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050506 - 90 anni fa...: Di Claudio Cadei
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NEA – 15-4-2005
di CLAUDIO CADEI
Novant’anni fa, il 24 aprile del 1915, le prime deportazioni e violenze a Costantinopoli diedero il via al genocidio degli armeni : in questa data si celebra da qualche tempo la Giornata della Memoria, tardivo risarcimento dell’oblio calato su uno dei più efferati massacri della storia moderna e tuttora negato dalla Turchia
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L’ORRORE INIZIO’ IN UNA TIEPIDA NOTTE DI PRIMAVERA
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“Chi si ricorda più degli armeni ?”, disse una volta Adolf Hitler per rintuzzare i dubbi che qualcuno dei suoi seguaci gli aveva prospettato a proposito dello sterminio ebraico. In queste secche parole c'è la sintesi della tragedia dimenticata che nel Novecento ha colpito uno dei popoli più antichi e gloriosi dell'Asia Minore : il genocidio degli armeni. Un massacro che rappresentò la prima eliminazione sistematica di un'etnia nella storia moderna, con l'aggravante di una frettolosa rimozione dalla memoria della comunità internazionale, per cui per lungo tempo su di esso è calato il silenzio. Solo in tempi recenti si è cominciato a parlarne e a riconoscerlo ufficialmente. A voce bassa, però, per non provocare attriti e tensioni col governo di Ankara, che tuttora si ostina pervicacemente a negarne l'esistenza.
Un atteggiamento ignobile, che costituisce un ulteriore sfregio a centinaia di migliaia di vittime innocenti. L'orgoglio e il nazionalismo rendono miope e insensibile la classe dirigente della Turchia, un Paese che ora bussa alle porte dell'Europa con le mani ancora macchiate di sangue e con uno spettro sulla testa che chiede solo una cosa : giustizia.
Tutto ebbe inizio alla fine del XIX secolo, quando l'Impero Ottomano era entrato nell'ultima parte della sua parabola. Le autorità turche, alla ricerca di un capro espiatorio cui imputare i continui fallimenti della propria politica, diedero il via a una feroce persecuzione del popolo armeno che manifestava aperti desideri di indipendenza. Il sultano Abdul Hamid II, spietato dittatore al potere a Costantinopoli, vedeva nelle minoranze etniche e religiose interne un pericoloso focolaio d'infezione che avrebbe potuto dare un'ulteriore spinta al processo di disfacimento dello Stato ottomano. E lo vedeva soprattutto nell'attivismo rivoluzionario indipendentista armeno, sospettato inoltre di avere stretto alleanza con i russi, i nemici per antonomasia dei turchi. Pertanto passò all'azione, adottando provvedimenti repressivi che altro non erano che uno sterminio legalizzato. Tra il 1895 e la fine del secolo circa 200.000 (secondo alcune fonti, 300.000) persone inermi furono assassinate dai suoi scherani. Le loro affilate lame non si fermarono nemmeno dinanzi a religiosi, malati, donne, vecchi e i bambini. Le città ottomane furono testimoni di una strage continua.
Dopo questa prima sanguinosissima esplosione, la persecuzione si affievolì. Ma non cessò del tutto : qua e là continuarono piccoli pogrom locali. Poi tutt’a un tratto le cose parvero prendere una nuova, insperata piega. Sul turbolento scenario politico anatolico era venuto alla ribalta un nuovo partito : i Giovani Turchi. I suoi ranghi erano formati in prevalenza da studenti e giovani ufficiali, assertori di una linea modernizzatrice e filo-occidentale della Turchia : intrisi fino al midollo di sentimento nazionalista, si proclamavano tuttavia pronti a garantire alle minoranze etniche e religiose dell'Impero gli stessi diritti dei turchi.
Nei primi anni del XX secolo essi intrapresero una decisa ascesa politica. Dapprima costrinsero Hamid II a ripristinare la Costituzione da lui soppressa nel 1878. Poi, capeggiati da Taalat Pascià, deposero dal trono l'anziano sultano, sostituendolo col fratello Mehemet V. Ma nel 1913 si sbarazzarono anche dell'accondiscendente Mehmet V, insediando al governo una triarchia formata da Enver Pascià, Taalat Pascià e Ahmed Jemal. Nel frattempo il loro partito aveva mutato completamente i propri ideali, passando da un nazionalismo tollerante delle diversità a un nazionalismo fondato su un'unica etnia, che predicava l'odio razziale. Così, mentre il mondo si avviava verso la carneficina della Grande Guerra, per gli armeni si preparava l’apocalisse.
Fu proprio lo scoppio delle ostilità a offrire ai turchi il pretesto e la copertura per mettere in pratica i loro piani di annientamento. Con la scusa di trasferire la popolazione armena nelle più sicure e remote regioni orientali del Paese, e con la certezza che l'attenzione del pianeta era totalmente assorbita dagli eventi bellici, nell'aprile del 1915 diedero il via a massicce deportazioni. Nella notte del 24 aprile a Costantinopoli si scatenò una feroce retata che travolse l'intera comunità armena di quella città, una delle più prospere e raffinate dell'intero Impero : ed è questa la data in cui da non molti anni si onora la memoria di quelle vittime. A partire, però, furono soltanto le donne, i vecchi e i bambini. Per gli uomini era stato disposto un trattamento differente : venivano convocati con la fittizia motivazione della formazione di battaglioni combattenti ; ma poi, anziché essere mandati al fronte, erano condotti fuori degli abitati e abbattuti a colpi di moschetto o di spada, spesso dopo aver subito ogni genere di violenze nelle caserme. Operai, intellettuali, commercianti, sacerdoti, tutti furono indistintamente trucidati.
Ma forse ancora peggiore fu la sorte che toccò ai più deboli, a coloro che vennero deportati e costretti a lunghe e strazianti marce. Sottoposti a continue angherie, senza nulla di che sfamarsi né di che dissetarsi, quelle migliaia di sventurati perirono in massa lungo il cammino. I sopravvissuti furono poi abbandonati nel deserto verso la Siria o la Mesopotamia, e lasciati morire di stenti e malattie nei “campi di raccolta”. Alcune colonne furono invece condotte verso i monti a Nord-Est, dove i poveretti venivano bruciati vivi nelle caverne o affogati in massa negli impetuosi torrenti che scendono dal Caucaso.
In questa carneficina ci furono anche alcuni eroici episodi di resistenza armena. In modo particolare è ricordata la vicenda del Mussa Dagh, il Monte di Mosè, presso Antiochia. Qui per quaranta giorni 4.000 armeni tennero tenacemente testa agli Ottomani, e quando ormai stavano per capitolare furono salvati dal provvidenziale arrivo di un reparto navale francese, sbarcato nel vicino golfo di Alessandretta. Ma fu un caso unico. I pochi altri che si salvarono furono gli armeni di Smirne e quelli che abitavano vicino al confine russo, alcune centinaia di ragazze vendute ai bordelli degli arabi e circa 100.000 orfani adottati da famiglie turche e convertiti all'Islam. Per tutti gli altri, la stragrande maggioranza, non ci fu scampo. Alla fine 1.500.000 innocenti erano stati cancellati dalla faccia della Terra. Quanto ai loro beni, il governo turco se ne appropriò senza riguardi.
Quando la guerra finì, la Turchia, più che altro per compiacere le nazioni vincitrici, imbastì un processo per giudicare i colpevoli dello sterminio. Fu solo una farsa, che si concluse senza nessuna condanna, per cui i responsabili di quell’orrore rimasero impuniti. Negli anni Ottanta ONU e Parlamento Europeo hanno finalmente riconosciuto il genocidio armeno, e come loro molti Stati. Tuttavia Ankara continua imperterrita nel suo atteggiamento di totale chiusura.
Claudio CADEI
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A cura di “ La Nuova Agenzia giornalistica NEA”
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