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30 03 2007 - Usa: rischio crisi con la Turchia per genocidio armeni
da Il Velino Washington, 28 mar (Velino)
- È previsto per i primi di aprile il giudizio del Congresso degli Stati Uniti sull’entità del massacro degli armeni da parte dell’impero ottomano tra il 1915 e il 1919. La questione sta creando notevole subbuglio nella politica internazionale degli Usa: da una parte ’amministrazione Bush rifiuta di riconoscere il massacro come genocidio;
dall’altra, soprattutto alla Camera dei rappresentanti dove i democratici godono di un’ampia maggioranza, i parlamentari sembrano orientati a soddisfare le richieste di Erevan. Quello del riconoscimento del genocidio degli armeni è un problema che viene posto in tutto il mondo, soprattutto in Francia e negli
Stati Uniti dove la lobby armena ha un rilievo notevole. Da noi, dove la comunità armena è limitata a poche migliaia di unità, è stato portato all’attenzione politica solo dall’ex ministro leghista Giancarlo Pagliarini, che avendo una moglie armena ha periodicamente chiesto al Parlamento una
risoluzione che sancisse il riconoscimento del genocidio. Negli Usa, però, la questione assume una rilevanza tutta particolare per via della partnership
strategica e militare tra Ankara e Washington. I turchi – che dopo il riconoscimento da parte del Parlamento francese lo scorso ottobre hanno sospeso le relazioni militari con Parigi – hanno infatti minacciato la chiusura della base di Incirlik, da dove gli americani fanno passare il grosso dei loro rifornimenti alle truppe in Iraq, e persino il blocco dello spazio aereo ai velivoli statunitensi. Il Pentagono teme anche ripercussioni sul passaggio di Habur, al confine tra Turchia e Iraq, da dove passa un quarto del petrolio
destinato ai militari Usa nel Golfo Persico. E non è tutto.

Un rapporto consegnato al Congresso dal Dipartimento di Stato segnala come la Turchia stia per acquistare 106 aerei da guerra di ultima generazione sulla base del progetto JSF, un affare da dieci miliardi di dollari che potrebbe andare in fumo. Così come altre trattative in corso potenzialmente molto lucrose per gli Stati Uniti, come la fornitura di jet F16 e di elicotteri Black Hawk. La linea di George W. Bush sul tema è chiara: in un momento politico difficile, con la guerra al terrorismo in una fase così incerta, rischia di
essere pericolosissimo per gli Stati Uniti mettere in crisi i rapporti con la Turchia. Già segnati, tra l’altro, da alcune divergenze non indifferenti: il
rifiuto da parte del governo Erdogan di concedere lo spazio aereo per attaccare l’Iraq nel 2003, per esempio, ma anche la scarsa attenzione dedicata dagli Usa al risveglio dell’indipendentismo curdo nel nord dell’Iraq. L’amministrazione statunitense, come ha spiegato il sottosegretario Daniel Fried in un appello al Congresso due settimane fa, ritiene inoltre che l’approvazione del testo sul genocidio degli armeni provochi tale emozione in Turchia da risultare controproducente rispetto agli sforzi americani di giungere a una riconciliazione tra le due parti. Bush, tra l’altro, il 9 gennaio ha provveduto alla conferma di Richard E. Hoagland ad ambasciatore a Erevan nonostante le proteste di molti parlamentari e del Comitato nazionale armeno d’America:
Hoagland, al contrario del predecessore John Marshall Evans, non ha mai definito il massacro degli armeni un genocidio.

V.V

 
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