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04 02 2007 . Bernard H.Levi : Ma non si può parlare di adesione se non si scioglie il nodo del passato»
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Ma non si può parlare di adesione se non si scioglie il nodo del passato»
da Corriere della Sera del 23 gennaio 2007, pag. 11
di Bernard henry Levy
Il filosofo francese Bernard-Henri Lévy giudica «un errore gravissimo»
l'atteggiamento del presidente del Consiglio italiano, che nell'incontro con Erdogan davanti alla stampa non ha ricordato l'assassinio del giornalista Hrant
Dink e il genocidio degli armeni.
A una domanda sul genocidio, Prodi ha risposto che «le analisi del passato non devono essere utilizzate come strumento per le divisioni di oggi».
«Non si costruisce il futuro se non si elabora il lutto del passato. Il mancato riconoscimento del crimine crea un'area di follia nell'identità turca.
Il capo del governo italiano è caduto in trappola, non ha avuto il giusto riflesso democratico ed europeo. Il silenzio di Prodi sul giornalista ucciso è un insulto a un milione e mezzo di vittime».
Il premier turco Erdogan è sembrato meno imbarazzato di Prodi.
«Erdogan andava e va aiutato a compiere il percorso che lo porti al riconoscimento del crimine, perché finora i discendenti delle vittime hanno patito soprattutto il negazionismo di Stato. A negare quella tragedia per decenni non è stata solo una setta, o un gruppuscolo di lunatici isolati come nel caso dell'antisemitismo prima di Ahmadinejad. Il negazionismo turco si fonda su uno Stato potente e ricattatore. Gli armeni di oggi sono nella situazione in cui si troverebbero gli ebrei se la Germania sconfitta avesse deciso di negare la Shoah, se avesse scelto di allinearsi alle tesi dei David Irving o dei Robert Faurisson».
Lei si batte a favore della legge anti-negazionista francese, in Italia alcuni storici sono contrari a norme che limitino la ricerca.
«Io spero che la legge sul genocidio degli armeni passerà anche al Senato.
Queste leggi proteggono il lavoro degli storici. Li mettono al riparo dei ciarlatani e dei falsa-i. La mia posizione è diametralmente opposta alla petizione degli storici in Francia (tra i quali Marc Ferro, Jacques Julliard, Pierre Milza, Pierre Nora, Pierre Vidal-Naquet, ndr). La legge Gayssot sulla Shoah, in vigore dal 1990, non ha mai infastidito uno storico, se ne lamentano solo Le Pen e Dieudonné».
Esiste in Europa una generale leggerezza sulla questione armena?
«Sono scioccato dal fatto che, tra i criteri fissati da Bruxelles per l'ingresso della Turchia nell'Unione europea, manchi la condizione più importante, il riconoscimento del genocidio armeno. Invece è questo il cuore della questione della Turchia in Europa. Ciò che fa della Turchia un Paese europeo è la sua memoria armena, greca, balcanica, bulgara. Durante il genocidio la Turchia ha cercato di amputarsi la sua parte europea. E stato un genocidio, e un suicidio. Non si può nemmeno parlare di ingresso in Europa, se non si affronta quello che accadde allora. Perché allora fu l'Europa a essere mortificata, negata/giustiziata».
Lei è favorevole all'ingresso della Turchia nella Ue?
«Sì, a condizione che arrivi a un riconoscimento, non formale e di comodo, del genocidio commesso».
Non teme che il genocidio degli ebrei ne risulti banalizzato, che la Shoah perda la sua unicità?
«Prima di invadere la Polonia, pensando alla soluzione finale, Hitler disse "Chi si ricorda oggi del genocidio armeno?". Lo sterminio di un milione e mezzo di armeni è stato la prova generale della Shoah. E chi ha definito per primo il concetto di genocidio, il giurista polacco Raphael Lemkin, pensava a quello armeno e a quello degli ebrei, con il sentimento della specificità di ciascuno, dell'unicità e della gravita eccezionale della Shoah, ma aveva in mente quella che Jan Patocka chiamava "la solidarietà dei naufraghi". La Shoah è stata l'apice dell'orrore, ma questo non impedisce di valutare insieme i due crimini. Chi nel 1948 ha redatto la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, pensava agli ebrei, e agli armeni».
V.V
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