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15 04 2008 - Reportage dal paese che per primo abbraccio' il cristianesimo come religione di Stato Armenia,
da LaVoce quotidiano online
Esteri
Reportage dal paese che per primo abbraccio' il cristianesimo come religione di Stato Armenia, crocevia tra oriente e occidente Le tensioni con Turchia e Azerbaijan e il clima politico avvelenato frenano lo sviluppo

Jerevan, Armenia (dal nostro inviato) – Raggiungere la capitale di questa piccola repubblica dell’Asia centrale (30mila kmq) e' una specie di sfida.
Durante l’inverno, infatti, capita che l’aeroporto sia chiuso al traffico a causa delle proibitive condizioni climatiche (Jerevan si trova a 1.000 mt. sul livello del mare). Impossibile cercare di passare attraverso la vicina Turchia (la capitale dista solo 25 km dal confine): i due paesi non hanno relazioni
diplomatiche a causa del genocidio armeno ad opera dell’Impero ottomano (secondo le stime, le vittime oscillano fra 200.000 e 1.800.000 persone), che
Istanbul si ostina a non riconoscere come tale, e le frontiere sono chiuse.
Peggio sarebbe cercare di passare o est, attraverso il confine con l’Azerbaijan, con cui l’Armenia è ancora formalmente in guerra, anche se dal
1994 è in vigore il cessate il fuoco. Tra il governo di Jerevan e quello di Baku non corre buon sangue per via del Nagorno-Karabakh, la piccola regione
secessionista di etnia armena all’interno del territorio azero (4.400 kmq), che durante l’amministrazione sovietica aveva lo status di regione autonoma.
Il Nagorno-Karabakh ha un proprio governo, ed un Parlamento, ma è inaccessibile dall’Azerbaijan, mentre è possibile raggiungerlo attraversando lo stretto corridoio, controllato dalle truppe di Jerevan, che lo separa dalla madrepatria
(fino ad oggi rimangono non eseguite le risoluzioni 822,853, 874 e 884 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sul “ritiro delle forze di occupazione dalle aree occupate appartenenti alla Repubblica
dell'Azerbaigian”). Ora, con l’indipendenza del Kosovo, per questa mini-repubblica, che formalmente non è riconosciuta neanche dall’Armenia (che
però vorrebbe annetterla) si aprono delle speranze per un eventuale riconoscimento internazionale. L’Azerbaijan non è stato però a guardare, e,
durante la guerra del Nagorno-Karabakh (che gli è costato un sesto del suo territorio, e circa 16.000 militari uccisi durante sei anni di guerra) ha
occupato Artzvashen, un’enclave armena in territorio azero, provocando una diaspora di tutti gli abitanti (la Farnesina sconsiglia di percorrere la strada
tra Ijevan e Noyemberyan, a causa della presenza di cecchini). Gli errori della geografia politica – talvolta poco attenta nel tracciare i confini –
sembrerebbero essersi concentrati in questa zona montagnosa della Terra:
l’Azerbaijan, a sua volta, ha un’enclave a sudovest dell’Armenia, la Repubblica autonoma di Nakhchivan, un’area di 5.500 kmq che la leggenda vorrebbe fondata
da Noè, e che sarebbe facilmente raggiungibile percorrendo pochi chilometri in macchina. Peccato che per farlo, occorra entrare in territorio armeno. Così,
gli abitanti di questo pezzo di Azerbaijan che vogliono raggiungere la loro capitale, devono farlo obbligatoriamente in aereo, come per la Turchia. Gli
unici vicini con cui l’Armenia intrattiene rapporti di buon vicinato, sono la Georgia ed il focoso Iran. Verrebbe da domandarsi quali siano gli interessi
dell’occidente in un Paese di meno di 3 milioni di abitanti (1.100.000 dei quali concentrati nella capitale) senza sbocchi sul mare, senza industrie, con
un elevato tasso di corruzione, e con il 35% della popolazione che vive sotto la soglia della povertà (dati 2004). Eppure, parlando con gli ambasciatori di
stanza a Jerevan (oltre a Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Germania, anche l’Italia ha una sede diplomatica) si capisce che l’interesse è tutto
geopolitico: l’Armenia è strategica per la vicinanza con l’Azerbaijan, dal cui sottosuolo sgorga petrolio (Hitler tentò inutilmente di occuparlo, durante la
seconda guerra mondiale, con l’Operazione Edelweiss, fallita grazie alla resistenza dell’Armata rossa), con l’Iran, con la Turchia che bussa con
insistenza alle porte di Bruxelles, e con la Georgia. E proprio da Tbilisi non transitano solo coloro che, dalla Turchia, sono diretti in Armenia, ma passa
anche una triangolazione con la potente Russia di Putin (Jerevan è sempre stato di fondamentale importanza strategica, in quanto crocevia delle rotte
carovaniere che collegavano l'Europa all'India). Ecco il perché dell’interesse dei governi occidentali nei confronti di questo piccolo Stato, a cavallo tra
Europa, medioriente ed Asia centrale. In più, c’è da aggiungere che in seguito alla diaspora seguita al genocidio ad opera dei turchi (un milione e mezzo di
morti durante la Prima guerra mondiale nel 1915), gli armeni si sono dispersi in oltre 70 paesi (in aeroporto a Jerevan non è infrequente trovare armeni in possesso di due o tre passaporti, anche se la doppia cittadinanza impedisce di candidarsi alla presidenza del Paese). Tra i sette milioni di armeni sparsi per il mondo, spiccano il chansonier francese Charles Aznavour (vero nome Aznavourian), e il novantunenne finanziere statunitense Kirk Kerkorian. L’ex proprietario degli studios cinematografici Metro Goldwyn Mayer e della United Artists, considerato il “Re di Las Vegas”, e proprietario di quote di
importanti società, tra cui la General Motors, è così legato alla sua terra natale (è nato a Fresno, in California, da immigrati armeni) da aver finanziato
di tasca sua la costruzione di numerose strade (in tutta la sua vita ha donato più di 200 milioni di dollari in beneficenza). Secondo la rivista americana
Forbes, nel 2007 il patrimonio di Kerkorian ha raggiunto quota 15 miliardi di dollari (nel 2006 era 8,7 miliardi), garantendogli la 31ª posizione tra gli
uomini più ricchi del mondo (ex-equo con l’amministratore delegato di Microsoft
Steven Ballmer), e il 14° posto tra i magnati statunitensi (sempre alla pari con Ballmer). Anche l’ex campione del mondo di calcio Yuri Djorkaeff passa
spesso da queste parti (la madre è armena).
Il governo di Jerevan punta molto sul concetto di “madrepatria”, e i politici spingono molto sul tasto del nazionalismo (i partiti hanno nomi folkloristici come “Armenia prosperosa”,
“Federazione rivoluzionaria armena”, “Partito per l’unità nazionale”, “Movimento nazionale armeno”, “Eredità”, o il più classico “Partito
repubblicano”). D’altronde, con il 98% della popolazione armena, e solo lo 0,5% russa, non potrebbe essere diversamente. Il territorio che forma l’attuale Repubblica dell’Armenia è solo una piccola parte di quello che un tempo fu.
Anche il monte Ararat (5mila metri), simbolo dell’antica Armenia (figura al centro dell'emblema nazionale), si trova oggi in territorio turco, a soli 25 km dal confine tra i due stati. Secondo alcune interpretazioni della Bibbia, Noè approdò proprio sulla cima della montagna, dopo che il diluvio universale, scatenato da Dio per punire gli uomini, ebbe termine, e la leggenda vuole che l'Arca di Noè sia ancora lì, come riferito da alcuni viaggiatori, tra cui Marco Polo. Anche l’antica capitale Ani si trova attualmente in territorio turco.
Gli armeni hanno subito numerose invasioni ad opera di arabi, bizantini, persiani, oltre al genocidio durante la dominazione da parte dell’Impero
ottomano, e alla successiva occupazione dell’Impero russo, seguita dall’incorporazione nell’Unione sovietica, dalla quale l’Armenia si è staccata
nel 1991, in seguito alla sua dissoluzione. Nel 1827 fu occupata dalla Russia, e formalmente ceduta a questa dalla Persia nel 1828. Dopo la rivoluzione
bolscevica del 1917, fu per tre anni la capitale dell'Armenia indipendente, per diventare nel 1920 la capitale della Repubblica socialista sovietica armena,
fino al collasso dell'Unione Sovietica. E pensare che dal 1922 al 1936, l’Armenia aveva costituito, proprio insieme ai vicini azeri e georgiani, la Repubblica socialista sovietica federata Transcaucasica, con capitale a Tbilisi. Le radici della repubblica risalgono alla dissoluzione dell'Impero russo nel 1917, durante la Rivoluzione di ottobre, quando le province del Caucaso si separarono e tentarono di formare uno stato federale a parte, ma già
allora i diversi interessi nazionali e la guerra con la Turchia portarono però alla sua dissoluzione solo sei mesi dopo, nell'aprile 1918. Negli anni
successivi, i tre stati passarono attraverso una guerra civile che coinvolse anche l'Armata Rossa, e ne uscirono appunto come repubbliche sovietiche. Nel
marzo 1922 la zona fu riunita come unione di repubbliche sovietiche, e nello stesso anno i tre stati rimasero uniti in un'unica repubblica, ma nel 1936 quest'ultima si dissolse e si divise nei tre stati separati.
Il primo presidente dell’Armenia indipendente è stato Levon Ter-Petrossian, eletto con un plebiscitario 83% dei voti nell’ottobre 1991, e riconfermato con
il 52% nel 1996. Ter-Petrossian (che è nato ad Aleppo, in Siria) si dimise a metà del secondo mandato, all’inizio del 1998, in seguito ad uno scontro politico sul Nagorno-Karabakh. Nelle successive elezioni presidenziali
anticipate, il Capo provvisorio dello Stato, Robert Kocharian (all’epoca primo ministro) venne eletto al ballottaggio (60% contro il 40% dello sfidante Karen
Demirchyan). La vita politica dell’Armenia indipendente è stata tutt’altro che pacifica. Il 27 ottobre 1999, cinque uomini armati di kalashnikov fecero irruzione nell’Assemblea nazionale, mentre il Parlamento era in sessione alla presenza del governo, e ne assassinarono il presidente Karen Demirchyan
(candidato alla carica di Capo dello Stato l’anno precedente), il premier Vazgen Sargsyan, ed altri sei tra ministri e parlamentari. Anche nel 2003
Kocharian la spuntò solo al secondo turno sulla sfidante Stepan Demirchyan, figlio dell’ex primo ministro assassinato Quattro anni prima. Secondo l’Osce le elezioni non rispettarono gli standard internazionali, e le procedure di votazione e di conteggio mostrarono “gravi irregolarità”, compreso un diffuso ricorso ai brogli.

In occasione delle elezioni presidenziali dello scorso 19 febbraio, i sostenitori di Levon Ter-Petrossian hanno fatto circolare copie di un dvd
pirata con le immagini della strage, accusando indirettamente il presidente uscente Robert Kocharian di esserne in regista occulto. Kocharian fa parte di
quel gruppo di politici influenti di origine karabaka che occupano molte posizioni chiave in Armenia (è stato presidente del Nagorno Karabakh a metà
degli anni ’90). Oltre al neopresidente Serzh Sargsyan (è stato a capo delle comitato delle Forze di auto-difesa del Karabakh tra il 1989 e il 1993), tra i candidati alle presidenziali di febbraio correvano anche l’ex ministro degli Esteri dell’autoproclamata repubblica montana, ed ex consigliere del presidente per gli Affari esteri, Arman Melikyan (dimissionatosi proprio in seguito
all’autocandidatura), e Vahan Hovhannisyan, e Vazgen Manukyan, già membri del comitato di liberazione del Karabakh. Anche Ter-Petrossian ha fatto parte nel
1998 del comitato per la liberazione del Nagorno-Karabakh, che gli costò l’arresto l’anno successivo. Petrossian non ha riconosciuto l'esito delle
elezioni presidenziali, e dal 20 febbraio Jerevan è al centro di manifestazioni di piazza con scontri - come già avvenuto nel 2004 – che hanno indotto le
autorità a dichiarare lo stato di emergenza, revocato solo il 21 marzo.
Il panorama politico è dominato dal Partito repubblicano (49,6% dei seggi all’Assemblea nazionale, 65 deputati), guidato dal neopresidente Serzh Sargsyan, che, in seguito allla morte improvvisa del primo ministro Adranik Margaryab, avvenuta a marzo 2007, gli è succeduto alla guida del governo e del partito. Il simbolo del Partito repubblicano è una poco rassicurante acquila
nazista che sovrasta una spada in campo rosso. Prospera Armenia è un partito filo-governatvo, formato prima della elezioni parlamentari del 2007 da Gagik Tsarukyan, uno degli uomini d’affari più influenti del Paese. La Federazione rivoluzionaria armena è uno dei più antichi partiti politici, con una lunga storia come organizzazione clandestine durante l’epoca sovietica, e fu messa fuori legge nel 1994, durante la presidenza di Levon Ter-Petrossian. Anche quì non manca un partito di campo “legalitario”: l’ Orinats Yerkir, il cui leader
Arthur Baghdasaryan (candidato alle recenti presidenziali) è stato al centro di uno scandalo, nell’aprile 2007, in seguito alla pubblicazione sui giornali di una conversazione con un diplomatico inglese, durante la quale affermava che era necessaria una rivoluzione.
L’Armenia è stato il primo Paese al mondo ad abbracciare nel 301 il cristianesimo come religione di Stato (lo provano le decine di splendidi
monasteri edificati su incantevoli promontori), e dal 5° secolo ha un proprio alfabeto (i cartelli riportano la doppia indicazione in armeno e russo).
Cercare di visitare questa terra può risultare non facile, a causa delle poche strade, e della loro cattiva manutenzione. A ciò si aggiunga il modo di guidare “poco ortodosso” dei suoi cittadini, e il clima invernale assai rigido (il termometro, fuori dalla Capitale, segna anche meno 30/40 gradi).

Quest’anno poi, l’inverno è stato eccezionalmente freddo con bufere di neve che hanno interessato in particolare le regioni ad est. Il lago Sevan, il più grande del mondo a questa altitudine (prima che Stalin ne ordinasse la “riduzione” di 50 metri, si trovava ad un’altezza di 1.950 metri sul livello del mare, aveva un profondità di 95 mt., e copriva un’area di 1.360 kmq, pari al 5% dell’intera
Armenia, con un volume di 58 kmq, e un perimetro di 260) è rimasto completamente ghiacciato per tutto l’inverno, e non è difficile trovare pescatori che a bordo dei loro vecchi sidecar percorrono questa enorme distesa di ghiaccio, in cerca di un posto dove bucare la superficie.
Con un reddito pro-capite di 3.500 euro all’anno (dati 2006), l’Armenia è uno dei paesi più poveri dell’area.
Per sostenere l’asfittica economia, il governo ha imposto che tutti i pagamenti avvengano in moneta locale, il drams, anche se l’obbligo è largamente disatteso, e, accanto ai cambiavalute ufficiali, è
possibile convertire euro o dollari al mercato nero. Il tasso di crescita annuo del 13,4%, tuttavia, non si distribuisce in maniera uniforme. Basta camminare
per le vie di Jerevan, per rendersene conto. Accanto agli edifici del governo, costruiti in epoca sovietica ad emiciclo lungo piazza della Repubblica,
spiccano palazzi in costruzione, destinati a rimanere vuoti. Un imprenditore italiano, che frequenta questa terra da prima della dissoluzione dell’Urss,
sostiene che la costruzione di nuovi edifici serve solo a far girare i soldi, e che gli uffici sono destinati a restare vuoti (per questo ci metterebbero tanto tempo per completarli). A guardarla dall’alto del promontorio che ospita l’Università americana, Jerevan sembra un enorme cantiere, ma si tratta di
un’illusione. Nel nuovo Emporio Armani, che aprirà a pochi metri dalla centralissima piazza della Repubblica, in una specie di via Montenapoleone in
costruzione, ci potranno andare solo i pochi armeni che girano in Suv e Mercedes, quelli che, in un modo o nell’altro, sono organici al potere locale.
Nonostante siano passati oltre 15 anni dalla dissoluzione dell’Urss, anche questa repubblica dell’ex Impero sovietico, fatica, come le altre, a trovare la strada dell’occidentalizzazione, imprigionata tra tradizione, nazionalismo e
corruzione. E dire che una volta, da quì, passava la "via della seta".

Marco Marsili
direttore@voceditalia.it

Guarda il reportage sull’Armenia su MyVideos
http://www.myvideos.it/index.asp?Nvideo=637

H.D

 
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