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13 10 2007 - La memoria armena va risarcita, molti turchi capiranno». Parla Suny
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MARILISA PALUMBO - EUROPA.it
«È un gesto simbolico, è vero, ma io credo che abbia delle importanti ripercussioni pratiche. Riconoscere il genocidio armeno significa legittimare quella parte della società turca – non tanto marginale come si pensa – che vuole conoscere la propria storia.
E aiuterebbe a far crescere la democrazia».
Ronald G. Suny, professore di storia all’università del Michigan, esperto dei paesi ex sovietici, discendente di armeni della diaspora, non può che essere felice del voto della commissione esteri della camera che riconosce il genocidio dei suoi antenati ad opera dei turchi. Ma, spiega a Europa, a esserne
soddisfatti dovrebbero essere anche tutti coloro che hanno a cuore l’evoluzione democratica della Turchia.
D’accordo professore, ma perché questo voto ora? C’è chi lo spiega con l’influenza della lobby armena a Washington, il cui sostegno alle presidenziali
può essere molto importante in alcuni stati chiave.
La tempistica in effetti sorprende anche me.
La questione del riconoscimento del genocidio armeno viene portata avanti da anni senza risultati.
Anche Bill Clinton fermò l’approvazione di una risoluzione simile. Perché torna fuori ora che gli Stati Uniti sono impegnati in due guerre nel Medio Oriente e in Asia centrale? Non c’è una buona ragione, se non che c’è stata una coincidenza di circostanze favorevoli.
C’è una maggioranza democratica, che ha posto il tema essenzialmente per ragioni morali, c’è una lobby certamente efficace, e ci sono in Congresso
figure chiave che hanno a cuore la questione come la speaker Nancy Pelosi e Tom Lantos, presidente della commissione che ha votato la risoluzione, entrambi
californiani, stato con una forte presenza armena.
Certo per i dem è anche un modo di infastidire Bush, di dire che forse si dovrebbero considerare alcune di queste questioni storico-morali quando parliamo degli aspetti più realistici della politica estera.
I democratici sono sempre stati più attenti alla questione armena o parliamo di un tema bipartisan?
I deputati, su temi del genere, votano spesso pensando alle loro constituencies. Se rappresentano zone del paese in cui c’è un’ampia comunità
armena sosterrano il tema del riconoscimento del genocidio perché vogliono essere rieletti nei loro distretti, ma in termini generali si tratta più di un
tema della sinistra che della destra. Quello che è interessante di questo voto, se si leggono le dichiarazioni dei membri della commissione, è che nessuno nega che lo sterminio degli armeni sia stato un genocidio.
Chi ha votato “no” l’ha fatto dichiaratamente a sangue freddo per ragioni di realpolitik, giustificandosi con la necessità di mantenere buone relazioni con la Turchia.
Che è poi la posizione che Bush aveva espresso prima del voto chiedendo ai deputati di bocciare la risoluzione. D’altra parte però molti deputati, come ci ha appena spiegato, hanno votato sì solo per compiacere le loro constituencies.
Anche quello è cinismo...
Lo può chiamare cinismo, o semplicemente politica. Lenin diceva: prima devi avere il potere, poi puoi decidere cosa farne (ride).
Io penso che questo voto, in ogni caso, sia stato una piccola ma importante vittoria per gli armeni.
Una considerazione di realpolitik però è inevitabile farla. È giusto e, soprattutto, è utile innervosire la Turchia o sarebbe meglio aiutarla a
diventare una democrazia compiuta, che possa fare i conti con la propria storia?
Ci sono due posizioni a riguardo. Una è: aspettiamo, la questione del genocidio è un tema troppo controverso, la Turchia si sta muovendo nella direzione giusta avvicinandosi all’Europa, non fermiamo questi progressi. Secondo chi la pensa
così, come il mio amico Hrant Dink, ucciso a gennaio, la prima cosa è la democrazia perché sarà poi la democrazia a riconoscere il genocidio. La mia
posizione è leggermente diversa. Secondo me, in questo momento non dovremmo considerare la Turchia come una nazione monolitica, come una sola cosa. Ci sono dei turchi, ci sono le centinaia di migliaia di persone che si sono presentate ai funerali di Dink, che non hanno una voce. Il riconoscimento del genocidio legittimerebbe il movimento che vuole indagare senza censure la storia turca,
una ricerca che porterebbe a una maggiore apertura del paese e a più democrazia. Non riconoscendo il genocidio si appoggia invece quello che in
Turchia si definisce lo stato profondo: l’esercito, le forze nazionaliste, le persone che hanno ucciso Dink.
Secondo lei quindi è giusto legare l’ingresso della Turchia nell’Unione europea al riconoscimento del genocidio armeno?
Io non li legherei così esplicitamente. Ci sono cose più urgenti, ma è sicuramente un tema importante. L’estremismo con cui demonizzano gli armeni è
terribile. Ma quali armeni poi? Tutta la popolazione armena è rinchiusa in un quartiere di Istanbul. Addirittura uno dei principali storici turchi ha detto
recentemente che il Pkk è segretamente guidato dagli armeni! È un’idea talmente assurda...
Certo, il momento è delicato, il governo turco ha intenzione di agire nel Kurdistan iracheno... Ma la Turchia non può sempre tenere il mondo e la storia
in ostaggio. Prima, durante la guerra fredda, avevamo bisogno di loro contro l’Unione sovietica, ora c’è la guerra al terrorismo. È il momento di affrontare
le cose.
Qual è la differenza, secondo lei, tra il nazionalismo di Ataturk e il nazionalismo religioso di oggi?
È buffo, in tutto il mondo siamo preoccupati di quello che chiamiamo islamismo, ma ci sono tanti tipi diversi di Islam. Oggi una delle forze più rogressiste
in Turchia è il governo islamico, che almeno si oppone efficacemente ai più estremi nazionalismi turchi.
Riconoscere il genocidio può servire a erodere la coerenza e la compattezza dell’ideologia nazionalista, che sta oggi vacillando un po’ sotto i colpi dell’Unione europea e degli islamisti al governo.Parliamo di politica simbolica, ma è così che la comprensione delle cose cambia nel tempo. Se una
persona potente come George Bush dice che stiamo combattendo una guerra globale al terrore, quella stessa affermazione crea una realtà, e all’improvviso c’è questa cosa chiamata war on terror.
Ma la reazione di Gul al voto è stata molto dura.
Be’, è anche lui un politico. Devono trovare un punto di equilibrio, certo non
vogliono rishiare di essere uccisi o di perdere il potere a favore dei militari.
La lotta perché sia riconosciuto il genocidio è più sentita dagli armeni della diaspora che dagli armeni in patria?
Prima sì, perché quando l’Armenia era sovietica il tema non poteva essere sollevato, oggi è diverso. Resta il fatto che il genocidio definisce l’identità
stessa degli armeni della diaspora, i cui antenati arrivavano dalla Turchia.
V.V
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