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17 02 2007 - ĢIl suo successo del mio libro"
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ANTICIPAZIONI
da il riformista
SUL GIORNALE DEL 17 FEBBRAIO
di Marco Alfieri Milano. Già visto il film? «Sì, l’ho visto in anteprima una decina di giorni fa, insieme alla troupe, e credo che i fratelli Taviani abbiano fatto un lavoro molto compatto, coerente, insomma onesto. E anche bello. Il film contiene delle scene molto intense. Se poi sia anche un capolavoro, questo lo dirà il tempo».
Nelle parole di Antonia Arslan, italiana di origine armena, professoressa di letteratura all’università di Padova e soprattutto autrice di un emozionante romanzo sulla storia disgraziata del suo popolo, La masseria delle allodole, non c’è un solo grammo di quelle riserve banalizzanti che hanno accompagnato la proiezione dell’omonimo film dei fratelli Taviani, l’altra sera alla Berlinale
Special.
«A chi dice che la pellicola è troppo melò, magari perché ha sviluppato alcuni caratteri solo accennati nel mio libro, come la storia d’amore tra la giovane
armena e l’ufficiale turco, rispondo che c’è sempre un po’ di melodramma nei film, ci mancherebbe altro». E lo stesso vale per quei giornalisti che hanno
scritto che ci sarebbero troppe scene truci. «Siamo seri. Con quel che si vede oggi in tv, mi sembra una bella ipocrisia, questa. Quel che hanno fatto i Taviani è un’altra cosa: loro hanno alluso alla violenza di questi massacri, la fanno intuire con grande potenza evocativa ma senza morbosità. Le scene della strage nella masseria (la dimora della ricca famiglia armena degli Avakian), poi, le ho trovate molto belle».
Nonostante le critiche, dunque, per Arslan siamo davanti a una traccia narrativa sostanzialmente mantenuta nella trasposizione cinematografica. «Di
certo non l’hanno stravolta», precisa. «Direi che l’hanno sviluppata: hanno tolto alcune cose che credo non fossero molto nelle loro corde, come l’attacco del libro, il prologo al Santo, o come quel languore religioso soffuso che intesse un po’ tutta la mia trama narrativa (la patria perduta degli armeni), che hanno oggettivamente un po’ sacrificato. Ma ci sta. Diciamo che ne è uscito un bel film sul genocidio armeno, utile al dibattito e alla sfida del riconoscimento del Grande Male di inizio secolo». Quel che ne emerge, insomma, è l’esatta impellenza di un disvelamento, la fine di una rimozione, «il riconoscimento storico di un dato di realtà».
E tuttavia, l’altra sera a Berlino, se non ci sono state quelle contestazioni da parte della comunità turca che giornali come lo Spiegel avevano paventato,
non ci sono stati nemmeno applausi, per la pellicola dei Taviani, no? «Guardate - si scalda Arslan - il discorso degli applausi è stato strumentalizzato dai giornali italiani. La freddezza riguarda la prima uscita, quella per la stampa.
Da quel che mi risulta, invece, la sera dopo alla proiezione pubblica, c’è stato una grande entusiasmo, applausi e commozione. Specie per la scena finale che i Taviani hanno aggiunto, ambientata nel tribunale di Costantinopoli nel 1919. Una chiusa molto intensa anche in chiave di battaglia civile per il riconoscimento».
Battaglia che anche in Turchia comincia piano piano a farsi strada, nonostante l’ostracismo ufficiale delle autorità. «Sulla scia del Nobel Orham Pamuk - spiega Arslan - all’interno dello stesso governo di Ankara esistono posizioni variegate e aperture. D’altra parte che centomila persone abbiano seguito il funerale di Hrant Dink, il giornalista di origine armena ucciso a Istanbul, sfidando la polizia, la dice lunga sulla metamorfosi in corso in quel paese.
Anche il mio libro c’è chi vorrebbe tradurlo. La Masseria è già sotto contratto, ma l’editore che ha acquistato i diritti in questo momento ha sette processi pendenti, dunque ha per ora sospeso la traduzione. Ma ci sarebbe già pronto a subentrare un altro editore».
Naturalmente si tratta di processi lenti: quando per ottant’anni hai costruito la religione civile di un intero stato su una gigantesca rimozione, cioè quella
del popolo armeno, mica è facile fare autocritica ufficiale. «La sfida è allora quella di trasformare queste singole suggestioni, questi spicchi di
revisionismo che salgono dalla società, in dimensione collettiva».
Riattraversare e ripercorrere collettivamente il male, ecco il passaggio che manca ancora oggi in Turchia.
Tuttavia Arslan resta ottimista. «Confido che ci arriveremo. Solo 10 anni fa era semplicemente impensabile quel che sta succedendo oggi in Turchia». (...)
V.V
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