E
adesso basta con quel Genocidio negato!
Da
"Il Riformista" del 21 Dicembre 2004
Le
autorità di Ankara dovrebbero riconoscere il massacro d'inizio
secolo nei confronti degli armeni. Secondo le autorità turche,
il genocidio armeno (da loro considerato una disgrazia bellica)
appartiene al passato. E' vero, sono trascorsi 89 ann da quando
l'impero ottomano prima, e la repubblica fondata dai giovani turchi
poi, decisero di annientare le popolazioni non turcofone dell'Asia
Minore - greci, assiri e, soprattutto, armeni (circa un milione
e mezzo di morti solo tra questi ultimi). Ottantanove anni sono
troppi per un'epoca in cui la verità viene sempre più
spesso cercata su Google piuttosto che nelle biblioteche; ma sono
troppo pochi rispetto alla storia di quella civiltà europea
che è la base dell'Unione stessa. Il genocidio armeno fu
il primo sterminio di massa del ventesimo secolo e aprì la
strada per altri, più grandi orrori. Ma a differenza di questi
ultimi, non è ancora stato pienamente riconosciuto, nonostante
negli ultimi anni siano stati fatti passi enormi in avanti. I turchi
hanno sempre negato le loro responsabilità oppure hanno chiamato
in causa circostanze eccezionali legate agli avvenimenti bellici
dell'epoca. Oppure, come negli ultimi anni, hanno sostenuto che
erano stati gli armeni a massacrare i turchi e che il loro era stato
soltanto un atto di "autodifesa". Eppure esiste un'enorme
mole di fotografie, testimonianze oculari, documenti storici, carteggi
diplomatici italiani, americani, inglesi e francesi, atti parlamentari
delle democrazie occidentali e citazioni letterarie incontrovertibili
(dai Quaranta giorni di Musa Dagh di Franz Werfel, noto a generazioni
d'italiani, a Mrs. Dalloway di Virginia Woolf, tanto per citarne
due a caso) che raccontano della tremenda attualità del genocidio
nei primi decenni del Novecento, dell'orrore delle deportazioni
di massa, delle carovane di morte nei deserti della Siria e di Mesopotamia,
di città e villaggi dalla storia millenaria annientati in
giro di pochi mesi. E' stato perfino riconosciuto dai curdi, che
pure parteciparono ai massacri come semplici esecutori, e che ora
hanno assunto le proprie responsabilità e invitano Ankara
a fare lo stesso. Del genocidio armeno si continua a parlare sempre
di più. In Israele, per esempio, dove è in corso una
controversia sul fatto se si debba o meno chiamarlo "olocausto".
Andate a vedere su IsraelForum.com, dove si discute vivamente della
necessità e del dovere di riconoscere in pieno la catastrofe
che colpì gli armeni e dove ci si scandalizza per la posizione
ufficiale, sebbene non monolitica, di Gerusalemme, che ridimensiona
la storia per non irritare il suo unico alleato nella regione.
Nella
stessa Turchia esistono molti intellettuali come Taner Akçam,
Fikret Adanir, Caglar Keyder, Halil Berktay, Müge Goçek,
Mete Tuncay e Hakan Özoglu che credono sia imperativo che la
società turca affronti i "demoni del passato".
In patria, questi intellettuali possono essere accusati di minare
gli interessi nazionali, eppure in diverse occasioni hanno partecipato
a dibattiti organizzati con i loro colleghi armeni, non ultimo un
convegno storico all'University of Chicago nel 2000. E chiedono
tutti che Ankara apra al pubblico i suoi archivi gelosamente custoditi
per quasi nove decenni, cosa che finora non è successo (se
non per alcuni storici negazionisti). Tuncay, per esempio, sostiene
che gli «interessi nazionali» in realtà rappresentano
gli interessi di «certe persone che seguono certe ideologie».«L'ideologia
nazionalista aderisce a un credo cieco nella supremazia»,
ha sostenuto sulle pagine di Radikal, giornale turco. «In
queste condizioni, fare una ricerca degna diventa un atto eroico.
E nessun storico deve essere costretto all'eroismo». Tuncay
ricorda che gli armeni erano parte integrante e formidabile del
tessuto economico ottomano e che avevano «ricchezze considerevoli».
«C'è un problema di proprietà. Non si tratta
di pochi ettari di terra. Chi ha preso possesso di queste proprietà?»
si domanda. Oltre a lasciare una gravissima ferita aperta nella
psiche delle sue vittime (cosa che negli anni settanta ha spinto
alcuni individui al terrorismo, per fortuna di breve durata grazie
anche all'opposizione dell'opinione pubblica armena), il negazionismo
ha danneggiato e danneggia soprattutto la stessa Turchia non permettendole
di superare una forma di nazionalismo esasperato che non ha più
patria in Europa, la stessa che si ostinava a chiamare i curdi "turchi
di montagna". Il genocidio è stato frutto diretto di
questo nazionalismo che s'infuocò con la progressiva decomposizione
dell'impero ottomano. Non ha nulla a che fare con le differenze
religiose se non in modo strumentale.
Nella
sua età d'oro, l'Impero Ottomano era stato cosmopolita e
tollerante, sebbene non nel senso contemporaneo del termine. Durante
il genocidio non furono pochi i musulmani turchi che cercarono di
salvare donne e bambini armeni. E molti di coloro che furono deportati
nel deserto furono salvati al sud dagli arabi e all'est dai persiani,
anche loro musulmani. Testimonianze oculari raccontano, per esempio,
che nel Caucaso musulmano, confinante con l'impero ottomano, i consolati
persiani piantavano le proprie bandiere nei campi profughi per proteggere
le vittime. Il riconoscimento del genocidio porrebbe fine alle esasperazioni
aprendo la strada della riconciliazione e della stabilità
regionale in quello che con ogni probabilità sarà,
insieme all'Armenia e all'Azerbaigian, l'estremo, inevitabile lembo
dell'Europa del futuro.
Caren
Davidkhanian
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