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Cinema Tedesco Contemporaneo
Pesaro 44 - Aus der ferne -
Cinema Tedesco Contemporaneo
martedì 24 giugno 2008 di Alessandro Izzi (Aus der ferne); Regia, sceneggiatura e fotografia: Thomas Arslan; montaggio:
Bettina Blickwede; musica: Martin Steyer; produzione: Pickpocket Productions, ZDF, 3sat; Peripher Filmverleih; origine: Germania, 2006; durata: 89’

Aus der ferne (traduzione letterale: Da lontano) è sintomatico, sin dal titolo, di un concreto atteggiamento del regista, Thomas Arslan, nei confronti del narrato.
Da lontano viene, infatti, la spinta che muove l’autore obbligandolo a mettersi in viaggio per realizzare un documentario.
Tutto nasce dal desiderio di seguire le orme paterne, di ripercorrere, in senso inverso, le tappe salienti di quel viaggio che il genitore, di origini turche, aveva intrapreso per raggiungere la tanto sognata Germania.
Un viaggio difficile, alla riscoperta delle proprie radici all’interno di un territorio, come quello turco, che reca ancora bene impresse le cicatrici, non
ancora rimarginatesi, di tutta una serie di guerre e di tragedie. Non ultima quella che era culminata con l’olocausto del popolo armeno: un’intera cultura
ricacciata oltre i confini turchi di cui restano solo le mute vestigia di palazzi, chiese e cimiteri in rovina.

L’atteggiamento di Arslan non è (banalmente) quello del tuista in cerca di scorci paesistici o monumenti da visitare, ma è quello dell’artista che presta
i propri occhi ad un viaggiatore partecipe ed intento a cogliere ogni possibile sfumatura. Più che i palazzi e le strade, al regista interessano le persone, i
volti, le tante piccole storie (come quella del bambino che lavora su un autobus: forse la più bella) che non possono essere narrate, ma che vengono, in qualche modo, registrate dall’occhio fenomenologico della macchina da presa.
Perchè questi piccoli racconti, in fondo, vivono nei colori delle cose, respirano nell’aria che il regista stesso sta respirando.

Arslan realizza, su questa base, un documentario che è wendersiano nello spirito (la passione per il viaggio, la voglia di scoprire un mondo nuovo, il movimento inesausto come condizione necessaria e motore primo di ogni narrazione), ma porfettamente calato nel solco delle sperimentazioni e dell’atteggiamento ntinarrativo della Nuova Scuola di Berlino. Per questo la voice over si limita ad interventi molto parchi, sostenuti da un senso autobiografico estremamente discreto e pudico (laddove in Wenders la voce tende a dilatarsi sino a riempire quasi tutto lo spazio sonoro) e le immagini vengono restituite allo spettatore senza mediazione ed in maniera apparentemente casuale (ma basta uno sguardo appena un poco più attento per rendersi conto di
come il montaggio sappia farsi autentico apportatore di senso).

Se le dinamiche del viaggio personale seguono una precisa concantenazione geografica e, quindi, si muovono in senso cronologico (si parte dalla Turchia
più occidentale per arrivare sino alle pendici del monte Ararat), è, invece, il contenuto delle singole sequenze a proporsi come una sorta di viaggio a ritroso
nella storia della nazione (dalla visione di un mondo che sempre più si avvia verso la globalizzazione sino ai tempi biblici della montagna sacra per tre
diverse religioni, passando appunto per la tragedia armena).

Sicché il film ci presenta un doppio viaggio nel tempo e nella storia personale, obbligandoci a superare la dimensione occasionale del racconto privato (peraltro sempre e solo alluso) per riflettere sui cambiamenti sociali e culturali in atto nel mondo.

Aus der ferne è estremamente consapevole ell’operazione linguistica che sta mettendo in atto. Del resto l’intera pellicola è aperta da una dichiarazione di
intenti su cui varrebbe la pena soffermarsi un poco.
All’inizio del documentario, infatti, il regista, che ha già iniziato una peregrinazione apparentemente svagata e decentrata sul mondo turco, si
"abbandona" al pedinamento di una scolaresca in visita ad un museo di Arte Moderna con tanto di maestra che cerca di spiegare ai bambini i vari trucchi utilizzati nei quadri per restituire (guarda caso) il senso del movimento.
Immediatamente dopo, uno stacco di montaggio ci conduce direttamente in uno studio cinematografico dove un regista ed un montatore stanno ultimando il
missaggio sonoro di un film.
Immagini e suoni sono i protagonisti di questo incipit dalle chiare intenzioni metalinguistiche. E’ come se, con questa scelta dichiarativa nella quale si pone l’accento su come immagini e suoni non possano mai essere del tutto vergini, ma sempre obbligati a farsi parte costituente di un processo comunicativo, il regista volesse rimarcare l’estrema consapevolezza del suo arco narrativo che resta, per lo più, nascosto e segreto.

Aus der ferne è così un documentario più difficile di quanto non dia a vedere.
Abbastanza piano e privo di virtuosismo da prestarsi a facili sottostime eppure vitale come ogni confessione che dal personale sa come allargarsi all’universale.




V.V

 
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