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06 11 29- Un ricordo di Monsignor Zhorobian, Vescovo armeno sempre sorridente
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Nella vita capita a tutti, almeno una volta di aver conosciuto una personaggio importante che raccontava cose importanti. A quel tempo avevo dieci anni.
Quando apparve un frate anziano alto, con la barba bianca e un sorriso che esprimeva gioia, nell'osservarlo camminare dondolandosi calzava bucce di gomma marrone come di consueto calzavano la povera gente alla fine degli anni '50.
L' unico segno che denotava che era vescovo dell'Alta Gezira in Siria, una semplice croce di legno gli pendeva sul petto. Si sedette in mezzo a noi e cominciò a raccontare il massacro del popolo Armeno avvenuto durante la prima guerra mondiale , una shoah dimenticata dall'occidente e recentemente negata
dalla Turchia e dal presidente iraniano Mahhmuoud Ahmadinejad. Furono uccisi almeno un milione e mezzo di Armeni ( qualcuno dice due): nessuno lo saprà mai.
Perché parlare di questa shoah che da fastidio a molti (Turchi ed Europei) ?
Per due motivi. Recentemente è stato assassinato a Trebisonda da un fanatico musulmano al grido di “Allah è grande Don Andrea Santoro, sacerdote di Roma parroco a Trebisonda, il secondo per far entrare nell'Europa la Turchia senza che riconosca di essere mandante di questo genocidio.
Questo vescovo si chiamava Cirillo Giovanni Zohrabian: Se andate sul sito internet vi troverete la sua bibliografia, ma nel suo racconto, quello di cinquantanni fa, ci sono particolari che rendono la sua figura di uomo tutto di un pezzo. Iniziò parlando dell'Armenia, patria del vino e sede dell'Arca, il primo stato che dichiarò la religione cattolica chiesa di stato, popolo vivacissimo che nel medioevo era presente a Genova come a Livorno, a Venezia come in India, Egitto ecc..mercanti nati. I problemi nacquero con l'arrivo degli ottomani, visto che l'area abitata dagli armeni era un territorio molto vasto, quando vedevano che la popolazione aveva un forte incremento demografico il sultano indiceva il giorno della strage: per un giorno massacravano. La data era segreta, tutti quelli che riuscivano a catturare, la cosa era di semplicità e ferocia inaudita, si cercava di sventare più donne impossibili.
Durante la prima guerra mondiale furono i tedeschi che risolsero il problema armeno pianificando il genocidio, così non si sporcavano le mani. Istruirono i Giovani turchi, che in verità usarono come aguzzini i Curdi, essendo tra i Curdi e gli Armeni concorrenza sul territorio: i primi agricoltori i secondi pastori, in cambio del pascoli dei territorio ( due nazioni senza patria )
Convogliate gli armeni in lunghe marce sul desertico altopiano anatolico, prima le fatiche e le privazioni poi un colpo di fucile faceva il resto. Lui ebbe i parenti crocifissi sul terreno. L'Europa era in guerrae con le ambasciate lontane i Giovani turchi sterminarono una nazione senza però distruggere monumentali chiese. Zhorabian si salvò perché era a Costantinopoli.
Assisteva gli italiani prigionieri di guerra facendo collette per procurare cibo e indumenti. Il fatto è che la prima raccolta fu data al sacerdote italiano che faceva parte della nunziatura che intascò la somma. Saputolo rifece la colletta consegnandola di persona. Come passavano il tempo i militari italiani, li portavano in riva al mare e gli facevano trasportare tutto il giorno carrette di sabbia da un posto all'altro per sfiancarne il morale.
Il fatto tragico per cui venne arrestato non fu per aver celebrato messa, ma per salvare quattro sorelle armene che un governatore aveva già portato nella sua residenza. Saputo che era via per incarichi di governo, si tolse l'abito di Cappuccino si vestì elegante, noleggiò una carrozza e bussò alla porta del Governatore spacciandosi come zio. Disse che voleva portare a passeggio le nipoti. Il colpo andò a segno, ma arrestato fu condannato dal tribunale di Trebisonda a morte. Fu condannato alla tortura del “palahàn” ( detta anche tortura delle odalische ) che consiste in cinque volte sessanta colpi di verga sulle piante dei piedi cioè 300 sterzate che si sa, nessuno riusciva a sopportare. Ecco che nel racconto i sui occhi brillarono e dopo i primi colpi, cadenzati con un tamburo svenne e vide una visione, il suo corpo subiva i colpi ma il suo spirito parlava con Dio. Visto che non era morto fu condannato
all'esilio... ecco perché calzava le babbucce: i piedi erano deformati dalla tortura.
Quell'iomo, guardandolo attentamente negli occhi mentre raccontava la sua visione, lo porterò sempre con me.
Luì Cerin
V.V
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