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21 08 2008 - SALVIAMO REGINALD BLANTON, CONDANNATO IN TEXAS SENZA PROVE E IN BASE A PREGIUDIZI RAZZIALI
COMUNICATO STAMPA -21 agosto2008
www.everyonegroup.com
PENA DI MORTE/GRUPPO EVERYONE: SALVIAMO REGINALD BLANTON, CONDANNATO IN TEXAS SENZA PROVE E IN BASE A PREGIUDIZI RAZZIALI
IL 25 AGOSTO LA CORTE D'APPELLO DEGLI STATI UNITI ASCOLTERA' GLI AVVOCATI E DECIDERA' IN POCHI GIORNI SE RIAPRIRE IL CASO O CONFERMARE L'ESECUZIONE CON INIEZIONE LETALE<BR>
REGINALD BLANTON, AFROAMERICANO, 27 ANNI, NEL BRACCIO DELLA MORTE DA SETTE ANNI IN UNA PRIGIONE DEL TEXAS PER OMICIDIO. DAL MOMENTO DELL'ARRESTO LOTTA PER DIMOSTRARE LA PROPRIA INNOCENZA E PER L'ABOLIZIONE DELLA PENA CAPITALE. GLI ATTIVISTI DI EVERYONE SI APPELLANO ALL'ONU, AL CANDIDATO ALLA PRESIDENZA USA BARACK OBAMA, AI RADICALI E ALLE ISTITUZIONI DEMOCRATICHE: "SALVIAMO LA SUA VITA, INTERROMPIAMO GLI ABUSI SUI DETENUTI E ABOLIAMO LA PENA CAPITALE A PARTIRE DAGLI STATI UNITI D'AMERICA"


Reginal Blanton, 27 anni, afroamericano originario della California, ma sin da piccolo residente in Texas, da 8 anni è in carcere con l'accusa di aver ucciso il 13 aprile del 2000, all'età di 18 anni, Carlos Garza, un amico intimo. Si trova attualmente nel braccio della morte della prigione di Polunsky, a Livingston, nel Texas, dalla quale, da 7 anni, cerca di dimostrare non solo la sua innocenza, ma soprattutto il grado di disumanità cui sono sottoposti i condannati a morte e il grado di approssimazione usato nei processi per reati per i quali è prevista la pena capitale, specie nei confronti di imputati di colore come lui.

Il Gruppo EveryOne, in contatto costante con la madre di Reginald, Anna Terrell, ha acquisito articoli, testimonianze e dichiarazioni concernenti il caso e ha deciso di promuovere una campagna internazionale per la vita di Reginald Blanton. "Siamo convinti che le indagini e il processo che hanno portato alla condanna a morte di Reginald rivelano numerosi abusi, vizi di forma e di procedura" affermano i leader del Gruppo EveryOne Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau e l'attivista Elisabetta Vivaldi. "Reginald è afroamericano, proviene dalla strada e ha fatto parte di bande. Appartiene al mondo che le Istituzioni degli Stati Uniti e in particolare del Texas combattono con una severità che spesso diviene pregiudizio. Abbiamo il sospetto" proseguono gli attivisti "che alla base del verdetto vi siano elementi di discriminazione razziale, e lo dimostra il fatto che Reginald Blanton non è stato giudicato – come dovrebbe essere secondo i suoi diritti costituzionali – da una giuria di suoi pari, poiché il pubblico ministero dispose che i giurati fossero tutti bianchi. Non a caso, la Corte d'appello della quinta circoscrizione degli Strati Uniti ha ravvisato tale violazione delle sue garanzie di equità nel giudizio".
Blanton – parte della cui storia è pubblicata on line su www.everyonegroup.com – viene da un'infanzia di povertà ed emarginazione: a 16 anni abbandonò casa per fare parte di una banda. Ebbe problemi con la legge per spaccio di stupefacenti e gli fu diagnosticata una Sindrome da mancata attenzione; fu inserito a cura della Texas Youth Commission in un programma di "risocializzazione" che durò due anni, ma allo scadere del diciottesimo anno di età, proprio mentre stava iniziando una nuova vita, venne arrestato con l'accusa dell'omicidio dell'amico Carlos Garza, colpito nel suo appartamento con due colpi di pistola in fronte e deceduto poche ore dopo all'ospedale.

"Reginald Blanton è stato condannato in base a testimonianze estorte dagli Inquirenti con pesanti minacce al fratello Robert – anche lui gravitante nelle bande cittadine – e alla fidanzata di quest'ultimo. Nonostante le ritrattazioni delle loro accuse davanti alla Corte," spiegano gli attivisti di EveryOne "il clima di intolleranza e pregiudizio ha inspiegabilmente portato a un verdetto di colpevolezza. Questo, oltretutto, nonostante non ci fossero testimoni, al momento del delitto, in grado di riconoscere il colpevole; nonostante non sia mai stata trovata l'arma del delitto né un'impronta digitale appartenente a Reginald o traccia del suo DNA nell'appartamento della vittima. Inoltre" continuano gli attivisti del Gruppo EvryOne "esiste una prova schiacciante in grado di discolpare l'imputato: l'impronta della scarpa con cui l'assassino ha sfondato la porta dell'appartamento della vittima: impronta di una calzatura di 12 pollici, mentre Reginald Blanton indossa scarpe di 9 pollici. Blanton ha chiesto più volte che le sue scarpe, indossate il giorno del delitto, venissero sottoposte ai giurati durante il processo, per far sì che si constatasse questo particolare, ma la sua domanda, come molte altre, non ha mai trovato accoglimento".

Dopo nove richieste di appello, finalmente i suoi legali Scott Sullivan e John Carroll potranno comparire, lunedì 25 agosto, alle 9,30, davanti alla Corte d'Appello della 5a Circoscrizione degli USA. In quell'occasione i giudici potrebbero riaprire il processo in virtù del fatto che Reginald fu giudicato da una giuria composta esclusivamente da bianchi e forse condannato in base a pregiudizi razziali, ma potrebbero anche stabilire la data dell'imminente esecuzione.

"Siamo in grado di dimostrare un'incredibile sequenza di errori e violazioni dei diritti umani, nel caso di Reginald Blanton," proseguono i membri del Gruppo EveryOne "e siamo persuasi che il sistema giudiziario degli Stati americani in cui vige la pena capitale incorra troppo spesso in approssimazioni, abusi e vizi di procedura e decida per la vita o la morte di un essere umano con un margine di errore inevitabilmente altissimo e spesso proprio legato alle condizioni sociali e personali, ai precedenti, alla razza dell'imputato, in spregio all'articolo 11 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Ci chiediamo quanti innocenti debbano ancora essere assassinati dal boia, prima che sia abolita la pena di morte e torni ad affermarsi la civiltà della vita".

Il Gruppo EveryOne si appella all'Alto Commissario per i Diritti Umani dell'ONU Navanethem Pillay, al candidato democratico alla Presidenza degli Stati Uniti d'America Barack Obama ma anche ai dirigenti del Partito Radicale italiano e transnazionale, in prima fila per la moratoria universale contro la pena di morte, e a tutte le Istituzioni democratiche: "Considerata l'impossibilità, da parte del sistema poliziesco e giuridico, di accertare la colpevolezza di un imputato al di là di ogni dubbio e considerato il pregiudizio che inevitabilmente può cogliere chi giudica, nonché il fatto che ogni uomo colpevole di un crimine ha diritto a essere riabilitato, riteniamo un retaggio medievale la pena di morte. E' importante sostenere le istanze di giustizia nei confronti di Reginald Blanton e di altri condannati" conclude il Gruppo EveryOne "perché siamo convinti che siano state eseguite sentenze capitali relative a molti innocenti. Il potere spesso vuole dare un esempio di rigore, finalizzato a combattere il crimine. Quando la vendetta istituzionale, tuttavia, colpisce una vittima innocente, ne fa un martire, e in quel momento democrazia, civiltà e umanità si trasformano in crudeltà, iniquità e barbarie".

Su www.everyonegroup.com sono disponibili tutte le informazioni per sostenere la campagna per la vita di Reginald Blanton e chiedere l'abolizione della pena di morte, a partire dagli Stati Uniti d'America. Si può inoltre sottoscrivere una petizione all'indirizzo www.petitiononline.com/reggie.

Per ulteriori informazioni:
Gruppo EveryOne
Tel: (+ 39) 334-8429527 – (+ 39) 331-3585406
www.everyonegroup.com :: info@everyonegroup.com

V.V

 
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