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09 06 2008 - L'autrice che con il romanzo "La masseria delle allodole" ha portato alla ribalta l'eccidio di un popolo
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L'autrice che con il romanzo "La masseria delle allodole" ha portato alla ribalta l'eccidio di un popolo, parla del suo passato bellunese Antonia Arslan: tre patrie e una missione «Qui ho trascorso le estati della mia adolescenza, ma a Padova ho la famiglia e in Armenia le mie radici» Antonia Arslan, la signora dalle tre patrie. Quella delle radici, l'Armenia.
Quella della famiglia, Padova. E quella dell'anima, Belluno.
«Non solo Belluno, ma tutta la Valbelluna, e Sospirolo in particolare, ho nel cuore come mia patria», precisa l'ex docente universitaria e autrice del libro "La masseria delle allodole" che è ormai un best-seller mondiale.
La scrittrice è appena tornata dagli Stati Uniti dove in una lunga tournée ha presentato il romanzo, edito in formato tascabile, che narra le vicende del genocidio del popolo armeno. A New York, Chicago, San Francisco, è stata accolta con calore; alla Capitol Hill (il Campidoglio) di Washington ha ricevuto gli applausi dopo la proiezione della fiction che i fratelli Taviani hanno tratto dalla sua opera; a Los Angeles, infine, ha avuto la Soddisfazione di essere finalista del "Los Angeles Time book prizes".
E proprio nei due mesi trascorsi oltreoceano Antonia Arslan ha trovato il tempo per scrivere il seguito del racconto che mostra la strategia di >distruzione dell'etnia armena da parte dei turchi nel 1915: «Ho accompagnato tutti i personaggi nella città di Smirne al tempo del grande incendio».
Questo il filo conduttore della trama, nel volume che sarà dato alle stampe
all'inizio del 2009.
Dall'America alla Valbellluna. Con i ricordi di ragazza che escono facili nel ripercorrere un legame con la nostra terra, che è forte. E non solo dal saporare antico. Perchè anche nel presente l'estate per Antonia Arslan è legata al Bellunese. A Campel Alto, fra San Gregorio e Cesiomaggiore, da anni ha rimesso a posto una vecchia casetta dove trascorre una decina di giorni ad agosto.
Rimane il paesaggio e la gente di Sospirolo, peraltro, ad essere mattone nell'edificio della memoria.
«Il nonno, Carlo Marchioni, negli anni Trenta aveva comperato insieme al cognato una casetta a Susin. Vi si accedeva salendo dritti dalla chiesa che ha la fontana ottagonale davanti. Per la prima volta mi portarono lì che avevo tre mesi». Seguirono lunghi periodi di soggiorno, con le vicende storiche che remarono in tal senso. Il nonno, che era ingegnere, sognatore e progettista di un aereo che lui stesso costruì nel 1918, abitava a Roma. Veniva però a Susin ogni estate e durante la Seconda guerra mondiale rimase bloccato in terra bellunese dalla linea gotica: «Trascorsi lunghi periodi a casa sua. Ricordo che c'era l'albergo "Alpino", bellissimo nel suo stile liberty. Lì si andava per la merenda perchè facevano dolcetti meravigliosi».
Scorrono le cartoline amarcord della fanciullezza. C'è la macelleria e l'emporio «dove si trovava ogni cosa». Poi negli occhi le rose «che, quasi gareggaidno l'una con l'altra, le donne curavano fuori da ogni casa».
E l'enorme albero che portava al cortile della famiglia Pison: «La signora Giulia era materassaia e il marito faceva seggiole. Molto belle, ne ho ancora alcune in casa. Lina, la loro figlia che ora vive a Santa Giustina, era la mia migliore amica, a quel tempo. Giocavamo con pupazzi fatti di stoffa e ci arrampicavamo sugli alberi».
I ragazzi del paese e il gruppo dei cugini Marchioni e Arslan
organizzavano nche escursioni nei dintorni: «Sul Pizzocco, ai Piani Eterni, a Gena Alta O sul Mis, quando ancora non c'era il lago. Ci piaceva la cascata della Soffia, con le balaustre di legno dei primi del Novecento».
A proposito di lago: la mamma di Antonia portava ragazze e ragazzi a fare il bagno a Vedana. Donna strordinariamente sportiva, faceva parte della squadra olimpionica di equitazione e aveva il brevetto di volo a vela. «Era pure una forte nuotatrice. Cosicchè nonostante ci riempissero la testa sul fatto che il lago di Vedana era pericoloso, lei ci accompagnava spesso a fare quattro bracciate».
A volte da Susin di Sospirolo si veniva in città.
Belluno era per noi bambini un mito. Ci portavano quando eravamo bravi come fosse un premio, magari per andare in uno dei due cinema a vedere un western.
Visitavamo poi il Duomo con il campanile dello Juvarra. Andavamo al Museo civico, passeggiavamo in via Mezzaterra scendendo da porta Dojona. La sosta era, infine, abitualmente al Caffè Deon, per mangiare le paste. Ordinavo sempre, come un rito, i cannoncini e i baci. Poi si passava un momento dentro alla chiesa di San Rocco». Ma c'è un'immagine speciale della città -cara ai pure ai bellunesi- che nei ricordi di Antonia Arslan non è mai sbiadita:
ad affascinare la bambina di origini armene che sarebbe divenuta la grande scrittrice di oggi era più di tutto la data che in piazza dei Martiri «veniva scritta con i fiori e le piante che i giardinieri cambiavano ogni mattina».
Daniela De Donà
V.V
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