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06 01 2006 - Antonia Arslan, Il Messaggero di sant'Antonio
In seguito troverete l'articolo di Antonia Arslan nel primo numero del nuovo anno del "Messaggero di Sant' Antonio".....,BR>
Il Messaggero di sant'Antonio<br>
Primo numero del nuovo anno del «Messaggero di sant’Antonio», la rivista edita dai frati della Basilica del Santo che ogni mese raggiunge oltre un milione di lettori in tutto il mondo e che si posiziona sempre più nitidamente nel panorama nazionale delle testate di informazione, cercando di garantire una pluralità di argomenti con grande attenzione ai temi riguardanti l’attualità, la cultura, i media, le problematiche sociali, la vita ecclesiale.
EDITORIALE
Ripartiamo con gratitudine. Il primo editoriale dell’anno del direttore, padre Ugo Sartorio, è dedicato ai cambiamenti, a lungo meditati, della rivista. Con nuove collaborazioni e una carta che lo rende meglio leggibile e ne valorizza i colori, il «Messaggero» riparte per un nuovo anno di informazione pensato a servizio dei lettori che - come scrive il direttore - hanno la pazienza di seguirci anche da molti anni e la bontà di sostenerci con il loro incoraggiamento. Un caldo e sincero ringraziamento va a Piero Lazzarin, caporedattore della rivista, che, dopo 40 anni di inconfondibile e nitida scrittura, lascia le pagine del «Messaggero».
DOSSIER
Eutanasia la vita tradita. Il Dossier, curato da Umberto Folena, è dedicato alla “dolce morte”, sempre più spesso presentata come atto pietoso, come gesto d’amore. Ma chi davvero ama la vita fa di tutto per alleviare il dolore di chi soffre, rendendo dignitose tutte le ore che gli restano da vivere. Utile per comprendere i termini delicatissimi della questione il Glossario proposto nel dossier che chiarisce i significati di parole spesso usate impropriamente, come suicidio assistito, accanimento terapeutico, cure palliative e testamento biologico.
CHIESA DOMANI
«Che cosa vi ho fatto?», chiese senza odio ai suoi carnefici. Così morì il giudice Rosario Livatino il 20 settembre 1990. La Chiesa di Agrigento spera che diventi presto beato. Vittoria Prisciandaro ne ripercorre la vita e la carriera sino alla morte in un articolo dal titolo Livatino, giudice ragazzino e moderno martire della fede.
CRISTIANI NEL MONDO
La fede non ci estranea dalla vita. Prima riflessione di Paola Bignardi, già presidente nazionale di Azione Cattolica, da gennaio entrata tra le firme del «Messaggero». I cristiani da sempre vivono nel mondo - scrive - siamo cristiani dentro le esperienze di tutti. Mi piace questa fede che non ci rende dei diversi; che non ci estranea dalla vita; che fa più saldi i legami reciproci del nostro essere donne e uomini.



VAGABONDAGGI ANTONIANI
Prende il via con questo primo numero del 2007 la rubrica curata dalla scrittrice Antonia Arslan che in questo “vagabondaggio antoniano” ci regala un suo personale ricordo di bambina del pellegrinaggio a piedi da Stra alla Basilica del Santo, con la bellissima mamma Vittoria, le cugine e le zie, per ringraziare di essere sopravvissuti alla guerra.

Vedi Articolo in SEGUITO:
Vagabondaggi antoniani.

Un inedito pellegrinaggio

Il ricordo di una bambina in cammino verso il Santo.

di Antonia Arslan


«Partiremo da Stra – disse spavalda mamma Vittoria – è più elegante che cominciare dal Dolo, e la strada è più breve. L’appuntamento è alla Villa Reale, alle quattro di mattina, così arriveremo verso mezzogiorno. Là lasceremo le macchine e ci incammineremo a piedi, verso Padova e la Basilica del Santo. E quando saremo arrivati, entreremo tutti insieme dal portone grande, ognuno con una candela accesa, grossa, come i penitenti di una volta, quelli che salmodiavano col saio. Dei bambini, solo Antonia verrà con noi».
Zia Enrica cominciò a brontolare: «Ma perché non vuoi che venga anche Gianni?». E proseguì stizzita, quando vide che la mamma non le badava: «E poi, un pellegrinaggio vale solo se si parte da dove si abita. Così avevamo promesso – e alzò un dito ammonitore – e con Dio non si mercanteggia».
«Ma con sant’Antonio sì – rispose la mamma – perché lui capisce, e poi la bambina si chiama Antonia e dunque lui ha un occhio speciale per lei, e di conseguenza anche per noi». Poi mi diede un pizzicotto, e proseguì: «Ed è troppo piccola per farcela a piedi dal Dolo a Padova. Piangerebbe».
E in effetti, io mi misi subito a piangere volenterosamente, perché ci tenevo molto a non essere esclusa dalla mitica avventura del «pellegrinaggio-perché-siamo-ancora-tutti-vivi-alla-fine-della-guerra», come l’aveva definito la mamma, che stava coinvolgendo un mucchio di gente nel suo progetto. Mi affascinava l’idea di ritornare nella grandissima chiesa piena di angoli oscuri e luminosi, di colori e di odori, con la mia bellissima mamma – di solito non molto propensa alle devozioni – e di avere anch’io in mano una grossa candela accesa, di quelle con le figurine dei santi attaccate sopra. E poi sant’Antonio era cosa mia. Io ero una rara femmina di nome Antonia, non uno dei tanti Antonii maschi. E verso sant’Antonio – mi era stato detto dal vecchio frate – io avevo degli speciali doveri.
Mi sentivo molto lusingata dall’idea di essere speciale. Ed ero sicura che avrei fatto un pellegrinaggio meraviglioso, e che la gente avrebbe detto: «Chi è quella bambina straordinaria, che porta una candela così grande?».
I preparativi durarono parecchi giorni. Mamma Vittoria era una perfezionista e preparò un sacco di panini, con la cotoletta, la frittata o il salame, a scelta. Preparò caramelle in pacchettini, bottigliette di acqua di menta e gazzose con la pallina che danzava in cima. Divise le tavolette di cioccolata vera in porzioni, e acquistò un piccolo numero di cremine di surrogato di cioccolata in vaschettine di legno, come premio. Poi mise un chilo di zucchero in un bidoncino, che avrebbe portato lei a tracolla, e provò a convincere mio padre a venire con noi: ma papà, che era molto più devoto di lei, rifiutò seriosamente. Mamma non si arrabbiò affatto, le piaceva comandare da sola. E così ci mettemmo in marcia, in una splendida mattina di settembre. La Gigia marciava per prima, battagliera, impugnando il rosario. Dietro di lei, la mamma, poi le sue altissime cugine, alcuni mariti, Emma la cameriera, e Antonio l’autista, di malumore, ma obbligato per via del nome che portava. Io camminavo davanti, con la mia borraccetta a tracolla, fiera della camicina a righe rosse e blu, chiacchierando con tutti e mangiucchiando di tutto. Ma il Santo quel giorno mi voleva insegnare qualcosa. Cominciai a sentire un sordo martellio nella testa e una nausea crescente, finché mi chinai improvvisamente vomitando l’anima, e mi sporcai camicetta e calzoncini. Puzzavo, e guardavo la mamma con occhi da cane, ma la mamma disse: «Non possiamo fermarci per te, già ci hai fatto perdere un bel po’ di tempo», e mi affidò a una famiglia di conoscenti, che mi mise a letto al buio. Fu il mio primo attacco di emicrania. E là, con gli occhi chiusi, dissi al mio Santo che gli chiedevo perdono.
Antonia Arslan, di origine armena, vive a Padova. Due i suoi principali interessi: la letteratura italiana che ha insegnato all’Università e gli armeni. Alla loro storia ha dedicato il suo primo romanzo di successo «La Masseria delle allodole» da cui i fratelli Taviani hanno tratto un film.

V.V

 
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