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050425 - cantano un dramma datato 1915: «Un'intera razza sterminata,
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25/04/2005
I Soad e il rock del popolo armeno
In due nuovi cd denunciano il genocidio del 1915 Già tutto esaurito a Milano per l'unico concerto italiano
Andrea Spinelli Milano. I testi sono crudi, anche più dell'esplosivo suono «nu metal» di cui sono tra i campioni: il messaggio delle canzoni dei System of a Down è un pugno nello stomaco di chi pretende di occultare la storia con il silenzio. Americani di origine armena, i Soad tingono di heavy metal il racconto del genocidio del loro popolo, cantano un dramma datato 1915: «Un'intera razza sterminata, spazzata via del tutto per il nostro orgoglio, un'intera razza sterminata, spazzata via, guardali cadere tutti quanti», cantavano nel '98 in «P.L.U.C.K.», acronimo di «Politically lying, unholy, cowardly killers» ovvero «Politicanti bugiardi, maledetti, codardi assassini», parlando del silenzio della storia sul milione e mezzo di armeni vittime del programma di pulizia etnica ordito dal movimento ultranazionalista dei Giovani Turchi. Una ferita che sanguina ancora tra i solchi di «Mesmerize/Hypnotyze», il doppio progetto con cui la band americana prova a rinnovare i consensi riscossi dal precedente «Toxicity» (oltre 5 milioni di copie vendute), senza però aver paura di parlare di altri drammi politici come il massacro di piazza Tienanmen o la «guerra preventiva» di Bush. Prova ne sia l'accusa lanciata dal primo singolo «B.Y.O.B.», «Bring your own bombs», contro i presunti interessi personali del presidente nel conflitto iracheno. Insomma, i Soad sono una band politica a tutti gli effetti? «No, ci diremmo una band armena dalla forte coscienza sociale, anche se nel nel 2003 per girare il video dell'inno pacifista "Boom" ricorremmo a Michael Moore», spiega il bassista Shavo Odadjian, affiancato dal chitarrista Daron Malakian, il cantante Serj Tanakian e il batteista John Dolmayan. I biglietti per il vostro concerto del 30 maggio al Forum di Milano sono già tutti esauriti. «Una magnifica notizia, anche se per allora il pubblico non conoscerà tutte le nostre nuove canzoni, visto che il primo cd, "Mesmerize", uscirà il 16 maggio, mentre il secondo, "Hypnotyze", solo in autunno inoltrato». Ieri, nel novantesimo anniversario del genocidio armeno, avete tenuto all'Universal Amphitheatre di Los Angeles un'esibizione benefica, «Souls 2005», in favore delle organizzazioni che lottano per il riconoscimento da parte del Congresso americano del massacro armeno. «Bisogna compiere pressioni sul governi statunitense e turco perché riconoscano quel genocidio che non compare in gran parte dei testi scolastici americani». Il genocidio del popolo armeno rimane un'ombra ingombrante per tutti voi. «Nel '79, quando avevo solo 5 anni, la mia famiglia si trasferì da Erevan prima a Roma e poi in America. Quando parlo di famiglia parlo dei miei genitori e dei loro genitori, visto che oltre il mio albero genealogico è tagliato di netto. Mio nonno non sa quando è nato, quanti anni ha, che fine hanno fatto i suoi parenti, dove e come sono stati uccisi. Negando l'esistenza del genocidio, si nega a noi armeni un pezzo di vita». Su che cosa poggiano le resistenze degli Stati Uniti? «Le ragioni sono sostanzialmente geopolitiche e riguardano, crediamo, soprattutto l'utilizzo delle basi americane in Turchia, a due passi da quella che rimane una delle zone più calde del mondo. Per fortuna l'Europa ha messo il riconoscimento del genocidio tra le condizioni per l'ingresso della Turchia nell'Unione». Suonereste in Turchia? «Nel'98, quando ci presentammo in Europa per la prima volta come supporter degli Slayer, i promoter turchi ci chiesero di andare, ma né la Sony né il governo di Ankara furono in grado di garantire la nostra incolumità. Se ci fossero le condizioni, andremmo. Il modo migliore per rompere un sistema è infatti quello di entrarci dentro». Che cosa direbbe ai fans di Istanbul, di Smirne o di Ankara aprendo lo show? «Direi "grazie di essere qui", sappiamo quanto ci amano davvero. Gli Slayer, orfani del nostro supporto in quel tour del '98, gridarono il nostro nome davanti ai poliziotti armati per tutto il tempo. Evidentemente i giovani sono più vicini agli armeni del loro governo».
V.V
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