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050319 - Una svolta, gli Stati Uniti si sono dichiarati molto solidali e preoccupati della sorte dei Somali
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“Turning point” è una parola inglese per definire “una svolta”, parola che si addatta benissimo per la politica estera americana nei confronti della Somalia sul golfo della costa di Aden.
La Somalia è stata tormentata per circa 15 anni, precisamente dalla morte del dittatore Mohamed Said Barre (1969-1991), da guerre civili condotte dai signori della guerra dei vari clan in lotta per terre e risorse varie. Queste guerre hanno lasciato più di 500,000 morti e 1.5 milioni di profughi scappati nei paesi confinanti. Insieme a questi problemi interni, si sono aggiunti gli interessi delle varie super potenze come Inghilterra e Stati Uniti che non sono state in grado di risolvere i problemi, anzi, hanno spesso contribuito alla divisione territoriale (creazione della British Somalidad e la disastrosa esperienza U.S.- U.N. di Restore Hope 1992-1994) e alla guerra tra clan.
Nel 2000, dopo 13 anni di anarchia, si è arrivato alla creazione del nuovo governo Somalo con sede a Nairobi.Questo governo è stato creato sotto la guida di Abdullahi Yusuf Ahmed, uomo di storia militare e presidente della regione semi autonoma di Puntaland. Questo governo, purtroppo, si è subito dovuto confrontare con le problematiche che hanno afflitto questo paese per tantissimo tempo. Yusuf è stato subito criticato per il modo di fare autoritario ed i suoi rapporti troppo stretti con i vicini/rivali dell’Etiopia. Per questo motivo è molto impopolare nella capitale Mogadiscio e per questo motivo ha eletto come Primo Ministro Ali Mohamed Ghedi, veterinario di Hawiye. Ghedi, pur avendo poca esperienza politica, proviene dal più grande clan della popolazione Somala che controlla la capitale di Mogadiscio.
Dopo l’11 Settembre 2001, sotto l’amministrazione Bush, la Somalia è stata accusata di essere un paese che ospita basi di Al Qaeda e quindi è entrata nelle liste del Pentagono come paese target sulla lotta contro il terrorismo. Una volta dichiarati come terroristi il gruppo Al-Itihaad e quindi considerati come nemici della democrazia, gli Stati uniti hanno iniziato a condurre una guerra dal punto di vista economico per destabilizzare queste cellule terroristiche. È stata chiusa la società somala di trasferimento di denaro di proprietà della Al-Barakat, unica società che si occupa di movimenti di capitali dei Somali residenti all’estero e unica sostentamento per circa l’8% della popolazione .Dal punto di vista delle comunicazioni è stata chiusa l’unica società di servizio internet, vietando cosi l’accesso ad internet e limitando allo stesso tempo le comunicazioni via telefono. Washington è addirittura arrivata a discutere la possibilità di un appoggio da parte dell’Etiopia nel caso in cui si trovassero basi di al Qaeda. Quindi in poche mosse gli Stati uniti sono riusciti a rendere la situazione ancora più complessa e “disperata”.
Tornando al nuovo governo somalo, con a capo Abdulahi Yusuf, è rimasto sin dalla creazione a Nairobi per motivi di sicurezza. Yusuf, per risolvere le questioni legate ai vari signori della guerra, si è rivolto all’Unione Africana chiedendo senza l’appoggio del parlamento o dei ministri, in particolare ai paesi confinanti, una forza di pace in grado di garantire la sicurezza per lo spostamento del governo a Mogadishu. Si dice che Yusuf abbia addirittura pensato di spostare la sede a Puntland. Una volta resa pubblica queste notizie, ci sono state molte dimostrazioni nel centro della Somalia, con tanto di minaccie di non far entrare queste forze di pace.
Ma queste manifestazioni sono servite a poco, infatti l’Unione Africana ha dato il permesso al Kenya, Djibouti, Etiopia, Sudan e Uganda di allocare 30,000 soldati per il rientro del governo a Mogadishu. Questa decisione ha creato tantissimi malumori e accuse da parte dei vari signori della guerra i quali hanno accusato Abdullahi di aver chiamato la forza di pace senza consultare il governo e di voler spostare la capitale. Da queste accuse è nato il serio problema del rientro, poiché la fazione dei Hawiye, che controlla la capitale, hanno dichiarato attraverso il ministro Osman Ali Ato di non voler la forza di pace e quindi di essere disposti a combattere gli Etiopi e tutti i nemici della Somalia e accusa il Presidente Abdullahi e molti dei suoi collaboratori di essere manipolati da Addis Ababa.
Da qui passiamo al famoso Turning point. Infatti da una politica molto aggressiva gli Stati Uniti si sono dichiarati molto solidali e preoccupati della sorte dei Somali, esprimendo i loro dubbi su una forza di pace condotta dall’unione Africana e dall’Autorità Internazionale dello Sviluppo. Questo risvolto incredibile della politica americana, la quale sostiene il nazionalismo Somalo contro l’Etiopia, è in completa opposizione alla politica finora sviluppata, una politica che ha dato carta bianca a Meles Zenawi’s per intervenire quando e dove avessero voluto in quanto alleati fidati.
Roberto Mainardi - Aleme Eshete
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