Una grande storia di vinti non piegati
di Tiziana Agostini
La
masseria delle allodole, genocidio degli armeni e storie di
famiglia
Selezione
Campiello e Premio Berto al romanzo opera prima di Antonia Arslan
Se
la storia del Novecento ha affidato alla memoria collettiva
lo sterminio degli ebrei perpetrato dal nazismo, non altrettanto
si può dire del genocidio degli armeni, avvenuto nel
1915, durante la prima guerra mondiale e per mezzo di essa occultato.
Di questo crimine contro l'umanità sfugge anche l'entità
e la gravità, perché fino ad oggi sostanzialmente
negato dai responsabili e dai loro discendenti, quei "giovani
turchi" che si apprestavano a costruire sul corpo morente
dell'impero ottomano il nuovo stato nazionalista, fondato sulla
purezza etnica, da ottenere con qualsiasi mezzo. A portare il
genocidio armeno in primo piano, non attraverso la ricostruzione
storica, ma grazie all'intensità emotiva e alla forza
di suggestione della letteratura, provvede ora il romanzo di
Antonia Arslan, fino ad oggi conosciuta come studiosa e che
esordisce, per i tipi di Rizzoli, con La masseria delle allodole
. Esordio vincente: il libro ha vinto il premio Berto, il Casanova
ed è entrato nella cinquina del Campiello Antonia Arslan
è di origine armena: il nonno Yerwant aveva lasciato
la propria terra d'origine ancora tredicenne per studiare al
collegio veneziano Moorat-Raphael e diventare poi apprezzato
medico. Il desiderio di ritrovare le radici non lo aveva però
lasciato. Nel 1915, dopo la morte del padre, il grande e stimato
Hamparzum, progetta il viaggio di ritorno in Armenia, per far
conoscere al fratello Sempad lì rimasto la famiglia che
nel frattempo si era formato. Sempad mette in moto tutta la
sua famiglia per accoglierlo alla masseria delle allodole, la
loro casa antica sulle colline, felice dimora di riposo dalla
fatica di tutti i giorni.
Ma la masseria non accoglierà mai Yerwant che pur ha
preparato la sua Isotta Fraschini e i doni da portare. Il 24
aprile 1915 comincia da Costantinopoli l'eliminazione degli
Armeni; un mese dopo l'Italia entra in guerra. La masseria diventa
uno dei luoghi del massacro degli uomini mentre le donne partono
verso la cancellazione nel deserto.
La scena dello scannatoio alla masseria è uno dei passaggi
più intensi del romanzo per la sua straordinaria forza
visiva ed emotiva, che le fa assumere la valenza archetipica
di simbolo di tutti i massacri che il cammino doloroso dell'umanità
ha conosciuto. Un vero e proprio pugno nello stomaco e nella
testa del lettore, chiamato poi a seguire il fortuito e fortunoso
salvataggio delle donne della famiglia di Sempad sopravvissute.
Tra di loro si cela un bimbetto, risparmiato solo perchè
indossava un abitino femminile.
L'efficacia della narrazione risiede nel punto di vista con
cui è condotta, che è quello delle creature inermi,
che sanno riempire le loro giornate solo di dedizione operosa,
di attaccamento alla vita e agli affetti, persone abituate a
lavorare per gli altri, come lo stesso Sempad, farmacista, che
con i suoi preparati curava ricchi e poveri, turchi, armeni,
ortodossi e quanti abbisognassero di rimedi. E poi la dolce
Shushanig, tutta presa dall'amore per il marito, incapace di
fare del male, che riesce però come madre violata e ferita
a trovare il modo di provvedere alla salvezza dei figli sopravvissuti,
mandandoli fuori dalla Turchia, grazie alla sottile e lunga
rete familiare, stesa tra Oriente ed Occidente.
E quando la fine incombe, si fa concreta la presenza dei morti
e dei santi, che confortano nel cammino doloroso gli sciagurati,
ma umili e devoti, che non hanno altre speranze. Non a caso
il romanzo si apre con Antonia che a cinque anni va a rendere
omaggio assieme al nonno al suo santo, Antonio da Padova. Con
loro la zia Henriette "creatura della dispora, non aveva
più una lingua madre". Antonia Arslan ripercorre
quelle molte lingue e ritrova i suoi santi, che ne hanno accompagnato
l'esistenza come una musica di sottofondo e un profumo lontano,
di quel mite e laborioso popolo dalla desinenza finale in "ian"
dei cognomi.
Con il libro della Arslan siamo di fronte ad una grande storia
di vinti, ma non piegati.
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