattolici, uniti a Roma da circa 200 anni, sono un piccolo gruppo perché gli altri armeni sono “gregoriani”, da Gregorio l’Illuminatore che portò il cristianesimo in Armenia. E’ nato a Istanbul e adesso insegna alla Ca’ Foscari di Venezia (lingua armena) e al Pontificio Istituto Orientale di Roma. La chiesa armena ha un’esperienza bimillenaria complessa e sofferta; gli armeni sono da alcuni chiamati gli ebrei cristiani, perché, per le vicende che lui ci dirà, sono diffusi in tutto il mondo. Avendo avuto l’Armenia storica, che oltre all’Armenia ex-sovietica includeva anche metà Anatolia, vicende tribolate e complesse fino al genocidio innescato dai “giovani turchi” nel 1915 che li ha quasi eliminati dalla Turchia, molti sono emigrati e ora li troviamo in Siria, in Iraq, in Iran, a Gerusalemme, in Egitto, a Venezia dove c’è l’isola di San Lazzaro dei Mechitaristi, fondati dall’abate Mechitar nel settecento; poi sono in Francia, negli Stati Uniti, in Cile ... Sono dappertutto, perché hanno dovuto trovare scampo alle tragedie che hanno segnato la loro storia. E’ quindi importantissimo per gli armeni il rapporto tra la madre-patria e la diaspora perché sono più gli armeni nella diaspora che in Armenia. Per tutto questo siamo molto onorati oggi di poter ascoltare padre Bogos.

Padre Bogos: Benedetto XV a cui ho visto dedicata una lapide in questo salone è una figura molto cara a noi armeni perché lui il 6 dicembre del 1915, quando le notizie che giungevano in Europa erano ancora molto scarne, denunciò quel che stava succedendo affermando “miserrima armenorum gens ad interitum prope ducitur” (l’infelice popolo armeno è condotto all’annientamento, che é la definizione ante litteram di ciò che poi è stato definito genocidio). Ciononostante tra gli armeni è anche diffusa l’opinione che la Santa Sede non abbia fatto allora tutto il possibile. Mah! ...
Chi sono gli armeni? Quì in Italia a lungo sono stati confusi con i romeni; nella migliore delle ipotesi con i russi perché l’Armenia era nell’Unione Sovietica e non solo l’Italia ma l’intera Europa confondeva russo con sovietico. Mentre l’Unione Sovietica, e penso di non essere frainteso, è da rimpiangere perché il crollo come è avvenuto ci ha lasciato le cose peggiori mentre sono state cancellate le migliori, tra cui anche il concetto di cittadinanza che non era di carattere etnico. In tutta l’Europa occidentale, a parte la cittadinanza britannica che distingue le varie etnie (gallese, scozzese, inglese, irlandese), nella cittadinanza non si precisano le etnie. L’Unione Sovietica invece distingueva chiaramente la cittadinanza sovietica, non etnica, e la realtà etnica secondo l’opzione personale. Il grande musicista Khachaturian ha passato tutta la vita a Mosca ma nei suoi documenti personali si dichiarava armeno ed era riconosciuto come tale. Ogni volta che io chiedevo il visto per entrare in Unione Sovietica mi si chiedeva la cittadinanza e poi l’identità etnica. Ed io ero orgoglioso perché era l’unico posto dove ero riconosciuto come armeno (Adesso il nostro stato armeno che ha adottato il concetto francese di stato-nazione che non distingue affatto tra cittadinanza e realtà etnica praticamente si comporta con noi armeni della diaspora come con degli stranieri. E purtroppo più gli stati sono giovani più questo stato-nazione com’era al momento della rivoluzione francese e quindi nella sua formulazione più selvaggia esercita un fascino. Proprio non si capisce il perché).
Quindi chi sono gli armeni? Ecco: gli armeni sono un popolo antico, uno di quei popoli che hanno mantenuto fino ad oggi una continuità d’identità. Ovviamente ogni realtà etnica, nazionale varia continuamente nella storia, ma ci sono dei capisaldi che restano; e nel caso degli armeni questo lo possiamo dire, si può riconoscere questa continuità. Sono un misto di popoli indoeuropei e non indoeuropei, e questo elemento non indoeuropeo, difficile da identificare, erano le popolazioni montanare dell’est dell’Anatolia e del Caucaso: sono i protocaucasici e i protoestanatolici (l’ovest dell’Anatolia era già diverso nel quarto-quinto millennio a.C.) e si configura questa identità con la lingua prevalentemente di carattere indoeuropeo; poi ci fu tra il 95 e il 45 a.C. un effimero impero armeno e poi già ai tempi apostolici vi arrivò il cristianesimo, che poi diventa religione ufficiale del regno ai primi del quarto secolo, si discute tra il 301 e il 315. Gli armeni normalmente aborriscono un po’ la seconda datazione perché sarebbe posteriore all’editto di Milano ed è un vanto nazionale di essere il primo popolo divenuto ufflicialmente cristiano. Invece è un malinteso perché l’editto di Milano del 313 è un editto più moderno.
Costantino era davvero un gran genio e le degenerazioni che si chiamano costantiniane della Chiesa forse più che sue sono opera dei suoi successori di Teodosio che ne ha fatto la religione di stato, mentre Costantino soprattutto nell’editto del 324 dà la libertà di culto a tutti. Invece nel 2001, quando il papa è andato in Armenia, lo stato e la chiesa armena hanno parlato di conversione dello stato armeno. Sinceramente avrei preferito un’altra formulazione: il battesimo della nazione armena; penso che sia più bella: il concetto di religione di stato c’era ovviamente per tutto il medio evo e l’Armenia è stato uno dei primi casi. Però per precisione dobbiamo dire che c’è stato prima un altro regno cristiano, quello di Edessa, l’attuale Urfa in Anatolia (città molto antica che si dice fondata da Abramo) che fu un centro importantissimo di cultura cristiana, era d’identità siriaca ma c’erano anche moltissimi armeni, era un centro cosmopolita, c’erano tre scuole (o meglio università) di altissimo livello: greca, siro-persiana e armena. E questo regno già nel 217 era un regno cristiano, però c’è una differenza: questo regno era una città-stato come Atene, non il regno di un’intera nazione come è stato invece il regno della grande Armenia.
Gli antichi distinguevano l’Armenia maior dall’Armenia minor. La prima era ad est dell’Eufrate, il fiume biblico, sul gomito superiore includente i tre laghi, cioè Van, attualmente in Turchia, Sevan nella repubblica armena, e le sponde occidentali del lago di Urmia nell’attuale Iran. L’Armenia minor invece era ad ovest del corso superiore dell’Eufrate. La chiesa armena si forma nel quarto secolo alla periferia dell’impero in stretta connessione con Cesarea di Cappadocia è l’angolo più colto dell’intero orbe cristiano, forse seconda solo ad Alessandria ma in quel momento i geni assoluti che vi fioriscono penso che superino, a parte Origene, quelli di Alessandria. E’ la patria di Basilio il grande, il fondatore del monachesimo orientale che poi ispirerà Benedetto, di Gregorio Nanzianzeno soprannominato il teologo e di Gregorio Nisseno, il grande mistico. La Cappadocia è quindi la patria di questi giganti e l’Armenia è in stretto contatto con essa. Ci sono per esempio le prime scuole fondate dal grande patriarca Nerses che, pensate un po’, vi conosce la sua futura moglie, perché i primi patriarchi armeni venivano dal clero sposato e la carica era ereditaria; anzi quando l’ultimo patriarca aveva solo una figlia era un grande trauma per gli armeni e questa cessazione della dinastia patriarcale sembrava loro una catastrofe, perché finché il patriarcato era in mano alla famiglia di San Gregorio, questo era già un pegno di ortodossia e di stabilità della chiesa nella mentalità non solo popolare ma anche delle persone dotte. Quindi conosce sua moglie mentre questa, di famiglia principesca, studia a Cesarea avendo fatto un viaggio, dall’Armenia, di 400 – 500 chilometri.
Pensate che in quelle stesse zone intorno al 1960 è stato ucciso un tenente della riserva (in quel tempo chi aveva studiato fino alla maturità faceva il servizio militare come ufficiale per alfabetizzare altri, tanto che l’analfabetismo calò drasticamente in Turchia rispetto al 44% degli anni 50) perché diceva ai genitori di mandare le bambine a scuola. Faccio questo esempio per farvi vedere il diverso clima culturale tra le due epoche. Del resto nella storia non sempre si progredisce. Un esempio ce l’abbiamo anche nella comunicazione: se oggi spegnamo il televisore e non leggiamo i giornali, non sappiamo niente; ebbene nel 931 il fondatore del monastero di Tatef, nel sud dell’attuale repubblica di Armenia a circa 1200 metri sul livello del mare, su una rupe scoscesa, informato sui pittori carolingi e su quelli dell’alta Lombardia e della bassa Baviera li invita a dipingere le pareti della sua nuova chiesa che purtroppo sono state rovinate da un cattivo restauro negli ultimi anni del Soviet quando la sorveglianza, purtroppo anche quella, cominciava a crollare. Quindi quest’uomo era informato sui migliori pittori che stavano a 4000 chilometri di distanza. Se oggi mi si chiede chi sia il miglior pittore vivente in Italia forse non saprei rispondere.
Quindi riprendendo il tema della presenza della donna osserviamo che la società anatolica aveva già come divinità suprema in epoche pagane la dea Nahita. Il Giove armeno era un Giove molto discreto, Aura Masdaja, padre di saggezza, termine iranico. Non compariva, non si vedeva, la grande dea presente era questa Nahita che corrisponde alla romana Diana, ma non è solo cacciatrice, è la dea della fertilità, della fecondità, che purifica tutto. Infatti quando Gregorio l’Illuminatore arriva da Cesarea in Armenia il re vuole imporgli di venerare la dea con le primizie dell’uva, e lui si rifiuta.
Tuttavia gli antichi padri erano più avanti dei nostri missionari di oggi (che hanno devastato la cultura pagana che è giunta fino a noi) e non hanno cambiato i nomi. Oggi chi battezza per prima cosa cambia il nome, il che è una violenza. Non so se avete sentito parlare del libro “Era Rush mia nonna” delle edizioni Ale. E’ la storia molto commovente di una donna la cui nonna materna era armena, rapita a nove anni, proprio nel 1915 durante il genocidio, islamizzata. In oriente il nome è l’identità stessa della persona e spesso denota un particolare della vita nel momento della nascita; perciò cambiare il nome è come l’apostasìa sul piano etnico. In Turchia ho incontrato una ragazza che si chiamava betùl; l’hanno cambiato in Benedetta; e lei mi raccontava con grande orgoglio che lei non è più Betùl, ma io non potei trattenermi: Ma come, hai un nome così bello! Perché l’hai cambiato?! Ecco vedete, i padri anche in questo erano più avanti di noi.
L’Armenia è un paese che si converte globalmente per ordine del re. La convinzione profonda comincerà a venire man mano e un momento fatidico sarà l’invenzione dell’alfabeto. Di nuovo ci troviamo davanti ad un fenomeno per certi aspetti sconvolgente, perché prima la Bibbia veniva letta in greco o in siriaco e la gente non capiva e quindi si volle fare l’opera d’inculturazione. Se pensiamo che in occidente per arrivare a questo occorre aspettare Martin Lutero che per primo traduce la Bibbia in tedesco! E poi perché questo venga applicato nella chiesa cattolica bisogna aspettare nientemeno che il concilio Vaticano II° (1962). Dunque Mesrop nel 405 fa questo lavoro. Quando il Catholicos armeno giovedì scorso ha visitato il Pontificio Istituto Orientale il vice-rettore ha detto che Cirillo e Metodio si sono ispirati al modello di Mesrop. Certo, non sappiamo se loro lo conoscessero; comunque hanno fatto dopo cinque secoli una cosa che Mesrop aveva intuito nel 5° secolo: l’inculturazione della parola, secondo l’identità etnica, che porta il concetto d’identità oltre il livello al quale si trovava nella polis greca, cioè la pura cittadinanza.
Nel mondo ebraico c’è stato un grandissimo pensatore, Filone d’Alessandria, che è forse il maggior teorico di tutte le diaspore, che a un certo momento si chiede: Non siamo più in Palestina? In Israele? Non parliamo più la nostra lingua? Parliamo il Greco? Allora come siamo ebrei? E formula le condizioni per cui una persona può essere riconosciuta come ebrea. E’ un’identità che si fonda soprattutto sulla coscienza della persona, non su qualche cittadinanza che è un’altra cosa molto importante, ma diversa. E però Filone da buon credente pone come condizione dell’essere ebreo (ovviamente allora non si poneva il problema dell’ateismo pubblico) l’essere credente nella Thorà, nell’unico dio d’Israele, il Signore Dio.
Nel 5° secolo l’opera di Mesrop praticamente centra l’identità armena, pur profondamente ispirata alla religione cristiana, su qualcosa che con essa non si identifica, cosicché nasce la grande storiografie armena del medio evo che emula, direi, la grande storiografia araba, perché quella bizantina e quella occidentale del medio evo sono piuttosto delle cronografie. A volte in Bisanzio con qualche afflato di una ideologia imperiale. Invece in Armenia abbiamo una storiografia, che è nei migliori autori una teologia della storia, e talora anche una filosofia della storia, perché l’armeno è attanagliato dalla storia. La vicenda storica non è un tempo che guardiamo quasi da dilettanti. La storia ha un senso drammatico, tragico. Ci voleva solo il gran colpo del genocidio del ’15 per porre in una luce un po’ più rosea o meno cupa la storia anteriore, quando la gente è sradicata dalla propria terra. E tutto questo diventa possibile grazie a questa grande opera di inculturazione che inizia Mesrop. Dice il suo biografo: Mi si permetta di dire che gli apostoli, i profeti, ma lo stesso Cristo divenne armenofono.
Parlando delle grandi figure, nel mondo armeno abbiamo un grandissimo poeta mistico nel 10° secolo, tradotto parzialmente ne “La spiritualità armena” delle Edizioni Studium di Roma, che è ossessionato dal problema del linguaggio, cosa molto moderna. Altra grande conquista della chiesa armena fu il suo ecumenismo che attira ancora l’attenzione di tutti. Ci sono delle categorie sviluppate in questa chiesa che non vediamo sviluppate allo stesso livello in altre chiese. Questo ecumenismo consiste nell’accettare l’interlocutore così com’è. Questo è un discorso difficile anche oggi. Per esempio, perché Gorbaciov è piaciuto tanto? Un titolo a piena pagina di un noto quotidiano risponde: Parla come noi, scherza come noi, sorride come noi. Meglio di così, o peggio di così, non può essere, perché tu sei il centro dell’universo, il criterio della beltà, dell’educazione, della saggezza, di tutto. Ed è molto difficile, sopratutto per la cultura occidentale, liberarci da questo. E qui mi piace sempre citare il diverbio tra Aristotele e il suo allievo Alessandro il Grande che quando scopre la civiltà persiana scriva al maestro: questi non sono barbari, sono civili almeno quanto noi; e Aristotele: E no! Chi non è greco non può che essere barbaro. Si può riscattare a condizione di diventar greco. E questo purtroppo ha radici così profonde che nella cultura occidentale, anche la più avanzata, la più sublime, a mio parere, fa sentire i suoi effetti, nonostante tutti i discorsi sul superamento dell’eurocentrismo.
Nel mondo armeno ciò non esiste, i poveri armeni non potevano pretendere di dominare il mondo, il loro unico desiderio era di esser lasciati in pace per seguire la tradizione dei loro padri. Perciò sviluppano una dottrina in cui questo possa funzionare. Per esempio c’era il grande diverbio tra i greci e armeni fino ad oggi: pane azzimo o non azzimo? Il patriarca armeno dice: se al Signore stesse tanto a cuore celebrare in azzimo o in fermentato ce l’ avrebbe detto. Altre caratteristiche della chiesa armena sono il martirio, la testimonianza, e la grande tradizione di convivenza con il mondo islamico che può essere presa a modello dalla stessa Europa che oggi è presa dal panico, non sa che pesci prendere, appunto perché è stata sempre autoreferenziale. L’armeno, al contrario, è sempre vissuto in eteroreferenzialità; e questo può sembrervi strano perché l’armeno è graniticamente saldo nella propria fede cristiana: un milione e mezzo di martiri a fronte di circa duecentomila che rinnegarono, alcuni per convenienza e altri per cambiamento definitivo. Il vero dialogo consiste nel rispetto reciproco, anche se prendo atto che in una cosa siamo totalmente diversi. Con i musulmani, o tu credi che Gesù di Nazareth è Dio e in tutto simile a noi come uomo se sei cristiano, oppure se sei musulmano dirai che dire questo è blasfemo, è bestemmia contro Dio. E qua tertium non datur. E quindi lui mantiene la sua fede e io mantengo la mia; però possiamo parlare anche di teologia. Io ho sentito una volta un discorso splendito sull’incarnazione della parola nel Corano: bellissimo! Abbiamo poi chiacchierato per due ore sull’incarnazione della parola.
Il genocidio non c’entra niente con l’Islam; anzi, uno dei capi islamici turchi ha detto espressamente in parlamento: questo è contro la legge di Dio; se ci sono colpevoli, prendeteli e castigateli; ma non potete punire un intero popolo innocente per qualche persona. Era invece un discorso di matrice occidentale: lo stato-nazione. C’erano in Anatolia greci, armeni, curdi, lazi; e le minoranze cristiane erano più fortunate perché i sultani le avevano riconosciute come nazioni mentre i musulmani erano riconosciuti come fedeli. I Giovani Turchi volevano creare lo stato-nazione attraverso l’uniformità. Quindi il genocidio armeno è stato un fenomeno tipico della modernità; però una modernità molto in ritardo, che perciò scoppia come una bomba e, cosa più tragica, nel giro di uno o due anni l’Anatolia si svuota e nel giro di vent’anni la popolazione cristiana se ne va, perché inizia una reazione a catena. L’impero ottomano nel 1913-14 aveva circa 18-20 milioni di abitanti; di cui nei confini attuali della Turchia 13-14 milioni con un minimo di 4 milioni di cristiani tra greci e armeni e trecentomila ebrei. Negli anni venti la proporzione era già del 90% di musulmani, oggi del 99%.
Ora torniamo ai primordi del cristianesimo armeno con il patriarca Gregorio l’Illuminatore che fa l’opera di evangelizzazione partendo dalla corte, dal re miracolosamente guarito, a differenza di quello che era successo a Roma, dove il cristianesimo inizialmente si era diffuso soprattutto tra gli umili. Quindi dall’inizio la sede del Catholicos (cioè del vescovo generale) si colloca vicino a quella del re. Nel corso dei secoli questa sede si sposta, un po’ come è avvenuto persino con il papato, non solo ad Avignone e Viterbo e comincia a spostarsi soprattutto tra il 10° e l’11° secolo verso il Mediterraneo e arriva in Cilicia dove si forma un nuovo regno armeno. Ma nel 1375 sotto i colpi dei Mamelucchi il regnodi Cilicia crolla, e qualche anno dopo il katholikosato si sposta di nuovo verso la sede originaria che gode di maggiore tranquillità. Ma gli armeni della Cilicia non hanno voluto privarsi del proprio katholikòs per cui è nato un secondo katholikòs anche se di livello inferiore: il katholikòs della grande casa di Cilicia, anche se oggi una Cilicia armena non esiste più e la sede si è spostata in Libano.C’è stata spesso una certa tensione tra questi due katholikosati, perché quello originario vuole un primato di giuirisdizione, come succede dappertutto. Pensate al grande diverbio tra vecchia e nuova Roma, tra Roma e Costantinopoli. E come negli altri casi, uno chiede il primato e l’altro risponde che il primato è un titolo puramente onorifico: il primo tra pari. E questa seconda tesi è quella oggi accettata.
Il discorso sull’identità e sull’etnia è molto interessante. Una volta ho letto che l’identità degli ebrei è centrata sulla Torah e per questo si trovano ovunque fedeli alla loro identità, perchè possono avere sempre con sé il libro. Per gli armeni che vivono sparsi nel mondo, qual è l’elemento profondo che li fa sentire armeni? Hanna Arendt, cresciuta in una famiglia ebrea illuminista in cui la religione non era tanto importante, ha scritto “La lingua materna” in cui analizza molto bene il legame ombelicale con la Torah: ogni ebreo, almeno credente, deve dire ogni mattina Shemà Israel, e tutto questo in ebraico; anche se non conosce la lingua deve capire quella preghiera. Nel caso degli armeni, anticamente c’era il Padre Nostro recitato in armeno antico perché ogni famiglia prima di mettersi a tavola lo recitava. Un grande poeta armeno racconta che la famiglia era completamente italianizzata pur vivendo a Smirne. Perché i levantini erano di due tipi: i levantini emigrati dall’Europa per fare commercio e poi la gente addetta che, per il fascino della cultura italiana o francese, avevano adottato questa lingua al punto da dimenticare la propria. Ed era un gran vanto dire che eravamo franchi, italo-franchi o franco-franchi, anzi per una fanciulla le condizioni preliminari per un buon matrimonio erano due: suonare il pianoforte, strumento europeo, e parlare francese. Dunque, racconta il poeta, in questa famiglia ormai di lingua italiana il padre nostro veniva recitato in armeno antico e questo, dice, è stato il simbolo della nostra identità. Però direi che per gli armeni, finché vivevano in un contesto islamico, la religione faceva questa funzione, anche per l’armeno non-credente.
Questo è un fenomeno strano che in Occidente inizialmente non si capiva bene: nel 1988 il millenario della conversione della Russia è stato celebrato da uno stato ufficialmente ateo. E così pure l’inventore dell’alfabeto armeno nel ’62 fu festeggiato con onori incomparabili rispetto a quelli tributatigli poi nel 2005. Probabilmente perché c’era un senso della storia più acuto che il nostro consumismo e le sovrastrutture occidentali impediscono di avvicinare. Tutto sommato la dialettica marxista (io posso dirlo con molta libertà perché non ho mai appartenuto a nessun movimento politico e a nessuna filosofia in particolare) fino ad oggi sinceramente non conosco un metodo di analisi storica migliore del materialismo storico, e questo spiega perché l’opera di Mesrop e quella di Cirillo e Metodio fossero a tal punto valorizzate anche a livello di singoli intellettuali. E lo stesso vale per il nostro abate e fondatore della congregazione di Venezia di cui non ho parlato. Lui è venerato da tutti gli armeni; però se qualcuno è abbastanza anticattolico dice “Però alla fin fine anche lui ha tradito la chiesa madre”. Invece la filologia sovietica è stata quella che ha valutato maggiormente la figura di questo abate perché a loro non interessava se eri cattolico-apostolico o ortodosso, a loro interessava il lavoro che avevi fatto per la cultura armena. Quindi in questo contesto islamico del Medio Oriente gli armeni hanno potuto mantenere un’identità e farla anche prosperare a Costantinopoli hanno creato una cultura letteraria all’epoca del romanticismo e del simbolismo pari alle più grandi letterature europee; così anche a Tiblisi, nell’impero russo ma sempre in un contesto mediorientale. Invece in occidente, in Francia dove gli armeni sono mezzo milione e negli Stati Uniti dove sono un milione, la lingua sta morendo; tra gli armeni nati lì è difficile trovare chi parla armeno. Comunque anche dove la lingua madre sta scomparendo c’è comunque l’eredità d’una coscienza storica che oggi si basa moltissimo sul genocidio, (e questo io francamente non lo trovo molto positivo perché c’è il rischio d’una certa necrofilia per i giovani e quindi un rigetto e la falsa opinione nell’interlocutore: molte persone in occidente degli armeni non sanno altro che il genocidio, mentre ne ignorano una storia di quasi 3000 anni).

Domande

Antonio Guagliumi: Ci può dire qualcosa della organizzazione della chiesa armena? Inoltre mi rendo conto,da quello che ha raccontato, quanto diverse siano le condizioni delle chiese a seconda della storia e delle condizioni ambientali. E’ chiaro, mi par di capire, che una chiesa della diaspora, piccola, circondata, può essere ecumenica, tollerante e ascoltare gli altri; però deve sottolineare alcune caratteristiche proprie. Una chiesa come la nostra, che invece è vicino al potere, che sottolinea, forse troppo, il carattere dogmatico, anche nei minimi particolari, induce dei gruppi, come siamo noi, a rivendicare sulla linea del concilio Vaticano 2° un’importanza al popolo di Dio e quindi anche ad alcune differenze interpretative della lettura delle scritture.

Tra noi armeni si usa dire che la nostra chiesa è democratica. Di per sé il termine può sembrare retorico, banale, propagandistico. La struttura: in capo c’è il Katholikòs, a cui si fanno tutti gli onori; cioè poche persone lo criticano, e anche se devono esprimere il proprio dissenso da qualcosa, normalmente lo si fa con grande rispetto. Però il Katholicòs non può pigliare nessuna decisione da solo. Penso che nella chiesa cattolica la cosa che più ci manca teologicamente è che venga posto un limite al potere papale. Giovanni Paolo 2° ha detto espressamente “Studiate”, ma per quanto sappia è uno dei lati finora meno esplorati, anche perché è un tema delicatissimo. Ora nella chiesa armena, come in tutte le chiese ortodosse, il patriarca gode del massimo rispetto, però senza il Santo Sinodo, o senza il suo Supremo Consiglio (come si chiama nella chiesa armena), non può muovere neppure il dito. Lui presiede, convoca; che non è poco.
Poi, oltre all’altro katholicòs, ci sono due patriarchi minori, che sono stati istituiti dai musulmani! Il patriarcato di Gerusalemme secondo la tradizione è stato fondato dal profeta Maometto. In realtà questo patriarcato probabillmente è stato fondato nel dodicesimo o nel tredicesimo secolo. Comunque è anche un segno di quanto importante fosse questa cristianità armena che oggi è ridotta ai minimi termini. Durante il medio evo a Gerusalemme, luogo santo, tra tutte le nazioni c’erano solo i greci, cioè la chiesa dell’impero bizantino, e gli armeni. Poi c’è un altro patriarca a Costantinopoli istituito dal conquistatore Maometto 2° che aveva una notevole simpatia per gli armeni. Non dobbiamo pensare che tutta la storia tra turchi e armeni fosse nel segno dell’avversione. Anzi: gli armeni erano considerati la nazione fedele dai sultani ottomani. A San Lazzaro sono conservati due immagini del sultano, inviati dal sultano perché egli dice - è arrivata alla mia sublime conoscenza notizia che questi padri educano correttamente i propri correligionari armeni secondo i dettami della propria religione perché diventino miei sudditi fedeli. Ora per essere sinceri non riesco ad immaginare che Pio 9° o Napoleone 3° (era quella l’epoca) mandassero una lode allo sceicco del Marocco perché sta educando bene secondo i dettami della propria religione. C’era dunque una teocrazia, ma abbastanza liberale, che purtroppo è stata rovinata dall’ideologia dello stato-nazione di matrice franco-germanica, perché i Giovani Turchi avevano studiato in Francia e in Germania. Questi due sono patriarcati minori, però hanno una quasi totale autonomia. Accanto a tutti, dai katholicòs ai patriarchi minori ci sono anche i laici, fatta eccezione per Gerusalemme dove nel monastero ci sono solo monaci. Ad esempio al patriarcato di Costantinopoli c’è un consiglio di laici molto presente e attivo. E poi ogni eparchia, cioè ogni diocesi, e ogni parrocchia deve avere un consiglio dei laici e dei presbiteri (molti dei quali sono sposati), per cui il vescovo non può far nulla senza il consenso di questo consiglio. Anche i beni materiali della chiesa sono governati da questo consiglio tanto che a Istanbul c’è stato un grande travaglio perché quando il governo ormai voleva imporre per legge i consigli amministrativi il vescovo del momento, anche su suggerimento di alcuni suoi presbiteri canonisti che avevano studiato a Roma, si oppose, ma perse la causa; poi trenta anni fa, ero giovane, chiesi un giorno all’attuale arcivescovo che adesso ha 88 anni “Monsignore, lei è contento di questa nuova situazione?” “Sì, sono molto contento perché, credimi, mai il nostro clero aveva avuto condizioni di tanto benessere, anche materiale (erano ridotti allo stento), di tranquillità, come quando sono venuti i laici, perché hanno rivalutato gl’immobili”. Sono passati 30 anni. L’anno scorso ero a Istanbul e gli ho detto “Eccellenza, si ricorda di questa domanda che le ho fatta tanto tempo fa? Oggi, è dello stesso parere?” “Oggi più che mai. Ogni mattina ringrazio il Signore nella messa per questo dono che ci ha fatto”. Veramente: ci sono due ospedali della comunità armena, uno apostolico e l’altro cattolico. Quello apostolico è il quarto ospedale del paese e pare che si stia spingendo verso il primo posto.

D. Quali sono oggi i rapporti tra i turchi e gli armeni?
Purtroppo sono pessimi in genere, perché si sono incrociate due questioni: quella del genocidio e quella del Nagorno-Karabah. Per quel che concerne il genocidio, certamente c’è un discorso che spiega in qualche modo l’accanimento così forte del governo turco a negarlo. E’ molto orientale che uno non riconosca il proprio torto, ma appartiene un po’ a tutte le culture. Solo la crema della cultura occidentale ha potuto sviluppare un concetto di autocritica, ma se siamo sinceri tutti i grandi stati hanno degli scheletri negli armadi e nessuno lo confessa. L’hanno fatto solo i tedeschi, ma se fossero stati loro i vincitori chi avrebbe potuto obbligarli a riconoscere il crimine? Un parlamentare turco anni fa aveva detto che quando gli Stati Uniti riconosceranno i loro crimini anche i turchi forse riconosceranno i propri. Questo per capire questa sovrastruttura statale, che tra l’altro è di uno stato che per 90 anni ha avuto un’ideologia di tipo fascista. Questo l’Occidente non vuol vedere o riconoscere; fa volutamente il cieco, e in questo ha una gran parte la chiesa e i missionari che lavorano in Turchia. L’incensamento per i religiosi conviene per lavorare più tranquillamente, come hanno fatto un po’ tutte le chiese cosiddette patriottiche in Unione Sovietica, in Cina e in Tibet. Questa è purtroppo una dinamica che bisogna superare. Ma come? Nel diritto internazionale i grandi hanno sempre ragione. Anche chi oggi deplora la fine dei cristiani in Medio Oriente. Quanti Saddam vi sono al mondo? Con tutti dobbiamo fare la guerra? E’ pura ipocrisia. L’Iraq era nonostante tutto il paradiso terrestre dei cristiani; tutti vivevano in santa pace, tanto che le malelingue accusavano il cardinale Caldi di essere la spia di Saddam. Quale può essere la via d’uscita? Quel giornalista che è morto l’anno scorso, diceva che la soluzione di questo problema sarà in quel germe che germinerà in Turchia tramite gl’intellettuali aperti, che sono tanti e rischiano anche la pelle; l’Europa, a mio parere, dovrebbe porre una e una sola condizione alla Turchia: se vuoi entrare in Europa devi diventare un paese europeo dove non c’è tabù di pensiero.

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Cantiere del Cipax
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