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17 04 2007 - L’Onu nega il genocidio armeno
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Il politically correct di Ki Moon -da l'Opinione.it
di Dimitri Buffa
Dopo la Prima Guerra Mondiale, durante la quale oltre un milione di Armeni furono assassinati in Turchia, l’avvocato polacco Raphael Lemkin sollecitò la
Lega delle Nazioni a riconoscere i crimini di barbarie come crimini internazionali”.
Questa semplice didascalia, contestata all’ambasciatore turco all’Onu Baki Ilkin e contenuta in un pannello sotto il titolo ”Che cos’è un genocidio”, ha convinto il segretario generale delle Nazioni Unite, il sudcoreano Ban Ki Moon a cancellare un’intera mostra che si doveva inaugurare oggi al Palazzo di Vetro e che in realtà riguardava i massacri in Rwanda del luglio 1994. In pratica per fare contento il governo turco si sono scontentati
sia gli armeni sia i rappresentanti ruandesi presso le Nazioni Unite. L’ultimo, in ordine temporale, capolavoro di “politically correct” si è così consumato sotto gli occhi degli esterrefatti frequentatori della sede newyorkese dell’Onu
che avevano preparato con dovizia di foto e particolari l’intera manifestazione per commemorare gli eccidi dei grandi laghi in Africa da parte degli hutu che intorno alla metà di luglio di tredici anni fa sterminarono quasi due milioni di tutsi in una pulizia etnica che in molti fanno risalire alla diretta responsabilità, per negligenza e sottovalutazione, dell’ex segretario dell’Onu
Kofi Annan.
“Era un testo che non ci piaceva.
Faceva riferimento ai massacri degli armeni facendo paralleli con il genocidio in Ruanda”, ha candidamente dichiarato l’ambasciatore turco Baki Ilkin. Al Palazzo di Vetro il portavoce di Ban Ki Moon, Farhan Haq, ha invece ammesso che “le proteste turche hanno indotto Ban Ki Moon a cambiare idea”. La mostra, pare, è stata rinviata. Riaprirà “quando il processo di revisione dei pannelli sarà stato ultimato”.
E così Ban Ki Moon incomincia idealmente il proprio
mandato là dove l’aveva lasciato il suo predecessore. Triste il commento della comunità armena romana che riportiamo per esteso: “L'ONU ha, dal punto di vista
pratico, contato poco ed ha avuto un'efficacia solo quando gli interessi politici ed economici di una qualunque superpotenza potevano essere imbrigliati
e mascherati da una risoluzione del Palazzo di vetro che però sembrava legiferare con coerenza e senso di giustizia. Rimaneva dunque la speranza che da quei semi di una coerente visione dei diritti umani potesse germogliare e maturare nel tempo l'albero di una giustizia equa e di una civiltà più umana.
L'azione del Segretario dell'ONU, qui sotto riportata, uccide questo sogno.
L'abbracciare il negazionismo per non dar fastidio a qualcuno, non solo é immorale e stupido ma pericoloso poiché spalanca le porte a qualsiasi futura
aberrazione.
Quando i diritti dell'uomo vengono applicati chirurgicamente e quindi relativizzati essi diventano privilegi e si sancisce la morte della convivenza civile. Si assume l'ONU la responsabilità delle future tragedie che questo atto porta in grembo?”. Per la cronaca la società incaricata di gestire e installare la mostra, la Aegis, si è dichiarata contraria a rimuovere il riferimento dal testo ufficiale che collega il caso ruandese allo sterminio di sei milioni di ebrei sotto il Nazismo, ai massacri dei Khmer Rossi in Cambogia e ai crimini di guerra commessi in Bosnia, Timor Est e Sudan. Altra ironia della sorte? Le dichiarazioni che Ban Ki Moon doveva pronunciare all’inaugurazione sono rimaste in piedi. Anche se hanno preso il sapore delle “ultime parole famose”.“Per prima cosa non dimenticare mai. E poi non smettere mai di lavorare per prevenire un altro genocidio”, aveva infatti detto il segretario generale leggendo un testo alla televisione a circuito chiuso delle Nazioni Unite.
Per chi non lo ricordasse in Rwanda i Tutsi furono massacrati in tre mesi a partire dall’aprile 1994 davanti agli occhi impotenti di una missione Onu a cui le regole di ingaggio stabilite dal Consiglio di Sicurezza avevano imposto di non intervenire. Kofi Annan più volte interpellato per fax dal responsabile delle Nazioni Unite sul luogo neppure rispose alle sollecitazioni di mandare altri caschi blu a difendere la popolazione inerme. Su questa circostanza sono stati scritti libri e lo scorso anni anche presentato un film a Cannes, altamente drammatico. Aprile poi è anche il mese che commemora il massacro degli armeni e anche a Washington la polemica armeno-turca ha provocato tensioni perché il Congresso, sotto la spinta della comunità armena d’America, sta esaminando una risoluzione che sancirebbe il rmine “genocidio” contro le pressioni sull’amministrazione Bush da parte di Ankara che minaccia di ritirare l’uso della base di Incirlik se il testo dovesse passare.
E da qualche settimana per chi volesse conoscere meglio le circostanze del genocidio armeno è in proiezione nelle sale italiane l’ottimo film dei fratelli Taviani “la masseria delle allodole”, tratto dall’omonimo romanzo della brava Antonia Arslan. Certo per il governo turco di Erdogan, che ormai è alla vigilia delle elezioni, continuare a battere il tasto del nazionalismo e del negazionismo per fare dimenticare l’islamismo di cui invece è permeata la sua cultura e il suo partito (lui si è fatto anche un anno di galera negli anni ’90 per sedizione religiosa,ndr) può essere una tattica come un’altra per farsi rieleggere. Certo però che in questa maniera le trattative per fare entrare la Turchia nell’Europa andranno presto a farsi benedire.
V.V
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