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12 03 2007 - ARMENI Il genocidio di un libro
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da IL GIORNALE.it - lunedì 12 marzo 2007, 07:0
di Redazione - lunedì 12 marzo 2007, 07:00
ARMENI Il genocidio di un libro
Tutti oggi conoscono la parola Shoah. Anche i bambini. Nessuno conosce la parola sevkiyet. Né bambini né adulti.
Sevkiyet è la grande deportazione degli armeni di Anatolia avvenuta nel 1915, che provocò un milione e mezzo di morti.
I discendenti dei sopravvissuti la chiamano anche Metz Yeghèrn, il Grande Male.
Ora si può disquisire, come fanno alcuni, se il massacro della minoranza armena venuta a trovarsi entro i confini dello Stato nazionale turco, sia da
considerarsi o meno un genocidio. Fatto sta che gli armeni di Turchia vennero prelevati dalle loro case e massacrati sul posto. Le loro abitazioni vennero
depredate, le loro chiese date alle fiamme. Gli altri morirono durante le terrificanti marce forzate per raggiungere i luoghi della deportazione. Gli scampati fuggirono per il mondo, in una diaspora ignorata. Non sarà stato un genocidio, ma oggi dei circa due milioni di armeni che vivevano in Anatolia nel 1915 ne sono rimasti sessantamila.
Gli altri, come accadde agli ebrei, non sono più tornati. Agli armeni che sono rimasti nel Paese dove sono nati e a cui sentono di appartenere - la Turchia - è accaduto qualcosa di apparentemente meno tragico ma ugualmente doloroso:
hanno dovuto nascondere o addirittura cancellare la propria identità. Per sopravvivere le donne si sono sposate con turchi musulmani (talvolta addirittura con gli assassini dei propri mariti e fratelli), altri si sono convertiti all’Islam, hanno cambiato i propri nomi, di giorno vanno in moschea, di notte recitano le loro preghiere cristiane. Questo non è bastato a proteggerli. Perché, fra le due guerre e poi nel dopoguerra e fino a oggi, mentre la civile Europa prendeva atto e giustamente si sdegnava per la persecuzione antiebraica, gli armeni hanno continuato ad essere perseguitati e discriminati in patria. Sono cittadini-ombra, i «giaurri» da sempre disprezzati. «Gli armeni - scrive Antonia Arslan, l’autrice de La masseria dellea llodole, il romanzo sulla tragedia armena - sono un non-popolo, e possono essere accettati solo se si nascondono, se negano la loro identità. Non sta bene parlare di loro, nominarli è un tabù che tutti badano a non infrangere, dato che anche la minima allusione può creare disagio e imbarazzo».
Queste parole Antonia Arslan le ha scritte nella presentazione dell’edizione italiana di un singolare romanzo-documentario che ha anche avuto un singolare
(ed emblematico) destino: Con te sorride il mio cuore (Edizioni Lavoro, pagg.
401, euro 18). L’autore, Kemal Yalçun, è un turco nato nel 1952 a Honaz, ex giornalista, che dal 1981 si è trasferito in Germania dove è insegnante di lingua turca a Bochum. Il titolo da romanzo rosa non deve trarre in inganno, perché il libro di Yalçun è in realtà un «Viaggio tra gli armeni nascosti di Turchia», come recita il sottotitolo. A Yalçun non interessano verità ufficiali né conteggi dei morti, non statistiche né relazioni. A Yalçun interessano le storie delle persone. Durante una vacanza estiva è tornato in Turchia e, invece
di andare al mare col figlio, ha preso una serie infinita di autobus e ha percorso l’interno del suo Paese - da Amasya a Erzurum, da Askale a Merziforn - andando sulle tracce degli ultimi sopravvissuti alla sevkiyet, dei loro figli e nipoti, e di tutti gli «armeni nascosti».
All’origine del viaggio, un motivo insieme sentimentale e morale: la risposta datagli da una bella insegnante di turco di cui si è palesemente innamorato
durante un corso di formazione per docenti. Saputo che Meline è di origine armena, Kemal le chiede perché durante il corso di letteratura non abbia mai citato una poesia, un racconto, una fiaba armena. Spiazzante la risposta della donna: «Mio caro, perché forse me lo avete chiesto?... Ho insegnato a circa centocinquanta docenti. Non ce n’è stato uno che abbia detto: “Meline, tu sei armena. Hai la tua lingua, la tua religione, le tue usanze, la tua cultura...”.
Come avrei potuto raccontare una fiaba armena se, all’inizio del nostro corso, uno di voi ha sporto una lamentela nei miei confronti al ministero della Cultura, chiedendo come un’armena potesse insegnare turco a insegnanti di turco?».
È per questo che Kemal Yalçun si è messo in viaggio. Per dare una risposta a Meline. Ha dovuto rompere con fatica il muro di paura, omertà e diffidenza che i turchi oppongono a chiunque voglia riportare in vita la memoria armena. Ma ha
V.V
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