L'OLOCAUSTO ARMENO
Breve storia di un massacro dimenticato
di Alberto Rosselli
ed. Solfanelli, pag.80, 2007
Recensione di Ninni Radicini
Da
alcuni anni la questione del riconoscimento del genocidio subito
dal popolo armeno (1894-96, 1915-23) incontra un interesse crescente
sia in ambito di politica internazionale sia in un contesto
più ampio di storia, diritto, cultura, etica. Nonostante
la notevole pubblicistica, alla domanda «Che cosa è
stato il genocidio armeno?» in tanti tuttora potrebbero
non saper dare una risposta precisa. Sostanzialmente rimossa
nei 50 anni successivi, è riemersa nel 1974 quando, in
risposta a una denuncia del Tribunale permanente dei popoli,
la Turchia - in modo molto generico e senza alcuna attribuzione
di responsabilità - ammise che il 1915 e il 1918 "il
popolo armeno aveva subito un certo numero di vittime"
attribuibile alle "contingenze storiche del tempo di guerra".
La
realtà fu ben più terrificante e quanto accaduto
è considerato il primo genocidio del Novecento. Il termine
stesso - genocidio - fu coniato con questo preciso riferimento.
La documentazione, i resoconti degli ambasciatori e dei consoli
in Turchia, le fotografie, rappresentano la testimonianza incancellabile
del tentativo di annientamento di un intero popolo ideato ed
eseguito scientificamente. "L'Olocausto armeno", di
Alberto Rosselli, pubblicato in formato tascabile, condensa
gli elementi necessari al lettore per avere le coordinante storiche,
religiose, sociali di quanto accaduto.
Dalle
origini della nazione armena, secondo la leggenda con radici
bibliche, alla formazione del regno. Dal trattato di amicizia
con Roma, alla dichiarazione del re Tiridate III che nel 301
istituì il cristianesimo religione ufficiale del popolo
armeno. Dalle invasioni di persiani e arabi, alla tragica sconfitta
dei bizantini a Manzikerk nel 1071 contro i turchi selgiuchidi,
che determinò la caduta dell'Armenia sotto il giogo turco
e la riduzione del suo popolo al rango di minoranza. Nonostante
varie restrizioni, come ad esempio l'impossibilità di
utilizzare la propria lingua, gli armeni convissero all'interno
dell'impero turco-ottomano fino alla fine dell'Ottocento, quando
il sultano Hamid II scaricò su di essi le responsabilità
della crisi economica e politica che ormai da decenni avevano
indebolito la struttura statale. Durante quella prima ondata
di repressione furono rasi al suolo 2.500 villaggi e uccisi
non meno di 200mila armeni. Tra i momenti più atroci,
la strage di Urfa quando le milizie turche incendiarono una
cattedrale dove era stati richiusi 3000 armeni. In quella occasione
si segnalarono rapimenti in massa di donne e conversione forzati
di armeni all'islam.
La
crisi irreversibile dell'impero ottomano culminò di lí
a pochi anni con l'esautorazione del sultano e la presa del
potere da parte del partito dei "Giovani Turchi".
Considerata inizialmente laica e progressista, questa formazione
abbandonò presto le idee mutuate dal liberalismo e dal
socialismo per far posto alla ideologia panturanista, che voleva
la costituzione di un impero su base etnico-religiosa dal Bosforo
fino ai confini con la Cina. A quel punto tutte le minoranze
(insieme costituivano il 30% dell'intera popolazione) furono
considerate un corpo estraneo, soprattutto quelle cristiane
- armeni e greci - che nel processo di turchizzazione pagarono
il prezzo più alto.
Il
massacro degli armeni si sviluppò con modalità
scientifiche. Prima vennero decimati quelli arruolati nell'esercito,
mandandoli in avanscoperta nei fronti caucasici della Prima
guerra mondiale. Poi fu sterminata l'elite intellettuale e imprenditoriale.
Quindi si passo alle deportazioni di massa verso territori isolati
in cui si veniva lasciati a morire di fame e di sete, non prima
di aver subito angherie di ogni genere lungo il percorso. Crudeltà
spaventose, inflitte senza distinzione di età e genere.
Il numero delle vittime fu nell'ordine di circa un milione e
mezzo di morti. A questa catastrofe si aggiunse la diaspora
dei sopravvissuti. La tante comunità armene nel mondo
sono l'effetto di quando avvenuto tra il 1915 e il 1923. In
Europa, quella più numerosa è in Francia e conta
300mila cittadini. Forti presenze anche negli Usa, in Canada,
Sudamerica. Coloro che scamparono a quella ferocia inaudita
e i discendenti hanno cercato di tenere viva la memoria storica.
E' stata - ed è tuttora - un opera difficile poichè
vi si oppongono spesso cosiddette "ragioni di realpolitik",
che hanno determinato a volte l'impossibilità del riconoscimento
del genocidio armeno per via parlamentare, altre volte un riconoscimento
senza precisi riferimenti nell'attribuzione della responsabilità.
Il
libro di Alberto Rosselli contiene anche un capitolo sulla attualità
dell'Armenia, indipendente dal 21 settembre 1991. Di particolare
rilevanza la questione del Nagorno Karabagh, regione a maggioranza
armena in territorio azero, per la quale Armenia e Azerbaijan
hanno combattuto un conflitto costato decine di migliaia di
morti. I rapporti con l'Azerbaijan sono soggetti a una doppia
lettura, poiché lo stato azero è sostanzialmente
orbitante nella sfera turca per comune etnia e religione.
L'Armenia,
nonostante la Turchia abbia chiuso la frontiera decretandone
un pesantissimo isolamento, è riuscita con molta tenacia
avviare un percorso di sviluppo economico e con altrettanta
abilità politica ha saputo ritagliarsi spazi di movimento
nel quadro euroasiatico. Dal 3 ottobre 2005, con l'inizio del
negoziato tra Ankara e Bruxelles per l'ingresso della Turchia
nella Ue, i rapporti tra Turchia e Armenia sono diventati automaticamente
oggetto di valutazione da parte della Parlamento europeo, del
Consiglio della Ue e della Commissione. Tra le richieste della
Ue alla Turchia vi è infatti la normalizzazione dei rapporti
con Jerevan e la necessità che Ankara riconosca il genocidio
del popolo armeno.
In
Argentina, il 12 gennaio scorso, nonostante le forti pressioni
turche, il presidente Nestor Kirchner ha promulgato la legge
che istituisce il 24 aprile "giornata per la tolleranza
e il rispetto tra i popoli", in memoria del genocidio subito
dal popolo armeno. La legge era stata prima approvata all'unanimità
dal Senato. La questione del riconoscimento del genocidio armeno
da parte di Ankara è tornata alle cronache internazionali
dopo l'assassinio in Turchia di Hrant Dink, giornalista di origine
armena, direttore di del giornale "Agos", da cui ha
promosso il dialogo tra armeni e turchi. Questa sua opera si
è però scontrata con le intenzioni opposte di
frange estremiste turche e con la complessità di una
società in cui la definitiva svolta democratica e laica
è tuttora oggetto di interrogativi. Nell'ottobre 2004
Hrant Dink è stato infatti condannato a sei mesi di prigione
(con la condizionale) per il reato di "offesa alla turchicità",
previsto dall'articolo 301 del codice penale. Un articolo di
cui la Ue ha chiesto la cancellazione o quantomeno la modifica
poichè non conforme all'ordinamento giuridico comunitario
e ai principi di liberalità e democrazia fondamenti ineludibili
del diritto e della civilità europea.
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