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050131 ITALIANI ALL' ESTERO
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Nasce il vero Associazionismo degli italiani all'estero
II Assemblea Plenaria CGIE (7-10 dicembre 2004)
Intervento del Ministro degli Esteri, Gianfranco Fini
Il suo stato d’animo dipende anzitutto da un’antica e sempre rinnovata amicizia nei confronti del Ministro per gli Italiani nel Mondo, in secondo luogo perché è consapevole dell’importanza che la comunità dei connazionali che vivono al di fuori del territorio nazionale ha acquistato.
Si vive in una fase storica in cui risulta sempre più evidente la necessità di “fare squadra”, come ha opportunamente detto il Capo dello Stato reduce da una importante missione politica, culturale ed economica nella lontana terra di Cina. La globalizzazione impone infatti ad ogni comunità di agire in modo sinergico, per affrontare al meglio la competizione che essa comporta. Insomma, non è più il tempo dei solisti, delle individualità, delle eccellenze. La globalizzazione è una grande opportunità, ma comporta anche notevoli rischi.
L’Italia, che è un grande Paese, ma una media potenza, può competere alla pari con gli altri soltanto se fa squadra. Da questo punto di vista c’è un ritardo culturale non nel Parlamento, ma nella percezione della società. Se si adopera l’espressione “fase squadra” si pensa sempre alle istituzioni in senso lato. Intanto, da questo punto di vista sono state negli ultimi tempi introdotte trasformazioni profonde, tanto che molte competenze sono state attribuite in via esclusiva alle Regioni. Fare squadra però significa coinvolgere, oltre che l’assetto istituzionale del Paese, anche le rappresentanze delle istituzioni italiane nel mondo e tutti coloro che rappresentano l’Italia per la loro capacità imprenditoriale.
Il grande successo della missione del Presidente Ciampi in Cina non è dipeso soltanto dal fatto che il Governo fosse rappresentato ad alto livello e che il Capo dello Stato ha un grande carisma e un grande rispetto in ogni parte del mondo, ma anche dal fatto che la delegazione era accompagnata da un numero notevole di imprenditori autorevoli.
Fare squadra non vuol dire soltanto coinvolgere le imprese che esportano il made in Italy, ma anche quelle che si impegnano a portare il lavoro italiano nel mondo e gli opinion leaders. Occorre infine lavorare strettamente con i connazionali che vivono e lavorano al di fuori dei confini nazionali.
E’ perfettamente consapevole della necessità di instaurare un rapporto sinergico con gli italiani nel mondo, perché da questo possono derivare benefici immensi al sistema-Paese.
Non ci si può rivolgere agli italiani nel mondo soltanto in nome dei sentimenti, facendo un ragionamento di tipo politico: se l’Italia vuole competere al meglio nella globalizzazione, sfruttare al massimo le sue potenzialità, conquistare spazi ulteriori di mercato, deve diffondere e difendere la sua identità. Questo è un elemento che arricchisce la comunità internazionale: ovunque essere italiano significa saper vivere, saper valorizzare gli elementi culturali più profondi della storia italiana. La diffusione dell’identità e della cultura nazionale è un valore aggiunto per ogni società in cui opera una comunità di italiani, non solo un motivo di orgoglio. Nell’epoca della globalizzazione occorre certamente conoscere la lingua della tecnologia e della comunità scientifica, ma al tempo stesso occorre difendere l’idioma di Dante.
Occorre attrezzarsi per sostenere le sfide della globalizzazione, senza limitarsi alla soddisfazione per i risultati già raggiunti. Una conquista storica è stata quella del riconoscimento del diritto di voto agli italiani residenti all’estero. Ma da questo punto di vista esistono certamente dei problemi. Leggerò certamente la Relazione di apertura della sessione del CGIE, ma ne conosco già in parte i problemi, se non altro per l’attività politica e parlamentare che ho svolto. Ho chiesto al Presidente dei Consiglio di procedere alla convocazione della seconda riunione della Conferenza Permanente Stato-Regioni-CGIE, proprio perché alcuni problemi possano essere risolti in quella sede.
Il problema più urgente da risolvere è quello degli elenchi degli aventi diritto al voto. Affronterò tale problema insieme con il Ministro Tremaglia e il Ministro Pisanu, proprio per evitare che si creino situazioni paradossali, ad esempio che chi ha il diritto di voto non riesca ad esercitarlo e chi lo ha perduto o non avverte più la necessità di esercitarlo, ma continui a essere inserito negli elenchi di coloro i quali quel diritto hanno. E’ fondamentale conoscere la platea degli aventi diritto all’elettorato attivo, ma anche passivo, proprio perché la presenza nel futuro Parlamento di Deputati e Senatori eletti nella circoscrizione estero non è un regalo fatto al Ministro Tremaglia, ma un investimento che il Parlamento italiano fa sulle potenzialità e sulle risorse che al sistema-Paese possono giungere dal lavoro degli italiani residenti all’estero.
Ma di problemi ce ne sono anche su altri fronti, a cominciare dalla rete consolare all’estero, rimasta ancora strutturata sulla base di parametri dettati dalla situazione storica di molti decenni fa. E’ la rete diplomatica nel suo complesso che va profondamente ripensata tenendo conto dei nuovi bisogni emergenti ed anche del ruolo acquisito da altri istituti, non solo quelli preposti al commercio estero, ma anche ad esempio dagli Istituti di Cultura, o in Europa, dalle famiglie politiche e sindacali transnazionali. Di fatto, all’interno dell’Unione Europea i confini non esistono più, tanto che i cittadini europei eleggono oggi un Parlamento comune che sta acquistando nuovi spazi politici. Ci si deve dunque interrogare oggi su cosa significhi essere italiani e nello stesso tempo europei, posto che non vi può essere dicotomia fra queste due situazioni. Si tratta di un punto da approfondire anche in sede CGIE. In effetti, gli italiani residenti oggi in Belgio o in Germania non vivono la stessa condizione dei loro connazionali che vivono in Australia o in Sud America. La costruzione dell’Unione Europea è la grande novità storica del secondo do dopoguerra, una novità che cambia radicalmente tutti gli scenari.
L’Italia è cresciuta e si trova ora definitivamente fuori dal dopoguerra. Anche in tema di migrazioni, essa si confronta oggi con due fenomeni che costituiscono un’assoluta novità. Il primo di essi è che l’Italia, da Paese di emigrazione è diventato un Paese di immigrazione. L’esperienza diretta vissuta dagli italiani dei due fenomeni li pone in una situazione del tutto particolare, e con una sensibilità nei confronti dei problemi vissuti dai propri connazionali decenni fa e che oggi sono vissuti da quanti ospita all’interno dei propri confini. E’ per questo che, come ha sostenuto giustamente il Ministro Tremaglia, gli italiani non potranno mai prendersela con quanti vengono oggi in Italia a cercare lavoro. E’ una sensibilità che egli ha inteso espressamente segnalare nell’incontro di Orano della settimana scorsa tra i Paesi del Mediterraneo, europei ed africani, sensibilità compresa ed apprezzata da questi ultimi.
Il secondo fenomeno, del tutto nuovo nell’esperienza storica, è quello del ritorno dei figli e dei nipoti di quanti sono emigrati molti anni fa in altri Continenti. Oggi, gli “oriundi” sentono la necessità, anche per motivi economici, di tornare nella terra dei padri. Anche nei confronti di questa parte della comunità italiana occorre mostrare la stessa attenzione che si dedica a quanti continuano a risiedere in Paesi stranieri.
Tali due fenomeni rendono più complessa la situazione e richiedono proposte innovative, come quella che egli qualche tempo fa formulò per offrire una corsia privilegiata nel mercato del lavoro italiano agli emigrati di ritorno: allora questa proposta suscitò scalpore ed anche immotivato scandalo. Ma è indispensabile che la madre Patria non si volti dall’altra parte quando i cittadini che versano in situazione di bisogno chiedono di ritornare. Ciò fa venire in mente la drammatica situazione economico-sociale dell’Argentina: nel novero delle iniziative che con urgenza devono essere assunte vi è senz’altro, in sintonia con le autorità di Buenos Aires, la necessità di individuare delle risposte concrete a tale crisi che non può vedere l’Italia distratta. Più in generale, il problema della solidarietà e della giustizia sociale è un tema che fortunatamente fa parte del patrimonio dei valori condiviso da tutti gli italiani; vi è però un ostacolo molto difficile da superare ed è quello posto dalla scarsità di risorse disponibili. In una condizione finanziaria meno difficile di quella attuale, il Ministro Tremaglia chiese ed ottenne dal Consiglio dei Ministri una misura della stessa importanza storica del diritto di voto conquistato degli italiani residenti all’estero, ovvero l’equiparazione del trattamento pensionistico tra i residenti all’estero e i residenti in Italia. Anche se inevitabilmente si è costretti a registrare difficoltà applicative rispetto a tale misura, per la prima volta si è riusciti ad affermare un principio che riconosce pienezza di diritti e di doveri, senza discriminazioni tra cittadini di serie A e di serie B.
Un punto deve essere definitivamente chiarito. Sentire amore di Patria, cioè amore verso la terra dei propri padri, non significa in alcun modo nutrire una vocazione nazionalistica. Vi è fra i due concetti una profonda differenza culturale. La tragica storia del secolo appena trascorso ha mostrato come il nazionalismo, e cioè il sentimento di superiorità della propria Patria rispetto a tutte le altre, sia stato la fonte di persecuzioni, di discriminazioni e delle due guerre mondiali imposte al mondo dall’Europa. Oggi amore di Patria significa difendere la propria identità in uno scenario dominato dalla globalizzazione non solo economica, ma anche culturale, con i connessi pericoli di massificazione e indistinzione. Uno dei più belli articoli della nuova Costituzione europea è quello che segnala come l’unità europea si costruisca sulle sue diversità. Gli italiani perciò debbono sentirsi orgogliosi di essere tali, preservando le proprie radici storiche all’interno di quella più grande Patria che è diventata l’Europa.
In qualità di Presidente del CGIE, mi augura che nell’ambito del Consiglio sia possibile confrontarsi con ricchezza di spunti anche pluralistici, proprio per rispondere al grande compito di rappresentare quella parte di comunità italiana che, pur vivendo geograficamente lontano dalla Patria, deve essere in grado di partecipare a pieno titolo al dibattito pubblico italiano. Se dunque Parlamento, Governo e partiti fanno la loro parte allo scenario istituzionale, anche il CGIE deve essere in grado con identica convinzione e determinazione di esercitare le proprie competenze e di svolgere il proprio ruolo.
Gianfranco Fini/Ministro degli Esteri
enzo mainardi
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