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25 01 2007 - Turchia/ "Orhan Pamuk preparati!". Minacce di morte per il premio Nobel
Yasin Hayal - Mercoledí 24.01.2007 13:24
Dopo l'uccisione del giornalista Hrant Dink, in Turchia si teme un altro "delitto eccellente". Yasin Hayal, arrestato per l'assassinio del giornalista turco-armeno, ha minacciato di morte il premio Nobel per la Letteratura Orhan Pamuk. "Preparati! Preparati!" hanno gridato Hayal e Ogun Samast, il giovane
ultranazionalista che ha confessato l'uccisione del giornalista turco armeno, prima di essere condotti nel Tribunale a Istanbul.

Ogun Samast è stato rinviato a giudizio. Insieme a Samast saranno processati anche 4 suoi presunti complici, tra cui il pregiudicato Yasin Hayal, anch'egli legato ad ambienti nazionalisti, che ha fornito l'arma del delitto. Nel frattempo, è stato fermato a Trabzon un universitario, ritenuto il capo della cellula eversiva.

Orhan Pamuk abita non molto lontano da dove è stato ucciso Dink. La sua casa e il suo uffico non sono controllati dalla polizia e non gli è ancora stata affidata una scorta. Questo nonostante le note vicende giudiziare che lo hanno interessato (procesasto per aver parlato del genocidio armeno) e le polemiche
nel Paese in seguito all'ottenimento del premio Nobel. Il premier turco Recep Tayip Erdogan ha ordinato al Dipartimento di sicurezza di porre sotto stretta sorveglianza tutte le persone potenzialmente obiettivo dei killer.
Ma per Pamuk non sono ancora stati presi provvedimenti.


Orhan Pamuk, premio Nobel

Intanto, ieri sera il premio Nobel si è recato a far visita prima alla famiglia del giornalista ucciso e poi alla sede della rivista 'Agos', che Dink dirigeva da 11 anni. "Hrant era un uomo aperto e buono - ha detto Pamuk - siamo tutti responsabili della sua morte. Chi difende l'articolo 301 (secondo cui è un delitto parlare del genocidio armeno) del nuovo Codice penale lo è ancora di più".
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Abbiamo scelto Berlino per il film sugli armeni che farà irritare Ankara

di Michele Anselmi - martedì 23 gennaio 2007, 07:00 da Roma
Lo voleva Cannes, lo voleva Berlino. Ma forse Berlino con più convinzione, anche per rimpolpare l'esile squadra italiana. Sicché alla fine, facendo quattro calcoli e vincendo i dubbi di Raicinema, i fratelli Taviani hanno deciso di presentare alla Berlinale, in anteprima mondiale, La masseria delle allodole, dal romanzo di Antonia Arslan (in Italia uscirà il 4 maggio). Il tema è di quelli che pesano, specie di questi tempi: il genocidio degli armeni a opera dei turchi alleati ai tedeschi nel biennio 1915-1916. La collocazione? Sotto forma di evento speciale, il 14 febbraio, fuori dalle sezioni tradizionali. «Effettivamente sono state giornate turbolente, poi abbiamo deciso noi: l'invito di Kosslick (direttore del festival, ndr) era così caloroso...», si fa sfuggire al telefono Vittorio Taviani. L'ufficio stampa ha imposto la consegna del silenzio, ma il regista riconosce che il film, circonfuso da un alone di segretezza (niente foto di scena, reportage dal set, interviste), avrebbe ben figurato a Cannes. «In effetti, la Francia ha sviluppato una sensibilità particolare nei confronti di quell'immane tragedia.
C'è una legge, istituita dall'Assemblea nazionale, che prevede sanzioni penali per chi nega il genocidio degli armeni», continua il cineasta. «Per noi sarebbe stato anche il trentennale della Palma d'oro a Padre padrone. Ma va bene così.
Siamo andati una sola volta a Berlino, tanti anni fa, con San Michele aveva un gallo. L'importante è che piaccia».
Inutile dire che La masseria delle allodole è un film per nulla gradito al governo turco guidato da Erdogan. Tanto più ora, dopo l'omicidio del giornalista Hrant Dink, di origine armena, che ha gettato nuove ombre sul
ventilato ingresso della Turchia nell'Unione europea. Frutto di una produzione tra Italia, Francia, Spagna, Bulgaria e Regno unito, il film vanta un budget da dieci milioni di euro, 600mila dei quali erogati da Euroimages: e proprio su quel contributo si concentrò a marzo 2006 la protesta di Ankara, essendo
l'organismo finanziato anche dal governo turco. Per il quotidiano in lingua inglese The New Anatolian, la Turchia avrebbe quindi «finanziato le tesi armene sul genocidio
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Per l'accettazione della Turchia nell'Unione europea potrà fare molto più il corteo silenzioso che ha accompagnato il feretro di Hrant Dink delle sponsorizzazioni più o meno interessate a favore del premier turco Erdogan, da parte dei leader nostrani, ieri Berlusconi oggi Prodi.
Gli argomenti portati a sostegno dell'ingresso della Turchia nella Ue sono semplicemente impalpabili: "L'entrata della Turchia a pieno titolo nella famiglia europea è un traguardo strategico". Parole vuote.
In realtà la strategia, mai resa esplicita, è la stessa che ha giustificato i precedenti allargamenti comunitari: aumentare il numero di nazioni, in modo da realizzare gli Stati Uniti d'Europa, unica via per potersi opporre -
commercialmente parlando - a quelli d'America.
Nel portare avanti questa operazione, dettata da calcoli meramente finanziari (la cui opportunità è tutta da verificare), si trascurano i veri elementi che determinano o negano l'integrazione delle genti, delle nazioni. Innanzitutto quelli storico-culturali. Che ancora oggi separano l'Europa occidentale dalla Turchia, ma anche dalle altre nazioni dell'Est europeo, entrate meno di un mese fa (Romania e Bulgaria).
Differenze culturali sottolineate con garbo e affetto (per la "sua" Turchia) proprio da Dink nel suo ultimo articolo: "L'Europa non fa per me. Tre giorni in occidente e il quarto voglio tornare a casa. Lasciare un inferno che brucia per un paradiso già confezionato? Dobbiamo cercare di trasformare l'inferno in
paradiso. Spero che non saremo mai costretti ad andarcene".
La Turchia che ha mandato in piazza migliaia di persone in occasione del funerale del giornalista turco-armeno ucciso per il contenuto dei suoi articoli, è la stessa nazione che poco più di un anno fa lo aveva messo in carcere per aver espresso la sua opinione sul genocidio armeno del 1915. Una nazione che sa essere al contempo generosa e barbara. Una contraddizione che, in nome dell'euro, si cerca di mitigare se non addirittura negare.
Gli Stati Uniti d'Europa dovrebbero avere almeno un denominatore comune, imprescindibile e vincolante: garanzie uguali e certe per i diritti umani. Ma così non è. La neoammessa Bulgaria ha rifiutato di annullare la condanna del ventenne Michael Shields, tifoso del Liverpool, pur in presenza dell'ammissione di un altro ragazzo inglese di essere lui il vero autore del tentato omicidio contestato. E se un sistema penale ottocentesco come quello bulgaro non osta all'ingresso di Sofia nell'Unione europea, né solleva dubbi o critiche, non si vede su quali basi si potrà escludere Ankara. E forse quel giorno sarà più chiaro perché i cittadini francesi non hanno approvato la Costituzione europea.
Il numero degli scontenti continua a crescere, in misura proporzionale agli ingressi sconsiderati. Ma a Bruxelles e Strasburgo

V.V

 
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