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06.Agos.2024 : La rivoluzione dei Giovani Turchi fu diretta dalla regia dei Dunmeh ebrei?
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La rivoluzione dei Giovani Turchi fu diretta dalla regia dei Dunmeh ebrei?
di Francesco Lamendola - 29/04/2010
- È noto che la cosiddetta rivoluzione dei Giovani Turchi partì da Salonicco, nel 1908, e precisamente dall’Ottava Armata ottomana che era lì di stanza; e che tale corpo militare, al grido di “Patria!”, marciò su Istanbul e prese il potere per conto del Comitato Unione e Progresso, esautorando il Sultano.
Tutto era incominciato nel 1906, quando una decina di cospiratori avevano formato l’Associazione ottomana della libertà, nucleo del futuro movimento dei Giovani Turchi, largamente ispirata dalla Massoneria dei paesi dell’Europa occidentale, così come - nella prima metà del XIX secolo - era avvenuto per la Carboneria ed altre società segrete, fra cui la stessa Giovine Italia di Mazzini, miranti a rovesciare l’ordine della Restaurazione.
In quel gruppo di cospiratori erano già presenti i tre uomini che, di lì a pochi anni, avrebbero preso le redini del governo turco, avrebbero gettato il loro Paese nel braciere della prima guerra mondiale e avrebbero deciso, pianificato e portato a termine il primo grande genocidio del XX secolo: quello degli Armeni, nel 1915-16, che costerà la vita a qualcosa come due milioni di esseri umani, fatti sparire nel nulla nel giro di pochi mesi.
Si trattava di Mehmet Talaat, Gemal Bey ed Enver Bey, il fatale triumvirato che avrebbe precipitato l’Impero ottomano nella disfatta e avrebbe anticipato i metodi di sterminio hitleriani e staliniani su larga scala. Sarebbero finiti male, tutti e tre: Talaat assassinato a Berlino nel 1921, Gemal assassinato a Tiflis nel 1922 ed Enver ucciso in combattimento dall’Armata Rossa, nel Tagikistan, sempre nel 1922.
Tuttavia, dalla loro disfatta sarebbe nata la Turchia moderna, sotto la guida carismatica di Kemal Atatürk, altro ufficiale largamente acquisto all’ideologia laica e “progressista” del Comitato Unione e Progresso. Nei libri di storia occidentali egli è presentato come un personaggio positivo, perché autore della modernizzazione del suo Paese, trascurando alcuni piccoli dettagli, come il fatto che fu un dittatore dal pugno di ferro e che si rese responsabile del completamento del genocidio degli Armeni, al quale aggiunse un genocidio in scala minore a danno dei Greci di Smirne e di altri luoghi dell’Anatolia occidentale, all’epoca della guerra contro la Grecia, conclusa vittoriosamente nel 1922.
L’obiettivo iniziale dei Giovani Turchi sembrava di portata politica limitata: il ripristino della Costituzione del 1876, rimasta inapplicata. Ma, davanti alla repressione del sultano Abdul Hamid, che si accanì contro gli ufficiali simpatizzanti del movimento, nel luglio del 1908 l’Ottava Armata, come si è detto, marciò da Salonicco su Istanbul, obbligando il Sultano a ripristinare la Costituzione, incluse alcune nuove norme, tra cui l’abolizione dei tribunali speciali e la concessione della libertà di stampa.
L’anno dopo, nel marzo del 1909, il sultano Abdul Hamid tentò un colpo di mano contro il Comitato Unione e Progresso, ma gli andò male e venne costretto ad abdicare dalla pronta reazione dell’esercito di Salonicco, che non abolì la monarchia, ma pose sul trono un personaggio estremamente malleabile, il sultano Mehmet V
Ora, bisogna sapere che Salonicco, il centro della insurrezione dei Giovani Turchi, che contava, all’epoca, 150.000 abitanti, possedeva una antica colonia ebraica di 75.000 persone, vale a dire il 50% della popolazione totale. Si trattava di una colonia molto forte economicamente, legata alle altre comunità ebraiche d’Europa e con numerose banche e gruppi finanziari di tutto il continente. Fra gli Ebrei, numerosi erano i Dunmeh, ossia i cripto-giudei seguaci del movimento dei sabbatei, che aveva conosciuto un momento di fervido entusiasmo nel XVII secolo, sotto la guida di Sabbatai Zevi, proclamatosi il tanto atteso Messia liberatore del popolo d’Israele.
Arrestato dalle autorità turche, nel 1666 egli aveva compiuto un gesto clamoroso e che, sul momento, apparve incomprensibile ai suoi seguaci: quello di abiurare la fede dei padri e di convertirsi all’Islam. In realtà, sembra certo che si fosse trattato di un mero espediente per evitare una tragica fine, nonché l’estinzione totale del movimento. Sabbatai Zevi avrebbe, infatti, solamente finto di abbracciare l’Islam; ma, in segreto, sarebbe rimasto un Giudeo, consigliando i suoi seguaci di fare la stessa cosa. Esteriormente, i sabbatei sarebbero stati dei musulmani irreprensibili; ma, in privato, avrebbero conservato l’osservanza alle legge dei padri; e, comunque, si sarebbero sempre astenuti dal matrimonio con donne musulmane, continuando a sposarsi solo ed esclusivamente con donne ebree.
Ora, la presenza di una così forte comunità giudaica a Salonicco e, all’interno di essa, di molte migliaia di Dunmeh, ansiosi di veder realizzarsi il loro sogno di riscatto nazionale e religioso, difficilmente può essere considerata una semplice coincidenza, nel momento in cui il Comitato Unione e Progresso si accingeva a fare la sua “rivoluzione” democratica, che, in realtà, fu un puro e semplice colpo di Stato nazionalista. Eppure, sembra che gli storici non si siano accorti di ciò e ben di rado hanno mostrato di prendere in considerazione l’ipotesi che vi sia stata una regia occulta, da parte degli Ebrei di Salonicco, e particolarmente dei Dunmeh, nei confronti del Movimento dei Giovani Turchi.
Per uno de maggiori esperti occidentali di storia della Turchia moderna, William Yale, già professore all’Università di Boston, nel movimento dei Giovani Turchi vi erano presenze diverse, musulmane, ebree e cristiane, ma il movimento era essenzialmente turco, per quanto diviso fra nazionalisti turchi e filo-ottomani, favorevoli, questi ultimi, a uno Stato multirazziale e, come oggi si direbbe, multiculturale.
Peraltro, lo stesso Autore (in: «Il Vicino Oriente»; titolo originale: «The Near East», University of Michigan Press, 1958; traduzione italiana di Guido Martinotti, Milano, Feltrinelli, 1962, pp. 178-79) ricorda come, nel 1901, vi era stato un incontro fra il pioniere del sionismo, Theodor Herzl, deciso a ricostituire uno Stato ebraico in Palestina, e il sultano Abdul Hamid:
«Negli incontri e nelle note inviate ad Abdul Hamid, Herzl fece due proposte sbalorditive: la prima, di rifondere, tramite un sindacati di banchieri ebrei, la Turchia dei suoi debiti e liberarla, dalla tutela economica delle grandi potenze; la seconda che il sultano concedesse una patente a una compagnia ebraica per lo sviluppo agricolo e la colonizzazione ebraica. Colto nel pieno svolgimento delle trattative per i prestiti con la Francia, Abdul Hamid impiegò con Herzl i suoi ormai sperimentatissimi metodi di temporeggiare, procrastinare e mettere gli uni contro gli altri al fine di ottenere condizioni più vantaggiose dalla Francia: egli disse che era sempre stato amico degli ebrei e che avrebbe accolto con piacere insediamenti sporadici di ebrei in Anatolia a patto che gli immigrato ebrei prendessero la cittadinanza ottomana, rinunciassero alla precedente cittadinanza e con la condizione aggiunta che i governanti a cui essi erano precedentemente soggetti accettassero di riconoscere ufficialmente la cancellazione della cittadinanza primitiva. Tuttavia Abdul Hamid non aveva alcuna intenzione di permettere una immigrazione e colonizzazione ebrea di massa. Egli pera perfettamente al corrente degli scopi e dei fini del movimento sionista, che aveva recentemente indetto il primo congresso mondiale sionista a Basilea in Svizzera nell’estate del 1897.»
La tattica temporeggiatrice di Abdul Hamid e, poi, il prevalere della fazione ultranazionalista in seno al Comitato Unione e Progresso, quand’esso divenne effettivamente il governo della Turchia, spiegano perché il sionismo si rivolse alla Gran Bretagna e ottenne, con la Dichiarazione Balfour, la promessa di un focolare nazionale ebraico in Palestina, durante la prima guerra mondiale, quando la Turchia era schierata al fianco degli Imperi Centrali e destinata a venir travolta, insieme ad essi, nella sconfitta del 1918.
Riassumendo: gli Ebrei erano molte centinaia di migliaia nell’Impero ottomano, ai primi del XX secolo; a Salonicco, culla del movimento dei Giovani Turchi, formavano metà della popolazione; da tempo controllavano le banche, il commercio, la stampa, la cultura; esercitavano un’influenza decisiva sulle forze armate e sul governo: e tutto questo sarebbe rimasto privo di influenza sugli stessi Giovani Turchi, sulla loro presa del potere e sulle loro successive decisioni, tanto in politica interna che in politica estera?
Eppure, sembra che il solo Maurizio Blondet si sia accorto di tutte queste curiose coincidenze e abbia avuto il coraggio di fare due più due, mettendo insieme le varie tessere del mosaico, fino a delineare un quadro complessivo assai diverso da quello che è stato descritto da generazioni di storici professionisti delle più varie scuole.
Egli, infatti, nel suo saggio «Cronache dell’Anticristo» (Milano, Effedieffe Edizioni, 2001, pp. 19-22), ha così ricostruito quella vicenda:
«Già il 17 maggio del 1717 Lady Mary Montagu, moglie dell’ambasciatore britannico presso la Sublime Porta, scriveva:
“ho osservato che la maggior parte dei commercianti ricchi, qui, sono ebrei. questo popolo ha un potere incredibile in questo paese. godono numerosi privilegi, anche rispetto ai turchi di nascita. tutto il commercio dell’impero è nelle loro mani. ogni Pascià ha il suo ebreo come uomo d’affari; questo ne conosce tutti i segreti e il business. non v’è transazione o commercio o questione che non passi per le loro mani. […] Anche i commercianti inglesi, francesi e italiani sono costretti a servirsi della loro mediazione. Nessuna operazione viene fata senza di essi, e il più umile di loro è ancora tanto importante che guai a chi lo offenda, perché tutta la comunità difende i suoi interessi come quelli del più influente fra loro (“Ebrei di Turchia” di Giacomo Saban, su “La Rassegna Mensile di Israel, 8 aprile 1983, P. 74).
Di fatto, mentre l’Impero Ottomano diventava giorno dopo giorno “il malato d’Europa”, affondando nella corruzione, nell’arbitrio e nei debiti contratti verso le banche estere, “tutte le funzioni importanti delle finanze pubbliche” ottomane (attesta Saban) erano in mano degli ebrei. Un Ezechiel Galiban salì al rango di “banchiere di corte”, amministratore del debito del Divano. Persino il corpo dei giannizzeri, queste SS ferocissime della Sublime Porta, avevano regolarmente intendenti israeliti, di cui ilo più famoso per influenza e potere fui Behar Carmona. […]
Israelita era di fatto ormai la classe dirigente ottomana: non solo medici e avvocati, ma giudici e membri del Consiglio di Stato. Perrsino l’Ammiraglio medico della Scuola di medicina Militare imperiale era ebreo. Nel numero, è difficile sapere ormai quanti dirigenti ufficialmente “turchi” appartenessero, con nomi turchi, alla comunità cripto-giudea dei Dunmeh.Si sa che i Dunmeh furono l’anima dell’intellettualità progressista, vivacemente nutrita dalla cultura europea, ricca di relazioni con Paesi occidentali anche lontani, , con rapporti d’affari con le più importanti “merchant banks” di Londra, con la Borsa Granaria di Varsavia, con le potenze finanziarie germaniche e francesi. Fra gli intellettuali e i giornalisti, proprio i Dunmeh (a ciò li facilitava il relativismo imparato nella segreta dottrina familiare) rafforzavano le file dei “liberi pensatori”, dei radicali borghesi. […]
Dal fuoco di queste idee sorse l’associazione detta Giovane Turchia. Ricalcata sulla Giovane Italia mazziniana, essa univa “gli ufficiali, ossia l’élite morale della nazione, e l’élite civile, ossia tutti i rappresentanti delle professioni liberali”: così la descrisse il giornalista francese Alfred Berl sulla “Révue de Paris” (pp. 303-317). Era la descrizione dei ceti sociali dove i sabbatei secolarizzati erano più fortemente presenti. Scholem ricorda che “i dunmeh hanno esercitato un ruolo importante nel Comitato Unione e Progresso”, l’organizzazione dei Giovani Turchi che ebbe origine a Salonicco”, il centro culturale dei sabbatei.
Le idee riformatrici si propagarono soprattutto nell’esercito ottomano dall’alto verso il basso, dagli ufficiali conquistarono i soldati. Il Risorgimento turco fu, in qualche modo, un “putsch” militare. »
È impossibile accertare se, come Blondet ipotizza, alcuni fra gli uomini più importanti del Comitato Unione e Progresso furono, essi stessi, dei dunmeh, così come potrebbe esserlo stato perfino Kemal Atatürk: perché, esteriormente, i dunmeh apparivano dei perfetti musulmani, tanto è vero che gli altri Ebrei non li riconoscevano, e non li riconoscono, come appartenenti al giudaismo.
Rimane però estremamente probabile che essi abbiamo esercitato un ruolo più importante di quanto non si creda nell’intera vicenda della “rivoluzione” dei Giovani Turchi e anche nelle vicende degli anni successivi, fino alla prima guerra mondiale e alla tragica “soluzione finale” del problema armeno.
È noto che i fatti della storia devono essere interpretati, non parlano da soli; ma quando i fatti sono numerosi e vanno nella stessa direzione, allora suggeriscono una ben precisa direzione per il lavoro di ricerca.
Gli Ebrei avevano una vera e propria roccaforte nella città in cui era di stanza l’Ottava Armata turca, iniziatrice del movimento; sparsi nell’Impero ottomano, esercitavano un ruolo decisivo nelle finanze, nel commercio, in alcuni settori chiave dell’amministrazione e del governo; tramite il movimento sionista, avevano fatto dei sondaggi ad altissimo livello, fino allo stesso sultano Abdul Hamid, per ottenere l’assenso al rientro di migliaia di Ebrei dall’Europa in Palestina; avevano anche fatto sondaggi presso il governo degli Stati Uniti, con il sostegno dei potenti banchieri ebrei-americani (primi fra tutti, i Rotschild), e si accingevano a farne presso quelli britannico e francese; infine, una loro setta segreta, i Dunmeh, particolarmente abile nel camuffarsi agli occhi delle autorità turche, aveva giocato un ruolo non interamente chiarito, ma certo tutt’altro che secondario, nella presa del potere da parte del “triumvirato” di Talaat, Gemal ed Enver.
C’è bisogno di altro, per suggerire agli storici una nuova direzione di ricerca e una nuova ipotesi di lavoro, per quello che riguarda le vicende che precedettero e accompagnarono la nascita della Turchia moderna?
Una cosa è certa: da quando esiste lo Stato di Israele, vi è una perfetta concordanza di interessi fra esso e la politica del governo turco. Israele, nato facendo leva anche sul senso di colpa degli Occidentali per l’Olocausto, e la Turchia moderna, nata sui cadaveri di due milioni di Armeni sterminati a sangue freddo, marciano di comune accordo sullo scenario politico medio-orientale, come si è visto in numerose occasioni, ultima delle quali la seconda guerra del Golfo voluta dal presidente americano George Bush junior.
Coincidenze della storia. Lo Stato turco, che tuttora nega esservi stato un genocidio a danno degli Armeni, pena il carcere, e che dedica grandi vie e piazze alla “gloriosa” memoria di uomini come Talaat e Gemal, è oggi il migliore alleato di Israele nel Medio Oriente: i suoi amici, sono gli amici di Israele (Stati Uniti d’America e Gran Bretagna in primis); i suoi nemici (un tempo l’Iraq di Saddam Hussein, ora l’Iran di Mahmud Ahmadinejad), sono gli stessi nemici di Israele.
In mezzo, la tragedia degli Arabi palestinesi, iniziata quando migliaia di coloni ebrei, sull’onda dell’idea sionista, cominciarono ad affluire in Palestina, ai primi del XX secolo, e culminata nel 1948 e nel 1967, con la nascita di Israele e con la guerra dei Sei giorni.
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Vartanian
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