|
|
Zatik
consiglia: |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Iniziativa
Culturale: |
|
|
|
|
|
19 10 2007 - L’amaro destino degli assiri cristiani in Turchia
|
L’amaro destino degli assiri cristiani in Turchia
di Corrado Galimberti
da l'opinione.it
La Turchia, che qualche lungimirante europeo vorrebbe accogliere nell’UE, forse pensando di ricevere una medaglia dagli Stati Uniti d’America, sponsor a
oltranza dell’Anatolia, è tornata a far parlare di sé dopo il voto di una commissione del Congresso americano. Alcuni politici Usa hanno infatti definito
genocidio lo sterminio del popolo armeno operato dai turchi nei primi del ‘900.
Gli armeni sono quindi – e giustamente - tornati alla ribalta delle cronache internazionali insieme ai curdi, altro popolo che qualcuno vorrebbe far scomparire dalla faccia della terra. Nonostante si sappia che non c’è due senza tre, a proposito di etnie perseguitate in Turchia quasi nessuno cita però un terzo soggetto, di cui solo in questi giorni qualche mass media è tornato ad occuparsi (all’acqua di rose): gli assiro-cristiani. Di solito, quando si parla di un popolo minacciato, nel mondo della diplomazia l’universo si divide in due: quelli che si fanno interpreti della popolazione perseguitata, ma solo se lo Stato in cui questa vive è un paese nemico.
Oppure quelli che chiudono non uno, ma tutti e due gli occhi se il popolo in questione viene sterminato da uno
Stato con cui si intrattengono buoni rapporti, possibilmente commerciali.
La Turchia non fa differenza, ma il voto della commissione del Congresso americano ha un po’ rimescolato le carte. Tanto è vero che Bush in persona da qualche giorno è al lavoro per rimediare al “pasticcio” combinato dai suoi deputati, visto che l’alleato turco, è furibondo con gli Usa. I turchi non
scherzano. Hanno persino richiamato l’ambasciatore da Washington. Un gesto forte, cui eravamo abituati ai tempi della guerra fredda, ma tant’è. Ogni volta
che qualche Stato sovrano osa parlare di sterminio degli armeni, Ankara passa al contrattacco con queste modalità. Quando poi si parla di genocidio, persino
gli aspetti più elementari del problema, come il numero di persone sterminate, vengono spesso messi in dubbio. Ma per gli assiro-cristiani, nonostante la
discordanza di cifre, è davvero difficile non nominare questo vocabolo. C’è chi li ritiene praticamente azzerati, parlando di una comunità superstite di sole
duemila persone. E chi pensa, includendo evidentemente anche i profughi sparsi nel mondo occidentale, che ammontino a 600 mila.
Una bella differenza, non c’è che dire. Sta di fatto che all’inizio del 1900 gli assiro–cristiani erano la bellezza di un milione. Tutto ebbe inizio con i
primi viaggi apostolici. Le varie etnie che popolavano la Mesopotamia abbracciarono la fede cristiana, formando la comunità ortodossa di Antiochia, peraltro considerata la più antica chiesa del mondo. E fu questa scelta a procurare già qualche serio grattacapo alla gente. Gli assiro-cristiani erano e sono i diretti discendenti degli assiro–babilonesi, popolo che a scuola abbiamo imparato ad apprezzare per aver fatto della Mesopotamia una culla di civiltà.
Un tempo, il vasto territorio della Turchia che spazia tra i fiumi Tigri ed Eufrate si chiamava del resto Turabdin, la “Terra dei servi di Dio”. Ma oggi quest’area è solo Turchia per i turchi e Kurdistan per i curdi.
Riferimenti alla popolazione originaria: nessuno. In questa zona del pianeta non è popolare essere cristiani. Le prime vere repressioni ebbero inizio con la fine della prima guerra mondiale e lo smembramento dell’Impero Ottomano per mano di quello che viene sempre dipinto dai turchi e dai loro alleati come colui che ha “salvato” la Turchia dal fondamentalismo islamico: Mustafà Kemal, detto Ataturk. Il padre della patria diede fuoco alle polveri, e nei confronti degli
assiro-cristiani incominciò una repressione senza precedenti in nome dello
“Stato turco e moderno”.
Al popolo assiro venne vietato di chiamarsi assiro, la gente fu costretta a
cambiare il proprio nome, vennero vietati l’uso della lingua madre (aramaico),
usi, costumi e abitudini e, naturalmente, l’esercizio della fede cristiana.
Ogni città e paese dovette cambiare nome. La “turchizzazione”, in poco più di
mezzo secolo, raggiunse gli obiettivi. Chi voleva evitare di scomparire, emigrò. Solo la Svezia, all’inizio degli anni Settanta, accolse a braccia
aperte gli assiro-cristiani provenienti dalla Turchia, tanto è vero che proprio in Svezia risiede ancor oggi la più grande comunità di assiri nel mondo
occidentale:quasi 100 mila persone. In un’inchiesta condotta anni fa dal giornalista svizzero Luca Dattrino emerse persino che scorrendo i verbali di interrogatorio relativi alle domande di asilo “si intuiva come la maggior parte dei funzionari di polizia non credessero neppure a quanto raccontavano gli
assiro-cristiani”.
Forse gli agenti, dal momento che la situazione dei 750 mila assiro-cristiani dell’Iraq e il mezzo milione della Siria, non era preoccupante, pensavano che
la gente proveniente dalla Turchia con racconti tanto terrificanti, non fosse degna di fede. Nonostante manifestazioni davanti alla sede dell’Unesco a
Ginevra e qualche debole interessamento di Amnesty International, gli assiro-cristiani che sono rimasti in Turchia sono tuttora perseguitati. Saranno anche solo 2000. Ma per i turchi sono evidentemente duemila di troppo. È di moda citarli solo quando vengono perseguitati in paesi da addomesticare, come l’Iraq. Ma l’Iraq non è la Turchia, che va tenuta buona, in attesa di fare il suo ingresso nell’Unione europea. Sai che spasso. Questa volta non per gli assiro-cristiani. Per noi.
V.V
|
|
|
|
|