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02 01 2007 - L’omicidio Dink scuote l’Armenia
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02.02.2007 http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/6750
da Osservatorio sui Balcani .net
Rabbia e proteste a Erevan dopo l'omicidio di Hrant Dink a Istanbul.
Gli armeni
si interrogano sulle conseguenze della morte di un uomo che si batteva contro l'odio e lavorava per il miglioramento delle relazioni turco-armene. I confini
tra i due paesi sono chiusi dal 1993
Di Tatul Hakopian*, Erevan, per IWPR, 25 gennaio 2007 (titolo originale: “Death of Editor Shocks Armenia”)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta
I funerali di Dink (foto AP) L’omicidio a Istanbul del giornalista armeno Hrant Dink ha causato un’ondata di rabbia in Armenia, con opposte reazioni volte a chiedere una punizione per la Turchia, piuttosto che un nuovo dialogo tra questi due Paesi nemici storici.
La stessa Turchia è rimasta scioccata dall’assassinio. Decine di migliaia di persone hanno partecipato il 23 gennaio ai funerali di Dink, cittadino turco di
etnìa armena che molto ha fatto per incoraggiare il dialogo tra i due popoli sulle loro storiche controversie.
Dink è stato ucciso il 19 gennaio. Il giorno successivo la polizia turca ha arrestato un minorenne identificato come Ogun Samast, originario della città di Trabzon nella parte orientale del Paese. Sembra che Samast abbia confessato il delitto, adducendo come motivazione l’aver sentito dire che Dink sosteneva che
“Il sangue turco è sporco”.
Il governo armeno non ha tardato a condannare l’omicidio con le parole più dure. Tigran Torosian, portavoce del parlamento, dopo l’assassinio ha
dichiarato: “La Turchia non dovrebbe nemmeno sognarsi l’ingresso nell’UE”.
Il presidente armeno, Robert Kocharian, ha presentato le sue condoglianze ai familiari e agli amici di Hrant Dink, dichiarando: “L’assassinio in Turchia di un famoso giornalista solleva numerosi interrogativi e suscita il massimo sdegno”.
In tutti i templi della Chiesa apostolica armena si sono tenute messe in memoria di Dink, e i circoli politici, culturali e giornalistici si sono detti
scioccati.
Dink lavorava dal 1996 a Istanbul come direttore del giornale bilingue armeno-turco Agos. Diverse volte era stato denunciato ai sensi del controverso articolo 301 del codice pernale turco, per “offese alla identità nazionale turca”.
Dink seguiva una linea improntata alla cautela, esprimendo lealtà alla Turchia ma affermando al contempo il suo diritto ad una distinta identità armena. Nelle sue pubblicazioni non usò mai l’espressione “genocidio armeno”, se non tra
virgolette. Riteneva fosse molto più importante informare in Turchia la gente comune dei fatti avvenuti nel 1915, piuttosto che ottenere delle risoluzioni
dagli organismi internazionali che definissero “genocidio” quanto accaduto.
La copertura mediatica dell’assassinio di Dink ha dominato la televisione armena nell’arco della scorsa settimana. La televisione pubblica ha trasmesso
più volte un servizio in cui si vede la ripresa ravvicinata di una sua fotografia e si sente la sua voce – un frammento tratto da un discorso tenuto
al 90° anniversario del Genocidio a Erevan – dire: “Si è trattato di genocidio, perché la gente è stata strappata dalle sue radici, dalla sua terra”.
Con un montaggio di immagini si vede la canna di un fucile spianata contro il suo volto, uno sparo risuona e il discorso si tronca.
Armenia e Turchia non hanno relazioni diplomatiche, e il confine tra i due Paesi è chiuso fin dal 1993, quando la Turchia lo ha bloccato in risposta
all’occupazione del distretto azero del Kelbajar da parte delle forze armene, durante la guerra per il Nagorno Karabakh.
Comunque i rapporti commerciali tra i due Paesi sono ancora intensi, principalmente attraverso la Georgia. Alcune stime indicano che 30.000 cittadini armeni hanno dei lavori temporanei in Turchia.
L’omicidio ha innervosito quelli che per lavoro fanno la spola tra i due Paesi.
All’ufficio di Erevan di una ditta di trasporti turca, la Emniyet, tre camionisti turchi guardano in silenzio una diretta televisiva del funerale di Dink.
Gli autobus della Emniyet viaggiano da Erevan a Istanbul e ritorno, due volte alla settimana. La maggior parte dei passeggeri sono commercianti armeni che riportano merci, principalmente vestiti, dai mercati di Istanbul.
“Certo, l’omicidio di Dink è un evento doloroso, ma devo dire che non ha avuto alcun impatto sulle attività della nostra compagnia”, dice Rimma Galajian, che
lavora per un’altra compagnia di autobus, la Oz Nuhoglu. “La gente continua a viaggiare come al solito. Veramente io non ricordo un solo caso di passeggeri
armeni che siano stati trattati male in Turchia negli otto anni da che io lavoro qui. E anche noi trattiamo bene i turchi che vengono in Armenia”.
La maggioranza degli esperti concordano sul fatto che l’omicidio segna un punto critico nelle relazioni armeno-turche, e che sarà importante il modo in cui
l’argomento verrà affrontato.
Ma gli appelli all’azione hanno avuto toni molto diversi. Gran parte della copertura mediatica armena ha avuto toni irati, accusando i turchi di essere
naturalmente portati al genocidio.
Il partito nazionalista Dashnaktsutiun ha organizzato una marcia e una fiaccolata davanti alla rappresentanza dell’Unione Europea a Erevan.
Uno dei manifestanti esponeva un cartello con la scritta: “Le mani della Turchia sono coperte di sangue”.
“I giovani armeni non possono tollerare atti di terrorismo contro armeni, in nessun Paese”, ha detto uno degli organizzatori, l’attivista nel settore
giovanile Abraham Gasparian.
Un articolo del giornale 168 Ore di Erevan, invece, ha sostenuto che questo tipo di reazioni vanno nella direzione contraria alle idee dello stesso Dink.
“La propaganda che punta sull’assurdo concetto per cui ‘un turco è sempre un turco’ sta prendendo piede nel nostro Paese”, ha detto il giornale.
168 Ore ha offerto la sua interpretazione, assai diversa, dell’assassinio di Dink: “È stato ucciso un uomo che voleva favorire il cambiamento della
consapevolezza di turchi e armeni, e avvicinare il giorno in cui i due popoli capiranno alla fine che due vicini non hanno futuro se sono colmi di odio
reciproco”.
Alcuni analisti ritengono che l’omicidio potrebbe portare a un miglioramento nelle relazioni tra turchi e armeni.
L’analista armeno-americano Richard Giragosian ha dichiarato a IWPR: “Ora la sfida per lo Stato turco non è l’omicidio di Hrant Dink; la cosa più importante
è il modo in cui le autorità turche gestiranno l’impatto della sua morte.
La Turchia è ora costretta a rendersi conto che deve andare avanti, riconoscendo allo stesso tempo il suo passato, onestamente”.
Ma Alexander Iskandarian, direttore dell’Istituto caucasico per i media, ha predetto che l’omicidio non apporterà alcun cambiamento. “Quelli che pensano
che non si dovrebbero ristabilire relazioni con l’Armenia rimarranno fermi in quella convinzione, mentre quelli che hanno fatto appello per una
normalizzazione dei rapporti armeno-turchi diranno che non è successo niente di straordinario, dato che in molti Paesi del mondo accade che vi siano degli
omicidi”, ha detto.
Anche Rafael Safrastrian, esperto sulla Turchia, ha predetto che succederà ben poco. “Nessuna forza politica in Turchia si è espressa positivamente sulla
riapertura del confine armeno-turco e sul ristabilimento dei contatti diplomatici”, ha detto.
Un altro esperto armeno sulla Turchia, Arsen Avagian, ha dichiarato di aver individuato un mutamento nell’opinione pubblica turca in seguito all’omicidio,
e ha detto che il miglior tributo a Dink sarebbe stato un disgelo nelle relazioni tra Armenia e Turchia.
“Dink Si è battuto contro l’odio, e voleva che le relazioni armeno-turche migliorassero”, ha detto Avagian. “Hrant ha sempre detto che ogni armeno è
l’antidoto per un turco, e ogni turco lo è per un armeno.
“È molto importante che l’opinione pubblica turca abbia condannato il proditorio assassinio, e che i giornali turchi abbiano avuto titoli come ‘Vergognoso omicidio’. Sarebbe sbagliato non voler vedere questo”.
*Tatul Hakopian è commentatore per il notiziario Radiolur, sulla televisione pubblica armena
V.V
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