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28 11 2007 - Tubercolosi in Armenia
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di Simone Baroncia/ 26/11/2007
Il primo paziente di Medici Senza Frontiere ha terminato la cura per la tubercolosi farmacoresistente nella capitale armena.
Nel settembre 2005 Medici Senza Frontiere (MSF) e il Ministero della Sanità armeno hanno avviato il primo e unico programma di cura per la tubercolosi (TBC) farmacoresistente nella capitale Yerevan. Oggi, il primo paziente di MSF ha completato la terapia durata quasi due anni. “All’inizio non immaginavo tutte le difficoltà che avrei incontrato” dice N.L. “Volevo solo essere curato e tornare a casa dalla mia famiglia. Invece è stato un processo che ha richiesto molto tempo”. N. L., malato di TBC, era stato in cura, in modo discontinuo, per quasi 15 anni. Dopo aver tentato per anni senza successo di adattarsi a un regime terapeutico rigoroso e impegnativo, i bacilli della TBC hanno gradualmente sviluppato una resistenza ai farmaci. Per paura di infettare la moglie e il figlio, N.L. viveva separato dalla famiglia e, nel timore di venire emarginato, non parlava della sua malattia ai vicini. Nel frattempo le sue condizioni peggioravano sempre di più.
Fino a due anni fa, in Armenia questi ceppi di TBC non venivano curati a causa della complessità della terapia che dura due anni e prevede anche diversi mesi di ricovero in ospedale. I farmaci di seconda linea non solo sono costosi ma spesso provocano violenti effetti collaterali. Inoltre i tassi di guarigione raggiungono solo il 60-70% anche con una terapia adeguata. Tuttavia N.L. è stato tra i pochi fortunati che hanno potuto iniziare la terapia nell’ottobre 2005. La cura, presso l’unità specializzata in TBC farmacoresistente situata alla periferia di Yerevan, prevede l’assunzione di una combinazione di 20 pillole al giorno, spesso abbinate a una dolorosa iniezione mattutina. “Dopo
tre mesi di terapia all’ospedale ho cominciato ad avere gli effetti collaterali” racconta N.L. “Senso di debolezza, vertigini, nausea, stanchezza, cambiamenti di umore, respiro affannoso...Era così intollerabile che mi bastava vedere i farmaci per avere la nausea”. N. L. soffriva già atrocemente e aveva davanti a sé ancora 20 mesi di terapia. Il suo travaglio quotidiano cominciava a far p assare in secondo piano i benefici finali della terapia. “All’ospedale N.L. riceveva visite sopratutto dal figlio che lo ha aiutato moltissimo a superare il senso di isolamento” dice Robert Parker, capo missione di MSF in Armenia. “Anche il nostro team, assistenti sociali, psicologi, medici e infermieri, lo ha incoraggiato su vari fronti e in ogni momento”.
Durante la fase iniziale della terapia per la DR-TBC, il ricovero in ospedale è necessario non solo per monitorare attentamente la risposta del paziente, ma anche per prevenire la diffusione della malattia fino alla conclusione della fase infettiva. N.L. è stato dimesso dall’ospedale quando l’analisi dell’espettorato è risultata negativa, dopo sette mesi di ricovero. Non era ancora g uarito ma era in grado di andare a casa e continuare a curarsi ambulatorialmente presso un policlinico di Yerevan. “Un momento cruciale della cura della DR-TBC è il passaggio dal trattamento ospedaliero a quello ambulatoriale” racconta Parker. “Il paziente non è più infettivo e torna alla sua vita normale, ma spesso la sofferenza provocata dagli effetti collaterali supera il disagio recato dalla malattia stessa”. Dopo mesi di grande impegno da entrambe le parti, N.L. ha iniziato a credere nell’efficacia e nei benefici della terapia. Con il tempo il suo atteggiamento è cambiato. “Volevo veramente portare a termine la terapia quindi ho continuato a prendere i farmaci regolarmente. Se vuoi vivere devi portare a termine la terapia”. Fino alla fine della terapia, N.L. è andato tutti i giorni al policlinico e non ha mai saltato una dose di farmaco. “La terapia è terminata, ma in termini tecnici N.L. sarà completamente guarito solo se non ci saranno recidive nei cinque anni
successivi” dice Parker. “Ma questo risultato ha certamente dato speranza agli altri pazienti e anche al nostro team.
Per la prima volta in due anni il nostro lavoro in Armenia ha prodotto risultati visibili. La cura per la tubercolosi farmacoresistente non è solo molto pesante per il paziente, è anche impegnativa e a volte frustrante sotto il profilo emotivo per il nostro team, perché spesso ci sentiamo in colpa per
gli eventuali fallimenti che possono verificarsi. Oggi siamo in grado di rispondere onestamente alla domanda ricorrente dei pazienti: questa terapia funziona? Ha mai guarito qualcuno?”. “Oggi la mia terapia è da considerarsi conclusa. Ma cosa significa questo per me?” dice N.L. “Significa che non ho più la febbre o la tosse e che sono in grado di interagire liberamente con gli altri. Non dobbiamo perdere la speranza, dobbiamo essere forti e pazienti e allora iusciremo a portare a termine la terapia”.
V.V
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