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01 08 2007 - Gli Armeni in Puglia e a Bari
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Scritto da Vito Ricci - lunedì, 09 luglio 2007 18:44
Il legame millenario tra la Puglia e gli Armeni www.modugno.it
Ho letto recentemente l’interessante saggio di Michele Loconsole intitolato “ La Puglia e l’Oriente” 2006, Levante editori. L’autore pone l’attenzione sulla relazione tra Puglia e Oriente e sul suo carattere inclusivo, presentando tutte le variegate sfaccettature di tale plurisecolare rapporto; è un lavoro scritto bene, in maniera fluente, è di agevole e piacevole lettura. Tuttavia l’autore, nella sua pur vasta enucleazione delle vicende che hanno visto protagonista la nostra Regione con l’Oriente, ha “dimenticato” alcuni aspetti che meritavano un capitolo nel suo libro. Secondo me non si può non tenere in considerazione il rapporto tra la Puglia e l’altra sponda dell’Adriatico caratterizzato, nei secoli passati e nei tempi recenti, da continui scambi culturali e artistici, nonché da legame e vicende storiche. L’altro capitolo “mancato” del saggio di Loconsole è quello relativo alla millenaria storia tra la Puglia e il popolo armeno, storia troppo spesso, ahimè, dimenticata e sconosciuta. Di tale argomento, seppure in maniera succinta, voglio esporre alcune notizie e considerazioni.
Gli Armeni sono un antico popolo indoeuropeo che si stabilì nell’immensa regione dell’Asia sud-occidentale che si estende dall’Anatolia all’altopiano iranico. Il legame storico tra la Puglia , la cerniera tra Oriente ed Occidente, inizia nel Medioevo (X secolo) e, precisamente, negli anni in cui Bari era la capitale dei possedimenti bizantini nel Mezzogiorno. La Bari bizantina era una società multietnica e multiculturale ante litteram, convivevano pacificamente greci e longobardi, cristiani, musulmani ed ebrei, genti d’Occidente e genti d’Oriente e tra costoro gli armeni. Abbiamo numerose testimonianze nei documenti del Codice Diplomatico Barese della comunità armena presente a Bari. Alcune famiglie armene erano insediate e possedevano delle proprietà in agro di Ceglie: in un documento del 990 è testimoniata una lite tra congiunti per un’eredità. Nel 1005 Mosese, chierico armeno, fondava la chiesa di San Giorgio, probabilmente ubicata nei pressi della Corte del Catapano, nel luogo ove sorgerà la basilica di San Nicola, segnalata spesso come San Giorgio del porto e nel 1210 come San Giorgio degli Armeni. Il quartiere armeno di Bari si trovava proprio di fronte alla Corte del Catapano; è ancora oggi esistente, nelle forme romaniche, la chiesa dedicata a San Gregorio l’Illuminatore apostolo del cristianesimo in Armenia (IV secolo). Tale chiesa è ricordata in un documento del 1015 assieme all’abate e rettore, probabilmente armeno, Meles. Nel 1089 era divenuta, da chiesa pubblica, cappella privata della famiglia aristocratica armena degli Adralisto.
Un documento del 1011, firmato in armeno da un sacerdote Giuseppe, tratta di un’eredità contestata fra Arcontissa, la matrigna, e il figliastro Andrea.
Gli armeni svolgevano un ruolo preminente nell’esercito bizantino, infatti tra il 1008 e il 1010 fu Catapano l’armeno Giovanni della casata Curcuas (Gurgen), mentre nel 1011 l’armeno Leone Tornikos (Tornik), stratego del thema di Cafalonia, riconquistò Bari sotto le armi bizantine. D’origine armena era anche il catapano Basilio Mesardonide che nel 1011, come ricordato da un’epigrafe, ristrutturò l’area del Pretorio.
Qualche influsso dell’iconografia armena si ha in talune scene miniate nei rotoli dell’Exultet barese. Una testimonianza suggestiva ed importante, tuttavia senza riscontri oggettivi e certi, sostiene che Curcorio (Kurcorius, Gregorio), ricordato come giudice perspicacissimo, uno dei committenti nel 1087 della traslazione delle ossa di San Nicola da Mira a Bari, fosse di origine armena.
La presenza armena a Bari e nei dintorni (in particolare a Ceglie e nel casale di Sao) è testimoniata dalla dedicazione di chiese a santi collegabili con la tradizione armena: Prisco, Procopio, Pancrazio, Mauro. Nei pressi della Cattedrale esisteva un nutrito numero di chiese armene forse appartenenti ad una colonia di quartiere: San Procopio, costruita dal turmarca Tubaki nel 1020, San Gregorio “de Falconibus” (forse da identificare con i resti della chiesa rinvenuta nel sottosuolo di palazzo Simi), San Bartolomeo, ancora esistente.
Nell’area del pretorio bizantino si trovava la chiesa di San Eustrazio martire, abbattuta per lasciare spazio alla basilica nicolaiana. Secondo Nino Lavermicocca sarebbero di origine armena anche le chiese di Santa Pelagia (attuale Sant’Anna) e Sant’Onofrio. Un’ulteriore traccia armena lo si può ancora trovare in alcuni diffusi cognomi baresi: Armenise, Amoruso
(cambiavalute in armeno) ed anche, secondo Maurogiovanni, Caccuri, Susca, Zaccaria, Marzapane, Trevisani, Pascali e Oliviero.
Com e si può dedurre da quanto scritto sopra, la presenza della comunità armena
a Bari fu decisamente importante ed ha lasciato segni e tracce sovente
dimenticati. Probabilmente anche a Taranto vi erano degli armeni; ancora oggi
esiste nel centro storico del capoluogo ionico la chiesa di Sant’Andrea degli
Armeni edificata nel 1353.
Dovettero passare parecchi secoli affinché la Puglia potesse ristabilire un legame con gli Armeni. Bisogna arrivare agli Anni venti del XX secolo e a ben tristi vicende.
Il popolo armeno tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento subì delle gravi e pesanti persecuzioni prima da parte dell’Impero ottomano e poi da parte del governo dei Giovani Turchi. In ambo i casi si trattatò di veri e propri massacri: nella prima circostanza furono ammazzati 50.000 armeni, mentre, tra il 1915 e il 1918, persero la vita quasi 1.500.000 armeni, potendosi giustamente parlare di un vero e proprio genocidio, il primo genocidio del XX secolo, ricordato dagli Armeni nella loro lingua come “Medz Yeghern”, il Grande Male.
Il governo turco ha sempre negato tale genocidio e, addirittura, la magistratura di quello stato punisce con l'arresto e la reclusione fino a tre anni il nominare in pubblico l'esistenza del genocidio degli armeni in quanto gesto anti-patriottico. In tale denuncia, comunque ritirata, è incappato lo scrittore turco premio Nobel Orhan Pamuk, a seguito di un'intervista ad un giornale svizzero in cui accennava al fenomeno.
Sfuggendo ai tremendi eccidi gli Armeni trovarono ospitalità a Bari, città nella quale già dal 1913 si trovava esule il poeta Hrand Nazariantz (1886-1962) perché condannato a morte in Turchia. Nel 1924 le prime navi stracolme di Armeni approdarono nel porto del capoluogo. Provenivano dai campi profughi greci di Atene e Salonicco, dove avevano trovato rifugio due anni prima, dopo essere fuggiti alle stragi di Smirne. Ad organizzare l’accoglienza di oltre un centinaio di profughi assieme a Nazariantz vi era il letterato Yenovk Armen che in quegli anni viveva a Bari. Costui si recò in Grecia per offrire a rifugiati armeni la possibilità di trasferirsi a Bari per intraprendere la produzione di tappeti.
Grazie all’opera di sensibilizzazione svolta da Nazariantz si creò una disponibilità da parte del Governo italiano e di alcuni privati, fra cui l’ing.
Lorenzo Valerio ed il suo amico l’avv. Scipione Scorcia, che costituirono a Bari la “ Società Italo – Armena dei tappeti orientali”. Valerio era proprietario, infatti, di un lanificio in contrada Graziamone, attuale via Lattanzio, nel quartiere San Pasquale. La fabbrica di tappeti era annessa al lanificio. I fondi per le prime necessità degli esuli furono in primo luogo garantiti dall’Associazione Nazionale degli interessi nel ezzogiorno(ANIMI),fondata dal conte Umberto Zanotti Bianco, esponente politico di primo piano nella vita politica italiana nei primi decenni del Novecento e dal Circolo filologico barese, diretto da Carlo Maranelli, geografo di origine napoletana.
In un primo momento i profughi furono collocati nel capannone vicino alla fabbrica di tappeti, dove si mostrarono all'altezza della loro fama di
tessitori. Nel 1926 il ministro Luzzato garantì loro sei padiglioni di tipo «Docher», posti su un terreno acquistato dall'ANIMI in via Amendola, all’epoca via Capurso, nel quartiere San Pasquale. Fu così fondato il villaggio di «Nor Arax» che ospitò i profughi armeni. Ancora oggi in quella via, ove si trova l'Istituto delle Suore Clarisse Francescane, sulle colonne del cancello si legge, a destra, in caratteri latini, la scritta «Nor Arax», ripresa sulla colonna sinistra in caratteri dell'alfabeto armeno: significa «Nuovo Araxes», nome di un fiume che scorre tra Armenia, Turchia e Iran. È riportata anche la data dell'inaugurazione: 1926. E infatti ai lati del viale si riescono ad intravedere tra la folta vegetazione, quattro delle sei costruzioni nelle quali quasi ottant'anni fa trovarono ospitalità gli esuli armeni.
Sulla vita e l’attività svolta a Nor Arax ha scritto pagine intense e significative Umberto Zanotti Bianco: «Donne e bimbe lavorano su grandi telai… Forse in questo silenzio si vive di cose morte che soverchiano il presente e si protendono feroci sull’avvenire». Un anno dopo la fondazione del campo Nor Arax, cioè nel 1927, l’Acquedotto pugliese donò una fontana garantendo l’acqua potabile. Intanto i profughi lavoravano con eccellenti risultati: i tappeti realizzati a Bari furono acquistati da re Faruk, Papa Pio XI, la regina Elena, la Banca d'Italia e l'Acquedotto Pugliese. Nel dopoguerra nacquero scuole di tessitura, ad Oria (Brindisi) e in Calabria.
La maggior parte degli armeni approdati in Puglia e nel resto d’Italia, purtroppo, a seguito delle leggi razziali emanate dal Governo fascista fu costretta a lasciare il nostro Paese per cercare asilo altrove. Alcune famiglie decisero di rimane nel luogo che da esuli li aveva accolti, si integrarono nella vita cittadina e ancora oggi i loro discendenti vivono nel capoluogo pugliese, come ad esempio la famiglia Timurian che opera nel settore della produzione e commercio di tappeti. A Bari nel 2004 è stato costituto un Com itato Puglia – Armenia impegnato per l’ingresso di questo paese nell’Unione europea.
Voglio riportare una testimonianza commuovente a proposito del poeta Nazariantz dello scrittore barese Vito Maurogiovanni che in un articolo scrive: «Una sera, arlando di Nazariantz alla libre ria Palomar, leggemmo un pezzo di Pasquale Sorrenti nel quale era annotato che “….parlando con l’armeno Diran Timurian, uno del villaggio che si era fatto strada nella vita, ho saputo che le spoglie di Hrand non furono gettate nella fossa comune ma stanno in una tomba conosciuta dal Timurian. Ora Timurian è morto…” Quella sera, nella libreria c’era Rupen Timurian, il figlio di Diran. Si alzò, gli occhi pieni di lacrime, la voce gli mancava; riuscì a dire che Hrand Nazariantz era stato accolto nella
loro cappella familiare.»
Purtroppo la vicenda dei profughi armeni a Bari, del genocidio subito nel loro Paese, del villaggio di Nor Arax, del poeta Nazariantz è ai più ignota, nessuno ricorda la loro storia, che poi è anche la nostra storia, la storia di una città capoluogo della regione cerniera tra Occidente ed Oriente. I pugliesi di oggi, praticamente, non hanno memoria storica ell’accoglienza nei confronti degli armeni. Per fortuna e per le future generazioni i rari documenti sugli Armeni di Bari sono conservati negli archivi dell'Istituto pugliese per la storia dell'antifascismo e dell'Italia contemporanea, diretto dal professor Vito Antonio Leuzzi.
Nel 2004 la vicenda dei profughi armeni in Italia ha avuto risonanza a seguito della pubblicazione e del successo del romanzo di Antonia Arslan, docente di
letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Università di Padova di origine armena, “La masseria delle allodole”.
V.V
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