|
|
Zatik
consiglia: |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Iniziativa
Culturale: |
|
|
|
|
|
23 05 2008 - ELEZIONI PRESIDENZIALI CONTESTATE A EREVAN
|
Pericolosa instabilità in Armenia
da Le Monde Diplomatique aprile 2004
La sanguinosa repressione che, il 1° marzo, ha causato lutti a Erevan, dopo le manifestazioni che contestavano i risultati delle elezioni presidenziali, ha prodotto tensioni così forti nelle relazioni tra Armenia e Stati uniti che questi ultimi sembrerebbero voler «sospendere» parte degli aiuti economici. Al contrario, Vladimir Putin si è calorosamente congratulato con il nuovo presidente Serge Sarkissian e, il 24 marzo, lo ha ricevuto a Mosca per discutere il futuro delle relazioni tra i due paesi.
di JEAN GUEYRAS *
Secondo le autorità armene, negli scontri avvenuti nella notte del 1° marzo a Erevan sono stati uccisi sette civili e un ufficiale di polizia e ferite centotrentatre persone, di cui circa la metà sarebbero poliziotti. I manifestanti protestavano contro le «frodi» che hanno accompagnato le elezioni presidenziali. È difficile verificare le cifre in quanto la censura, entrata in vigore con la dichiarazione di stato d'emergenza, ha ridotto al silenzio la stampa (1). L'organizzazione umanitaria Human Rights Watch ha rivelato che la polizia ha usato armi mortali proibite dalla legge internazionale. Più di un centinaio di oppositori sono stati fermati e rischiano di essere giudicati per
«usurpazione di potere e incitazione alla rivolta». Sarà quindi in un paese martoriato dalla repressione e ridotto brutalmente al silenzio da venti giorni di stato di emergenza che, il 9 aprile, Serge Sarkissian viene dichiarato capo dello stato. Appena eletto (52,9% dei voti), la sua credibilità è risultata tanto compromessa, che la consacrazione alle elezioni presidenziali del 19 febbraio sembra piuttosto una vittoria di Pirro. Aram Abrahamian, direttore di Aravod, influente quotidiano di Erevan, ritiene che il nuovo capo dello stato sia stato in sostanza vittima dell'ambiguità del suo predecessore, amico e tuttavia rivale. Sostiene che «il ricorso alla violenza contro i manifestanti è
stato organizzato da [Robert] Kocharian e comprometterà gravemente la legittimità di Sarkissian». Tuttavia, i due sono molto legati. Sarkissian è originario dell'Alto Karabakh, la regione autonoma
dell'Azerbaigian a maggioranza armena che, nel 2000, ha conquistato con le armi la sua «indipendenza», completandola con l'occupazione di una parte del territorio dell'Azerbaigian.
Arrivato nel 1990 nella «madre patria», Sarkissian ha guidato i ministeri strategici dell'interno e della sicurezza nazionale, per passare, nel 2000, al ministero della difesa, prima di diventare, nell'aprile 2007, capo del governo.
Deve, in gran parte, questa valanga di promozioni al presidente della Repubblica, Robert Kocharian, anch'egli originario dell'Alto Karabakh, di cui condivide l'orientamento. I due sono stati, peraltro, i principali artefici dell'allontanamento, nel 1998, dell'uomo che pure aveva favorito il loro
inserimento nel gruppo dirigente di Erevan: il primo presidente della Repubblica Levon Ter-Petrossian. Quest'ultimo, infatti, fu costretto alle dimissioni per aver proposto una soluzione di compromesso sul problema dell'Alto Karabakh ritenuta troppo favorevole al nemico azero (2). In seguito, i due compari sono stati sospettati di essere coinvolti nel massacro avvenuto il 27 ottobre 1999. Quel giorno, cinque uomini armati di fucili automatici penetrarono nell'aula del Parlamento uccidendo otto persone, tra cui i due uomini forti dell'epoca: il primo ministro Vazken Sarkissian, considerato un eroe nazionale per il ruolo avuto nella guerra dell'Alto Karabakh, e il carismatico e popolare presidente del Parlamento, Karen Demirdjian (3).
È incontestabile che i principali beneficiari di questi crimini sono stati il presidente Kocharian - che era stato relegato ad un ruolo puramente onorifico dal primo ministro Vazken Sarkissian - e il suo amico Serge Sarkissian, allora ministro della sicurezza nazionale.
Secondo logica, quest'ultimo avrebbe dovuto essere sanzionato per negligenza o incompetenza. Non se ne fece nulla: anzi, fu promosso ministro della difesa.
Una rivoluzione di palazzo Il massacro del 27 ottobre non è stato opera di una banda di nazionalisti estremisti, come si è voluto far credere, ma il frutto di una rivoluzione di palazzo che ha riportato al potere un presidente fino ad allora ridotto ad inaugurare monumenti. Il procuratore generale Gagik
Jahangiryan (4), che ha cercato di allargare l'inchiesta ufficiale per scoprire se i cinque esecutori fossero stati mandati, è stato rapidamente rimosso dall'inchiesta. E Aram Sarkissian, nominato primo ministro in onore della memoria del fratello Vazken, è stato destituito senza alcun tipo di processo.
La strada era ormai completamente aperta al rafforzamento del regime di Kocharian, sostenuto dall'ambizioso Serge Sarkissian.
I primi segnali di dissapore tra i due alleati si sono visti circa due anni fa, quando si è posto il problema della successione del presidente Kocharian.
Secondo la Costituzione, quest'ultimo non poteva richiedere un terzo mandato.
Per questo, egli desiderava far eleggere un uomo a lui devoto, per poterne diventare l'onnipotente primo ministro - insomma, una soluzione simile a quella realizzata in Russia da Vladimir Putin.
Ma il progetto non piaceva a Sarkissian, da tempo desideroso di succedere al complice alla presidenza della Repubblica. Per spuntarla, i due rivali si erano dati come obiettivo di ottenere la maggioranza parlamentare alle elezioni legislative del maggio 2007. Il ministro della difesa Sarkissian, che sarebbe diventato capo del governo nel maggio 2007, ha lanciato un'Opa sul Partito
repubblicano: entrato come semplice membro, ne ha poi assunto la presidenza trasformandolo in un temibile strumento elettorale. Da parte sua, il presidente Kocharian puntava sul sostegno di L'Armenia prospera, un partito che aveva fatto fondare nel 2006 dal suo amico Gagik Tsarukian, un ricchissimo e grottesco oligarca, soprannominato «Dodi gago» (rospo stupido). Tsarukian, proprietario di un'immensa fortuna stimata in 500 milioni di dollari e di una quarantina di floride imprese commerciali, ritenendo che tutto si potesse comprare, confidava nella vittoria del suo pupillo.
Tuttavia, nonostante le prebende generosamente distribuite dall'oligarca, alle elezioni legislative del 12 maggio il Partito repubblicano, grazie al suo nuovo presidente e al libero accesso alle risorse amministrative del governo, riportava una schiacciante vittoria lasciando a grande distanza L'Armenia prospera. Di fatto, queste elezioni hanno funzionato da «primarie» per le presidenziali del febbraio 2008, non lasciando al capo dello stato altra scelta che quella di rassegnarsi, almeno in apparenza, al verdetto delle urne. Di conseguenza, i portavoce ufficiosi della presidenza e del governo si affrettavano a dichiarare che Sarkissian era il «candidato favorito» del presidente. La dirompente vittoria elettorale del Partito repubblicano, che occupa più della metà dei centotrentuno seggi del Parlamento, non si spiega unicamente con la frode, diventata ormai una costante delle consultazioni elettorali, ma anche con il fallimento politico di un'opposizione paralizzata dalle ambizioni personali dei suoi dirigenti, alcuni dei quali manipolati dagli agenti del primo ministro. Sembrava che niente potesse turbare la marcia accuratamente programmata di Sarkissian verso il vertice dello stato.
L'inattesa dichiarazione con la quale, nel settembre 2007, il primo presidente, Levon Ter-Petrossian, ha annunciato la sua candidatura, ha colto alla sprovvista i dirigenti del paese che ne avevano praticamente dimenticato l'esistenza. Durante un'assenza dalla scena pubblica durata quasi dieci anni, egli si era accuratamente astenuto da qualsiasi attività politica, consacrandosi interamente ai suoi lavori universitari.
Sollecitato a più riprese da amici e collaboratori, aveva sempre dichiarato che avrebbe preso una decisione a tempo debito, dopo aver esaminato attentamente tutti gli aspetti della congiuntura. È stato a conclusione di un giro di diverse settimane attraverso tutto il paese, che ha affermato di aver valutato con precisione l'estrema impopolarità dell'attuale regime e il favore popolare a sostegno del suo rientro sulla scena politica. Di conseguenza, ha deciso di lanciarsi nella battaglia delle presidenziali contro coloro che ormai definisce «banda criminale al potere» e «regime mafioso».
Boicottato dall'insieme dei media, totalmente controllati dal potere, ha moltiplicato le riunioni pubbliche per criticare il regime ed esporre le proprie idee. Per lui, il crimine più grave commesso dalla compagine al governo è non aver fatto niente, negli ultimi dieci anni, per risolvere il problema
dell'Alto-Karabakh, una risoluzione indispensabile per permettere all'Armenia di svilupparsi normalmente.
Ricordando le sue proposte di dieci anni prima sulla necessità di una soluzione di compromesso, proprio quelle che avevano provocato il suo allontanamento, dichiara che oggi una soluzione di quel tipo è più difficile, se non impossibile, «in quanto l'Azerbaigian è sempre meno disposto a fare concessioni, a causa delle riserve petrolifere attualmente in pieno sviluppo».
Dal momento che la stampa governativa, accusandolo di aver adottato un orientamento pro turco, lo ha ribattezzato «Levon effendi», Ter-Petrossian ha preso posizione sul problema, il più delicato in assoluto, del genocidio armeno perpetrato nel 1915 sotto l'impero ottomano. «Al contrario di Robert Kocharian - ha sostenuto - penso che non sia opportuno fare di questo problema la pietra angolare della politica estera armena.» E ha aggiunto che «presto o tardi la Turchia riconoscerà il genocidio armeno, ma ciò sarà possibile solo in un clima di relazioni normali e di buon vicinato». Ma si è spinto anche più in là, arrivando a dichiarare che l'Armenia non potrà mai diventare una nazione
moderna finché gli armeni non si sbarazzeranno di quegli antichi complessi che li fanno sentire eternamente vittime. L'«inesorabile saccheggio» delle risorse I suoi interventi pubblici, diffusi attraverso migliaia di Dvd distribuiti in tutto il paese e centinaia di video trasmessi da YouTube, nel tempo sono diventati una vera e propria dichiarazione di guerra contro il tandem Kocharian-Sarkissian. Ricordando il massacro del 27 ottobre 1998, ha affermato che «la piramide monolitica del corrotto e criminale regime armeno, non si sarebbe data senza la tragica scomparsa di Karen Demirdjian e Vazken Sarkissian» e che uno dei principali compiti del nuovo presidente sarà quello
ricercare i mandanti della tragedia.
Ter-Petrossian, che proclama ad alta voce ciò che il popolo mormora sottovoce, denuncia con veemenza soprattutto «la corruzione che inquina la società a tutti i livelli», «l'inesorabile saccheggio» delle ricchezze del paese da parte dei dirigenti al potere e l'ingordigia degli oligarchi che si sono divisi i settori più redditizi dell'economia. Con la sola forza delle sue parole, l'ex presidente è riuscito a creare, in pochi mesi, una corrente di opposizione popolare, in particolare tra i giovani. Come hanno dimostrato le massicce manifestazioni di protesta pacifiche contro il risultato dell'elezione presidenziale che hanno preceduto la sanguinosa repressione del 1° marzo. L'onnipotente procuratore generale Aghvan Hovsepian ha peraltro reso un involontario omaggio al carisma di Ter-Petrossian accusandolo di aver «ipnotizzato», nel senso letterale del termine, le folle e arrivando perfino a minacciarlo di un processo per stregoneria...
A fronte della crescente contestazione popolare, per il potere diventava imperativo riportare la vittoria al primo turno delle elezioni presidenziali, per evitare i rischi di un secondo turno (5). Tutto, dunque, è stato messo in opera per moltiplicare frodi e intimidazioni. Contro ogni aspettativa, gli
osservatori dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) non hanno potuto, o voluto, constatare l'estensione delle irregolarità e hanno ritenuto che le «poche violazioni» osservate non potevano in alcun caso modificare il risultato della consultazione. Una formula ambigua, utilizzata costantemente dall'Osce dopo ogni elezione negli ultimi dieci anni; curiosamente, questo non le impedisce di ribadire che non bisogna far nulla che possa scoraggiare i pochi progressi realizzati dall'Armenia sulla via della democrazia elettorale.
Con il suo nuovo presidente mal eletto, l'Armenia rischia di andare incontro a un periodo di rivolte e instabilità. La «società civile che ormai ignora la paura», che Ter-Petrossian si vanta di aver creato nel paese, non si arrenderà facilmente. Resta da sapere se Sarkissian avrà l'abilità e la saggezza di
aprire un dialogo fruttuoso con la nuova e agguerrita opposizione.
note:
* Giornalista.
(1) Lo stato d'emergenza, tolto il 20 marzo, è però stato sostituito da una
legge che in pratica vieta riunioni e manifestazioni popolari.
(2) Si legga di Jean Gueyras «Armenia, storia di un "golpe" inutile», Le Monde
diplomatique/il manifesto, dicembre 1998.
(3) Si legga di Jean Gueyras «Impossible troc entre Arménie et Azerbaïdjan», Le
Monde diplomatique, marzo 2001.
(4) Retrocesso, nel 2001, a vice-procuratore generale, Gagik Jahangirian, esautorato dalle sue funzioni per aver messo in dubbio l'onestà dello scrutinio del 19 febbraio, poco dopo è stato arrestato per «porto d'armi non autorizzato». Anche altri funzionari del governo, tra cui un vice ministro degli affari esteri e quattro diplomatici di alto livello, sono stati sollevati dalle loro funzioni per aver sostenuto Ter-Petrossian.
(5) La Commissione elettorale ha dichiarato vincitore Sarkissian con il 52,9% dei suffragi, seguito, in seconda posizione, da Ter-Petrossian con il 21,5%.
V.V.
|
|
|
|
|