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Luglio 2002 - L’orrore del silenzio, il genocidio del popolo armeno
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di Tommaso Dumi Lug. 2002 segue altri interventi tra i quqli, di Giancarlo Pagliarini e la poesia di Mario Verdone
http://digilander.libero.it/annozeronet/spettacoli.htm
La storia ci ha insegnato che il ventesimo secolo è stato teatro di terribili massacri, deportazioni di massa, conflitti atroci. L’orrore delle due guerre mondiali è ancora vivo nella memoria di chi ha vissuto quei momenti, spettri di un passato troppo difficile da poter dimenticare del tutto. Molto si è discusso e scritto riguardo l’olocausto di cui sono stati vittime gli ebrei. Farlo era quantomeno un dovere morale, l’approfondimento e la divulgazione di quanto è accaduto è stato svolto sempre con una grande voglia di capire, mai orfana di un forte senso di autocritica. Questo tentativo di non dimenticare mai , attraverso il dialogo, è rivolto anche alle generazioni future e ai giovani d’oggi, che non avendo vissuto in prima persona le tristi esperienze dei loro nonni o dei loro parenti, rischiano di perderne il ricordo. Ma se è legittimo nonché fondamentale parlare dell’olocausto del popolo ebraico è altresì giusto illustrare, spiegare e dar rilievo, per quanto possibile, ad un’altra delle pagine più tristi della storia del genere umano e ci riferiamo al genocidio del popolo armeno, definito dalla sottocommissione dei diritti umani dell'Onu, come il "Il Primo genocidio del XX secolo".
Le informazioni sulle persecuzioni subite dagli Armeni sono da sempre state fornite in modo per lo meno superficiale e sporadicamente, per motivi di varia natura. Finanche le immagini dello sterminio di queste genti da parte del governo turco, di quella che, per usare una espressione oggi tristemente nota e soventemente adottata, potrebbe essere indicata come una “epurazione etnica”, sono state raramente mostrate, anche in ambito televisivo.
La redazione di AnnoZero vuole pertanto trattare questo tema con l’attenzione e la delicatezza che merita, invitando i lettori a inviarci anche semplici riflessioni. Su gentile concessione della Comunità Armena di Roma, iniziamo ad introdurre l’argomento, mostrandovi un estratto dal resoconto stenografico dell’Assemblea Seduta n. 707 del 3/4/2000 con l'intervento dell’Onorevole Giancarlo Pagliarini in occasione del dibattito sul riconoscimento del genocidio armeno da parte del parlamento Italiano, riconoscimento avvenuto con una risoluzione votata a maggioranza il 17 novembre del 2000.
“ - GIANCARLO PAGLIARINI: Signor Presidente, signori deputati, pochi giorni fa il consiglio comunale di Roma ha approvato, all’unanimità, un ordine del giorno con il quale si riconosce la necessità che l’opinione pubblica mondiale intervenga a favore del popolo armeno, come è stato fatto nei confronti dell’Olocausto ebraico. Inoltre, i membri del consiglio comunale di Roma hanno chiesto che il Governo italiano riconosca il genocidio degli armeni.
…Il Parlamento italiano non ha ancora avuto la sensibilità ed il coraggio di riconoscere questa drammatica verità storica. La caratteristica di questo genocidio è stata, finora, il silenzio: al silenzio degli assassini si è aggiunto quello degli Stati, delle vittime, della diplomazia e della coscienza degli uomini. I pochi armeni che sono riusciti a fuggire al massacro si sono rifugiati in tutti i paesi del mondo e si sono messi subito a lavorare.
Hanno rispettato le leggi dei paesi che li hanno ospitati e hanno costruito famiglie, non hanno parlato delle loro terre, che hanno dovuto abbandonare per sopravvivere, né dei loro morti.
All’inizio hanno scelto il silenzio per ricominciare a vivere; è come se avessero cercato di dimenticare per trovare la pace in una nuova vita, ma il ricordo delle case abbandonate di corsa e per sempre, dei genitori, dei fratelli e dei parenti massacrati non si può spegnere; questo peso si può sopportare in silenzio, ma il ricordo si trasmette dai padri ai figli e, con il tempo, il silenzio diventa sempre più insopportabile. Noi e i nostri colleghi, membri dei Parlamenti degli altri quattordici paesi che fanno parte dell’Unione europea, abbiamo il dovere di interrompere questo silenzio delle coscienze e di dare il nostro contributo affinché tutti i paesi membri dell’Unione europea proclamino con forza e ricordino questa verità storica.
Riconoscendo il genocidio del popolo armeno, l’Italia e gli Stati europei che hanno accolto i pochi sopravvissuti riconoscerebbero la loro identità e darebbero finalmente un’ultima sepoltura morale alle vittime del genocidio.
Oggi, il mio compito è cercare di riassumervi in estrema sintesi i fatti. Onorevoli colleghi, i punti che dovete considerare sono i seguenti: armeni e turchi hanno vissuto fianco a fianco per più di otto secoli in una situazione di delicato equilibrio e di tolleranza reciproca. L’impero ottomano aveva concesso alle minoranze cristiane libertà di culto e di lingua, ma nell’impero ottomano gli infedeli, ovvero i cristiani e tutti coloro che non erano mussulmani, erano considerati cittadini di secondo ordine, non potevano possedere armi, avevano minori diritti e avevano l’obbligo di pagare alcune imposte speciali.
Nel 1914 l’impero ottomano è entrato in guerra a fianco dell’Austria e della Germania. Gli armeni, che vivevano sia nelle regioni del Caucaso sia in quelle dell’impero ottomano, si sono trovati a combattere su due fronti. Nell’inverno del 1914 e del 1915, l’esercito turco, che era avanzato nel Caucaso, subì una durissima sconfitta a Sarkamis e la colpa fu attribuita agli armeni che furono accusati di tradimento e di complotto. Il 25 febbraio del 1915, lo stato maggiore ottomano ordinò di disarmare tutti i soldati armeni e in molte città si verificarono episodi di violenza. Nella notte di sabato 24 aprile 1915 fu dato l’ordine di arrestare gli armeni che abitavano a Costantinopoli; il massacro era cominciato e gli Stati dell’Occidente ne erano a conoscenza. Il 27 maggio 1915 fu approvata una legge che autorizzava la deportazione delle persone sospette. Quella legge autorizzava i comandanti militari a deportare i cittadini che essi ritenevano colpevoli di tradimento e di spionaggio. In effetti, quella legge ha consentito di deportare e di uccidere in massa ed in modo premeditato ed intenzionale un intero popolo. Le numerose testimonianze confermano che si è trattato di un processo di distruzione sistematico e organizzato. Quando non venivano massacrati sul posto, gli armeni erano messi in colonie di deportati che dovevano camminare verso il deserto di Deir er Zor, in Siria; li facevano camminare finché non erano tutti morti. Questa, purtroppo, è la storia. Ecco alcuni numeri di quel recente passato che deve essere conosciuto: all’inizio del secolo, in Turchia, vivevano circa 1 milione e 800 mila armeni; circa 700 mila sono stati massacrati nelle loro città e circa 600 mila sono morti durante le deportazioni; altri 200 mila sono scappati verso il Caucaso; 150 mila verso l’Europa, mentre in Turchia sono sopravvissuti meno di 150 mila armeni. Più del 70 per cento della popolazione armena che viveva da 3000 anni in Anatolia fu annientata. Questi sono numeri che rappresentano il bilancio del genocidio degli armeni. È successo pochi anni fa, all’inizio del secolo. I nazisti non erano al potere e tanti ebrei vivevano ancora tranquilli in Germania e in Italia. Hitler, il 22 agosto 1939, prima dell’invasione della Polonia, durante una riunione all’Obersalzberg, aveva dichiarato: «Chi, dopotutto, parla oggi dell’annientamento degli armeni?». Le testimonianze su questa pagina nera della storia dell’umanità sono tantissime. Oltre alle drammatiche fotografie del tedesco Armin Wegner, vi sono numerosi documenti, di cui ne cito solo tre. «Il modo in cui viene effettuata la deportazione dimostra che il Governo persegue realmente lo scopo di sterminare la razza armena nell’impero ottomano»: questa è una testimonianza di Hans von Wangenheim, ambasciatore della Germania in Turchia in una lettera del 7 luglio 1915. «Non è un segreto che il piano previsto consisteva nel distruggere la razza armena in quanto razza»: questa è una testimonianza di Lessile Davis, console degli Stati Uniti in Anatolia, datata 24 luglio 1915. «Ci hanno rimproverato di non aver fatto distinzione, in mezzo agli armeni, tra gli innocenti ed i colpevoli: è assolutamente impossibile, perché gli innocenti di oggi saranno forse i colpevoli di domani»: così il ministro dell’interno Tal’at Pascià in un ordine del 1915.
Mi risulta che alla fine della prima guerra mondiale, quando cadde il regime dei «Giovani turchi», il nuovo Governo istituì una corte marziale che nel 1919 condannò a morte in contumacia i tre principali responsabili. L’accusa nel processo del 1919 era di massacro, non di genocidio di un popolo. Successivamente lo Stato turco ha sempre negato di aver compiuto un genocidio. La verità ufficiale è che le deportazioni erano state ordinate per sedare una rivolta, ma è impossibile accettare questa tesi, anche in considerazione del fatto che la destinazione finale delle deportazioni era il deserto di Deir er Zor, in Siria, dove sono arrivati in pochi e dove non è ragionevole ritenere che degli esseri umani avrebbero potuto sopravvivere, trattandosi di una zona arida, senz’acqua, senza alberi e senza cibo.
Il Parlamento europeo ha constatato che il Governo turco, con il suo rifiuto di riconoscere il genocidio del 1915, ha privato fino ad oggi - e continua a privare - il popolo armeno del diritto ad una sua propria storia.
Debbo fornirvi anche un’altra informazione, colleghi deputati. Il 29 maggio 1998 i nostri colleghi deputati dell’Assemblea nazionale francese avevano approvato all’unanimità una legge che riconosceva pubblicamente il genocidio del popolo armeno. Si è trattato di uno straordinario atto di umanità e di coraggio civile del Parlamento francese. Il Governo di Ankara ha reagito con molta durezza, minacciando sanzioni commerciali contro Parigi...
Ecco, per la cronaca, alcune agenzie di stampa di quei giorni del 1998. Ventinove maggio, il ministro degli esteri turco Ismail Cem: «Condanno l’adozione di questa risoluzione che avrà effetti assolutamente nefasti sulle relazioni tra la Turchia e la Francia». Trenta maggio: «La Turchia sta riesaminando le sue relazioni con la Francia e si sta preparando a sanzioni contro Parigi (...), minacciando il ricorso a ritorsioni quale l’inclusione della Francia in una "lista rossa"di paesi che prevede la sua esclusione da tutte le commesse militari turche». Due giugno: «Il Parlamento turco ha condannato oggi quello francese». Cinque giugno: «Il riconoscimento ufficiale da parte dell’Assemblea nazionale francese del genocidio degli armeni ha provocato il rinvio della firma di un contratto per 2,7 miliardi di franchi tra la francese Aerospaziale e l’industria turca per la fabbricazione del missile Eryx».
I motivi di questa reazione possono essere tanti. Uno, non secondario, è che l’opinione pubblica internazionale avrebbe potuto cominciare a percorrere una strada che, partendo dal genocidio degli armeni, sarebbe arrivata ai giorni d’oggi ed alla necessità di un processo di pace nel Kurdistan.
Penso sia mio dovere citare questi documenti, per trasferirvi, colleghi, tutti gli elementi di cui io sono a conoscenza, in modo che possiate votare in piena consapevolezza. Tra i comuni che hanno riconosciuto il genocidio del popolo armeno c’è anche Imola; ho con me una nota di agenzia di stampa del 18 maggio 1998 dove c’è scritto che «la Turchia non si limita a protestare e chiede quella che a Imola considerano una “schedatura” di tutti i membri del consiglio, a cominciare dal suo presidente: quanti sono, qual è la loro appartenenza politica, e così via».
Posso citare numerosi casi simili, fino ad arrivare all’articolo pubblicato lo scorso martedì 28 marzo dal quotidiano La Stampa, nel quale si può leggere che «alcune settimane fa il consiglio comunale di Roma aveva votato a favore del ricordo del genocidio degli armeni da parte dei turchi nel 1915. I promotori non avevano poi fatto mistero dell’intenzione di ripetere l’iniziativa alla Camera dei deputati. La sola ipotesi di un voto a favore di quest’ultima è stata all’origine di un energico intervento diplomatico di Ankara presso la Farnesina, per fare presente a quali gravi conseguenze porterebbe una tale decisione».
La settimana scorsa ho telefonato alla Farnesina e mi hanno detto che «il momento non è favorevole». Dunque, colleghi, il Governo e la diplomazia sono consapevoli del fatto che dobbiamo aspettarci qualche reazione; tutti dobbiamo essere consapevoli di ciò. Su tale argomento, vi chiedo di considerare, anzitutto, che nel giugno 1997 i colleghi Leoni, Cento e Taradash hanno presentato un’interrogazione con la quale chiedevano se il Governo intendesse riconoscere il genocidio del popolo armeno, come richiesto da una risoluzione del Parlamento europeo del 1987. La risposta del Governo, per bocca dell’allora sottosegretario Patrizia Toia, è stata la seguente: «L’esistenza di perduranti tensioni nell’area sconsiglia, comunque nel momento attuale, una presa di posizione ufficiale a livello di Governo su episodi quali il massacro dell’aprile 1915. Infatti, senza che la tragedia dello sterminio degli armeni possa essere messa in discussione sul piano storico, un atto politico di riconoscimento da parte del Governo potrebbe suonare, al di là delle intenzioni, come un appoggio indiretto all’Armenia nella sua attuale controversia con l’Azerbaigian, ciò che contraddirebbe la condotta di neutralità ed equilibrio da noi perseguita in armonia con le indicazioni della comunità internazionale».
Questa risposta è stata commentata come segue dallo storico Marcello Flores:
«Subordinare il riconoscimento di una verità storica a criteri di opportunità diplomatica non è solo segno di scarsa sensibilità tanto per la storia che per la verità; è l’espressione di un’abiezione morale che ha contribuito non poco, in passato, a giustificare comportamenti indifendibili in nome di risultati auspicabili».
Sono considerazioni che sposo totalmente e che sottopongo alla vostra valutazione. A me sembrano incredibili questi tentativi di non far riconoscere una verità storica di oltre ottanta anni fa, ai tempi dell’impero ottomano. Sono in molti in Europa a pensare che l’assunzione di una responsabilità piena e totale da parte della Turchia debba rappresentare la prima ed irrinunciabile condizione per procedere all’esame della richiesta di adesione all’Unione europea avanzata da tempo dal Governo turco. Tale principio è chiaramente espresso nella risoluzione del Parlamento europeo del 18 giugno 1987, nella quale si può leggere che il rifiuto dell’attuale Governo turco di riconoscere il genocidio commesso in passato ai danni del popolo armeno dal Governo dei «Giovani turchi» costituisce un ostacolo insormontabile all’esame di un’eventuale adesione della Turchia all’Unione europea; penso si tratti di un principio sicuramente condivisibile, che è stato ripreso da molti....Tale questione non può essere considerata in modo diverso da destra o da sinistra; non si tratta di ideologie o di interessi economici, ma della libertà e della dignità dell’uomo, ed è senz’altro opportuno che su tali argomenti l’Unione europea sia unita e parli con una sola voce. Con il nostro riconoscimento, inoltre, aiuteremmo anche i moderati turchi, perché a quel punto Ankara non potrebbe fare altro che prendere atto della volontà dell’Unione europea; per la cronaca, sono stato informato che si è formato in Germania un comitato che ha raccolto 17 mila firme di turchi che chiedono al loro Governo di riconoscere il genocidio del popolo armeno.
La storia e la verità si possono solo accantonare o cercare di nascondere per periodi più o meno lunghi, ma non si possono cancellare.
Vi chiedo di rompere questo silenzio e di sensibilizzare con tutti i mezzi che riterrete opportuni i nostri colleghi nei Parlamenti degli altri Stati membri dell’Unione europea perché questa sia anche una occasione per dimostrare a noi stessi che sopra all’Europa di Maastricht ci potrà essere un’Europa politica.
A mio giudizio, seguendo l’esempio della Grecia (il cui Parlamento ha riconosciuto formalmente il genocidio il 25 aprile 1996 proprio il giorno dell’ottantunesimo anniversario di quella tragedia), del Belgio (il cui Senato lo ha riconosciuto il 22 marzo 1998), della Francia (che l’ha riconosciuto con una legge approvata all’Assemblea nazionale il 29 maggio 1998 e non ancora passata per il Senato), della Svezia (che, come ho detto all’inizio, l’ha riconosciuto pochi giorni fa, il 29 marzo), e mi auguro, seguendo anche l’esempio dell’Italia che spero lo vorrà riconoscere approvando una mozione che abbiamo cominciato a discutere oggi, il nostro Governo dovrebbe proporre che prima della fine dell’anno 2000 in tutti i Parlamenti dei paesi membri dell’Unione europea venga riconosciuto ufficialmente il genocidio del popolo armeno e sia espressa solidarietà a questo sfortunato popolo e alla sua lotta per la verità storica e per la difesa dei diritti umani. Sarebbe un segnale che l’Europa c’è e che è un’Europa di popoli civili diversi da quegli Stati che fino ad oggi, in nome della diplomazia e di altri interessi, hanno preferito dimenticare quello che è successo in Armenia e incidentalmente hanno preferito non pensare molto a quello che sta succedendo al popolo curdo. Ecco perché la mozione che stiamo discutendo, che è stata firmata da 145 colleghi di tutti i partiti rappresentati in quest’aula, che mi auguro sia approvata all’unanimità, ha l’obiettivo di impegnare il nostro Governo a riconoscere pubblicamente il genocidio del popolo armeno. Questo è il nostro dovere di uomini; è un dovere verso l’umanità, verso i sopravvissuti e i loro discendenti molti dei quali sono nostri concittadini italiani ed europei perché, colleghi, come ho letto nel resoconto stenografico del dibattito, veramente di alto livello, che si è svolto all’Assemblea nazionale francese il 29 maggio 1998, «non riconoscere l’esistenza del genocidio di un popolo non tocca direttamente i sopravvissuti, ma insulta la memoria delle vittime e in questo modo le assassina una seconda volta».
- PRESIDENTE : La ringrazio, onorevole Pagliarini, anche per il senso dell’umanità che ha permeato il suo importantissimo intervento. “
Un ringraziamento alla Comunità Armena di Roma per la cortese collaborazione, in particolare a Cesare Piersigilli.
Per ulteriori informazioni contattare il sito: www.comunitaarmena.it
Conosciamo meglio la cultura armena di Cesare Piersigilli Lug.2002
Quest'anno si celebra il centenario della nascita del grande poeta armeno Yegisché Ciarenz (1897-1937). Non intendo soffermarmi sul poeta e sulla sua opera, mi limiterò a proporre una sua poesia che è conosciuta e cantata in tutta la diaspora. Non si tratta di una semplice ode patriottica, non riecheggia il "Dulce et decorum est pro patria mori" ma è una vera e propria elegia d'amore, è il "Cynthia prima suis me miserum coepit ocellis". In tutta la poesia l'Armenia sembra essere personificata ed il poeta le rivolge dolci parole, rimanda infatti al tono elegiaco dei famosi versi di Byron: "She walks in beauty, like the night / of cloudless climess and starry skies / and all that's best of dark and bright / meets in her aspect and her eyes". Quest'ode rappresenta per l'armeno un inno di speranza per il futuro. Il poeta scrive infatti questi versi a sei anni dal genocidio (Metz Yeghern = Grande Male) che aveva devastato la patria e regalato l'esilio ai superstiti e quando quel poco che si era salvato dell'Armenia era caduto nelle mani sovietiche. Il poeta morirà in un gulag siberiano, ma il suo canto d'amore risuona ancora nel cuore di ogni armeno. Sento il dovere di ringraziare il Prof. Mario Verdone che ha fatto conoscere al pubblico italiano Ciarenz.
Yés im anush Hayasdani (Io della mia dolce Armenia)
Della mia dolce Armenia
Amo la lingua sapore di sole,
La tragica voce e i lamenti dei bardi,
Amo i fiori color sangue
E l'intenso profumo delle rose
E le danze gentili delle figlie dei Nairì.
Amo il cielo blu profondo,
Le acque chiare, il lago di luce,
Il gran sole, i venti d'inverno
Che soffiano con voce di drago,
I muri tristi e neri delle capanne sperdute nel buio
E le pietre millenarie delle antiche città.
Ovunque sia ho presenti
Il singhiozzo grave delle canzoni,
E i libri di pergamena pieni di preghiere e di pianti.
Malgrado le piaghe
Che feriscono il cuore addolorato
La mia Armenia diletta,
Insanguinata, io canto.
Per il mio cuore ebbro d'amore
Non c'è leggenda più fulgida,
Non vi sono fronti più pure
Di quelle dei nostri antichi cantori.
Va per il mondo: non c'è vetta bianca
Come quella dell'Ararat.
Come strada di gloria
Irraggiungibile, io l'amo.
(Traduzione del Prof. Verdone tratta da: "Odi armene a coloro che verranno", 1968 - Edizioni Ceschina).
Vahe
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