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Generazione senza nonni
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Generazione senza nonni
Alice Tachdjian - Il ricordo lasciato per il 93° Aniversario del Genocidio degli Armeni
Natale è già lontano. Rimane il dolce ricordo dei visi dei miei nipotini che aprono i regali sotto l’albero di Natale, posto accanto al presepio. I loro visi meravigliati erano come il mio, perché in quel attimo diventavo assieme nonna e bambina.
Io non ho mai conosciuto i miei nonni, sono stati inghiottiti dal nulla durante il genocidio degli armeni nel 1915. La mia generazione non ha nonni ne parenti, è senza radici.
Ed eccoci avvicinarsi al 93° anniversario del genocidio armeno…
Quanti anniversari dovremo ancora commemorare prima che esso sia riconosciuto dalla Turchia e dal mondo intero, che sia scritto nei libri di storia ed insegnato nelle scuole?...Quanti?...quanti ancora?
Davanti al khatckar importato dall’Armenia e posto nel comune di Bagnacavallo, i rappresentanti, assieme ai cittadini, il 24 aprile di ogni anno, si radunano per deporre ufficialmente una corona di fiori. Conferenze, films. Non succede niente. La Turchia rimane sulle sue posizioni, l’Europa le chiede timidamente il riconoscimento del genocidio e gli anni passano e noi invecchiamo. Chi ci sarà dopo di noi a rivendicare il nostro diritto alla memoria ? I nostri figli, nati come noi in paesi stranieri, sono ormai impregnati dalla cultura e dalla storia del paese in cui vivono. Piano, piano si stingerà la memoria d’ essere l’ultimo anello di una discendenza armena. Saranno talmente assimilati che non ricorderanno neppure perché il loro cognome finisce con ”ian”.
Ciò che c’è da fare va fatto ora, prima che la generazione dei figli dei sopravvissuti giunga al termine. Abbiamo ancora nelle orecchie l’eco dei loro pianti, nei nostri occhi stampate le loro facce sempre tristi inondate da improvvise pozzanghere di lacrime.
Quante sono larghe, di che colore sono, di quale tessuto sono costituite, quanto sono solide, le maglie dell’immensa rete che il piccolo popolo armeno con la sua tragedia e la sua feroce voglia di continuare ad esistere, ha steso attorno al mondo e alle coscienze? Il genocidio ha sepolto in modo brusco ed irreversibile la vecchia Armenia anatolica con la sua storia millenaria, i suoi usi e costumi ed al posto di quella Armenia ne ha create due. Una caucasica, con visione dell’Ararat, destinata alla conservazione fisico/spirituale di quanto resta, al mantenimento della lingua e della memoria in senso stretto, per ora esportatrice di uomini e di speranze. L’altra Armenia non ha problemi di frontiere, è una nazione sparsa dentro altre del mondo, vivacissima, intraprendente, generalmente colta, modernissima, fatta di donne e uomini perfettamente integrati nei loro stati di adozione.
In questo preciso momento sono loro la voce più autorevole che può dirottare la frastornata e distratta opinione pubblica internazionale sui problemi storici, politici ed umanitari che l’entrata della Turchia in Europa sta sollevando.
Sono queste donne e questi uomini che stanno aiutando in ogni maniera l’altra Armenia ancora impastoiata da molti decenni di dittatura e di povertà.
Sono i laici che da sempre aiutano la chiesa armena sia in patria che altrove e purtroppo non sempre riescono nel loro intento.
Se è vero che i turchi ci hanno inflitto tutto il male possibile ora però tocca a noi, figli, nipoti e pronipoti, uscire allo scoperto, coprire con un velo trasparente i nostri morti, e finalmente stendere sui nostri tappeti la nostra mirabile mercanzia. E non parlo solo d’ archeologia, di costumi, di letteratura, di arte, di musica dei tempi passati, parlo dell’oggi, degli uomini d’oggi, di coloro che, in ogni campo, in ogni luogo, con amore e passione, aiutano il lento incedere del fragile carro della vita umana.
Alice Tachdjian
Vahe Vartanian
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