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09 03 2008 - Voci dal genocidio armeno a Valle di Roma in questi giorni ...
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Rossella Battisti- da l'Unità
Si parla spesso - e giustamente - dell'Olocausto, anche a teatro (recentemente è stato allestito addirittura un musical ispirato al diario di Anna Frank, mentre al Valle di Roma in questi giorni è in scena Processo a Dio di Stefano Massini con Ottavia Piccolo). Meno, invece, si dice e si rappresenta di altri genocidi non meno drammatici ma più «silenziosi», oscurati da altre tragedie, altre risonanze. Come il massacro degli armeni intorno al 1915, il «grande male» che fece circa un milione e mezzo di morti nell'Impero Ottomano, «epurazione» di massa che la Turchia di oggi continua a non voler riconoscere.
Persino Hitler commentava beffardo - in epoca più vicina ai fatti - che di quel massacro non se ne ricordava nessuno.
Ci pensa ora una piccola, intensa pièce di Gianni Guardigli, Tutte le notti - in scena al romano Teatro Due Aldo Nicolaj - a versare luce su quelle ferite mai rimarginate, su quella fessura scura della Storia. Lo fa attraverso lo sguardo di tre donne armene, lungo tre generazioni: la più anziana (interpretata con calda emozione da Anna Maria
Gherardi), che ha vissuto la realtà delle «carovane della morte», quelle formate da donne, vecchi e bambini che dopo il massacro degli uomini adulti, venivano spediti in un'interminabile e spesso fatale esilio nel deserto. La seconda (una riverberante Carla Cassola) di mezza età, che quei racconti ha assorbito nella sua coscienza. E infine la terza, giovane (e grintosa Barbara Chiesa), che cerca giustizia e riscatto da quel passato.
Tutte le notti le tre donne sono perseguitate dal ricordo, dall'incalzare di un dolore persistente, insistito quando sulla tragedia antica si innesta quella recente della perdita del nipote-figlio-fratello in un incidente auto. La regia di Marco Lucchesi condensa il racconto su una sorta di doppia scena imbiancata da centinaia di scarpe ricoperte di polvere di gesso e riflessa da un grande specchio in alto. Mentre le tre donne animano spazi diversi, Anna Maria Gherardi che si sorregge alla parete, stazione eterna di una tragedia mai tramontata. Carla Cassola inginocchiata al centro, sacerdotessa accorata di sacrifici che si ripetono e Barbara Chiesa che si scuote di lato, di una giovinezza inquieta e lacerata. Le punteggia Giovanni Carta, nel ruolo un po' urlato e promiscuo dei vari personaggi maschili (il carnefice turco, il fratello, il giornalista armeno) e i cenni di pianoforte remoto di Simone Maggio.
Ma l'emozione sgorga dai flash della traversata del deserto e dai recitativi di Carla Cassola, che scivolano dentro lo spettatore impercettibili, acuminati o roventi. Ma dove è stata nascosta finora Carla Cassola? Perché non viene usata di più e più visibilmente? Al posto, magari, di tante presunte divette di televisiva provenienza...
Pubblicato il: 08.03.08
Modificato il: 08.03.08 alle ore 21.35
H.D.
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