IMMIGRAZIONE
ED INTEGRAZIONE
L’ineluttabilità
del fenomeno dell’immigrazione è ormai riconosciuta
universalmente. Anche in Italia, che era un Paese di emigrazione,
oggi non c’è più nessuno che nutra dubbi sulla
necessità di importare manodopera. La stessa, tanto discussa,
normativa introdotta nelle ultime legislature, soprattutto quella
del 2002 (ultima sanatoria), nonostante tanti limiti, prende atto
dei fabbisogni espressi dal sistema economico.
Quindi si é generalmente consapevoli che l'arrivo degli immigrati
é un processo strutturale e ineludibile, in cui l'iniziativa
delle persone in cerca di una vita migliore incontra la domanda
del sistema economico. Il problema é quello di decidere se
si preferisce tentare disperatamente di arginare il fenomeno, spingendolo
verso la clandestinità e rifiutando di prepararsi adeguatamente
a governarlo, oppure gestirlo ed incanalarlo in maniera intelligente
e il più possibile equa e pacifica, non solo per i benefici
contingenti dei "diretti interessati", cioè i datori
di lavoro, gli immigrati e le finanze statali, ma per la convivenza
e la coesione dell'intera società. Ne consegue l'importanza
cruciale e strategica delle politiche di integrazione.
E da quest’ultima considerazione si evince l’importanza
del significato e della definizione che s’intende dare all’espressione
“Integrazione”.
Il concetto di integrazione é talmente soggetto ad interpretazioni
ed usi molto differenti, che prima di esporre qualsiasi orientamento,
è necessario un chiarimento.
Considerare il fenomeno “Immigrazione” solo come una
questione di braccia e pancia, quindi puntare esclusivamente alla
formazione lavoro fa risparmiare certamente dei costi aggiuntivi,
ma le future tensioni sociali ed etniche, il dilagare dei fenomeni
di devianza sociale e la crescita di tendenze di xenofobia e razzismo,
non implicherebbero enormi costi per la società?
La riuscita dei progetti di integrazione e la qualità della
nostra futura convivenza dipendono da modelli di integrazione che
concepiamo, da come e quanto siamo oggi disposti ad investire in
tale direzione, da ruolo “da protagonista” che riconosciamo
all’immigrato, e, in fine, da mezzi istituzionali che mettiamo
a loro disposizione.
Il primo approccio vede “l’immigrazione” come
un fenomeno temporaneo, di lavoratori "ospiti" che vengono
chiamati in quanto necessari per rispondere a certe esigenze del
mercato del lavoro, ma che non devono mettere radici, quindi niente
inclusione sociale e zero investimenti per l’integrazione.
Il secondo approccio, che rappresenta l’opinione diffusa e
largamente riecheggiata dal dibattito massmediatico, ritiene che
l’integrazione sia un dovere degli immigrati; spetterebbe
a loro dimostrare di essere integrati o disponibili ad accettare
consuetudini e modelli di vita della società ricevente oltre
ché accontentarsi docilmente delle posizioni subalterne loro
riservate nel sistema economico.
L'idea sottostante a questa visione é quella di una società
omogenea e compatta attorno a un suo proprio modello di civiltà
al quale i nuovi arrivati, definiti “diversi”, devono
sottomettersi (in maniera preventiva) senza discussione, se intendono
essere ammessi e tollerati.
Il terzo approccio é quello multiculturale, in cui, dando
per scontata l’ irriducibilità delle culture, convivono
e si tollerano etnie, tradizioni e culture diverse senza toccarsi
e senza interazioni significative tra loro.
Quest’ultimo approccio affonda le sue radici nel modello flessibile
e pluralistico della democrazia anglosassone e trova la sua attuazione
più avanzata negli Stati Uniti. In questo modello, ponendo
enfasi sul mantenimento della lingua e della cultura del Paese d’origine
e favorendolo con programmi educativi specifici, viene condizionato
il futuro delle nuove generazioni, stabilendo la permanenza nelle
enclave etniche, disincentivando ogni sforzo diretto verso promozioni
sociali e l’inserimento nel mercato del lavoro più
aperto. Così, si finisce, poi, coll’inchiodare gli
individui all’interno di una certa appartenenza etnico-culturale
indipendentemente dalla loro volontà e dal loro sentimento
soggettivo di adesione, rischiando di produrre forme di isolamento
e ghettizzazione delle minoranze, anziché favorire l’inclusione
e la comunicazione reciproca.
Sulla base di alcune riflessioni maturate in seguito alle esperienze
vissute in oltre quaranta anni in Italia, contrapponiamo un approccio
diverso dai modelli fin qui descritti.
La visione degli immigrati come portatori di culture coerenti, irriducibili
e aliene è statica e fuorviante. Le culture sono fenomeni
dinamici e complessi, in continua evoluzione, anche attraverso i
contatti, i confronti e gli scambi con altri universi culturali.
Non esistono muri invalicabili tra esse ed i confini sono mobili
ed in perenne ridefinizione. Le forme di ibridazione, soprattutto
in contesti di immigrazione, sono incessanti e inevitabili. Gli
individui con le sfumature e la discrezionalità dei loro
atteggiamenti, non sono riconducibili interamente e collettivamente
a presunte culture di appartenenza.
L'immigrato
é anche un “viaggiatore culturale” che cambia
spesso senza saperlo e a volte senza accorgersene.
L'integrazione va concepita innanzitutto come un lungo e continuo
processo di inserimento sociale e di apprendimento culturale e non
come un dato acquisito e preventivo alla partenza.
Essa non é un abbraccio acritico della cultura occidentale
(o meglio di una sua versione), anche perché ciò non
aiuta affatto gli immigrati nel loro graduale insediamento nella
nuova società, né tanto meno al mantenimento di forme
di appartenenza culturale alla società di origine.
L’integrazione dovrebbe, tra l’altro, valorizzare quella
grande risorsa, non solo economica, ma anche sociale ed umana, costituita
dal fenomeno dell’immigrazione.
L'integrazione non subalterna non mira a tagliare i ponti con la
società di origine né ad abbandonare i legami comunitari
nei quali l’immigrato trova un mutuo sostegno spesso indispensabile,
ma gli offre una possibilità di rielaborazione della sua
esperienza e di proseguimento di un equilibrio tra la sua appartenenza
e le sollecitazioni culturali ricevute.
Gli orientamenti devono mirare alla formazione dell’immigrato
per l’integrazione nella vita sociale e per la promozione
di una cittadinanza attiva e responsabile ai fini della costruzione
di una convivenza proficua e di arricchimento reciproco.
Conoscere l’identità del paese ricevente, la moltitudine
di elementi che lo compongono, la storia, la geografia, l’arte
e l’architettura, la religione, la costituzione, il sistema
di diritti e doveri, le istituzioni nazionali e territoriali (gruppi
associativi, partiti, sindacati, comune, provincia, regione, stato,
organismi di cooperazione internazionale, con particolare riguardo
alla comunità europea) agevola il percorso di inclusione
e la capacità degli individui di interagire con la società.
Chi emigra è una persona che ha spesso già maturato
atteggiamenti di distacco critico e di scarsa identificazione con
il luogo in cui é nato e cresciuto.
Studenti e ricercatori
borsisti, dissidenti e rifugiati politici risentono maggiormente
dell’allontanamento dalla propria cultura e tendono, se dovutamente
sostenuti, a rielaborare le culture e conoscenze d'origine che vengono
in contatto e confronto con le nuove acquisizioni.
Una sorta di
dialogo costruttivo tra più culture che concorre a promuovere
la formazione dei nuovi cittadini, lo sviluppo della persona umana
e l'effettiva partecipazione a tutti livelli della vita civica.
Se l’immigrato, soprattutto lo studente e il rifugiato è
il soggetto strategico di sviluppo, di apertura di orizzonti e di
convivenza pacifica, le associazioni degli immigrati ne costituiscono
lo strumento più idoneo di partecipazione e di interazione.
Negli ultimi anni, sono emerse molte associazioni “per gli
stranieri”, la cui fioritura è stata di indubbia utilità
alla gestione dell’emergenza e sostegno materiale degli immigrati
bisognosi. Parallelamente, molte associazioni “degli stranieri”
sono state disciolte, dopo lunga agonia, per mancanza di mezzi,
con indubbio impoverimento civico dell’immigrazione e non
solo.
Per gestire l’emergenza senza perdere di vista il fenomeno
strutturale dell’immigrazione è necessario favorire,
con strumenti istituzionali, la creazione e la crescita di associazioni
degli stranieri anziché per gli stranieri.
Più associazioni degli stranieri nasceranno e più
grande sarà il laboratorio interculturale ed interetnico
che ne scaturirà.
N.B il riferimento di 40 anni di esperienze vissute dalle associazioni
è per la esperienza della confederazione studentesca iraniana,
dal 1963- 1972, quella di CUDI (comitato unitario per la democrazia
inIran, dal 1970- 1981, Lega internazionale iraniana per la difesa
dei diritti civili e democratici, dal 1981, PRESIDIO, del 1984-1985,
che si trasformò in FOCSI9 Federazione delle Associazioni
e delle Comunità Straniere in Italia, dal 1985 -1992,dell’ARPI
– associazione dei rifugiati politici in Italia , dal 1988,
quella del FORUM delle Comunità Straniere in Italia, dal
1989, soprattutto quella Casa della Cultura iIraniana di Firenze
e Venezia,
Roma
il 18- 11- 2004 Arch. Vahed Massihi Vartanian
Vartanian2000@hotmail.com
3477539508
www.
Zatik.com e www.forumcomunitastraniere.it
Relazione
per il corso di “DIALOGO CIVILE E QUALITA’ INTERCULTURALE
DEI SERVIZI”
PROGRAMMA per OPERATORI
I seminario: La condizione di straniero |