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27 01 2009 - L'infamia delle memorie negate
da LA STAMPA del 27.1.09

Il "giorno della memoria" della Shoah sia un momento di riflessione contro il tentativo di cancellare la storia, e contro ogni negazionismo.

Il 27 gennaio di quest’anno, data in cui si ricorda il genocidio ebraico, si svolge all’insegna della fiammata di polemiche legate al ritiro della scomunica, da parte del Vaticano, di quattro vescovi lefebvriani, fra cui Williamson, un “negazionista”.
Il negazionismo è “un’infamia” ha dichiarato giustamente il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche. Ma se il negazionismo nei confronti della Shoah è appannaggio, almeno in Occidente, di frange marginali o di personaggi squalificati, altre vittime di un altro genocidio devono soffrire di negazionismi ben più potenti e appoggiati.

Parliamo del genocidio armeno; per cui esattamente due anni fa, il 19 gennaio del 2007, fu ucciso il giornalista armeno Hrant Dink. In questi giorni, come ricorda Asia News, “migliaia di turchi firmano una petizione per il riconoscimento del genocidio degli armeni . 'Il mio cuore non accetta che la gente sia insensibile alla grande tragedia che gli armeni ottomani hanno vissuto nel 1915. Respingo questa ingiustizia e condividendo il loro dolore e sentimento, chiedo scusa ai miei fratelli armeni'. Questa la quanto mai coraggiosa petizione online, lanciata da trecento intellettuali turchi (giornalisti, scrittori e docenti universitari) per chiedere il riconoscimento ufficiale del genocidio degli armeni durante la Prima guerra mondiale. Da un mese sta circolando su Internet e ha già raccolto più di 27650 firme di cittadini turchi. Forse non sarà una petizione a cambiare l’intransigenza da sempre mostrata dai governi turchi nei confronti del genocidio degli armeni, ma sicuramente è un segnale che qualcosa sta cambiando nell’opinione pubblica della nazione. Questo è certo uno dei frutti più significativi del sangue versato due anni fa da Hrant Dink: giornalista armeno turco assassinato per strada con tre colpi di pistola nel centro di Istanbul. Condannato a sei mesi per “insulto all’identità turca”, in base all’articolo 301 della Costituzione per aver osato parlare, da armeno, di genocidio, nelle pagine del suo settimanale Agos e nelle interviste che rilasciava all’estero, diventò “il nemico dei turchi” e fu in fondo condannato a morte proprio da quella giustizia di Stato che avrebbe dovuto difendere un suo cittadino e il suo diritto di
parola.
Era il 19 gennaio 2007 quando venne ucciso da un giovane ultranazionalista. E a due anni di distanza, appare sempre più chiaro che nella vicenda del fondatore e direttore di Agos, per la quale è in corso un processo sempre più lontano dalla conclusione ci sono tutti i mali della Turchia:
il nazionalismo anti-armeno e anti-cristiano, i limiti alla libertà di espressione, lo strapotere delle forze dell'ordine e di alcuni politici, le difficoltà del Paese a fare i conti con il passato… Quasi un secolo dopo, il genocidio degli armeni resta ancora difficile da affrontare in Turchia. E così, benché il presidente turco Abdullah Gul, si sia schierato nei giorni scorsi a sostegno della campagna lanciata su Internet e abbia affermato che tutti hanno il diritto di esprimere liberamente la propria opinione, contro di essa si sono levate le proteste di ex ambasciatori e diplomatici che l´hanno definita sbagliata e contro gli interessi nazionali. Lo stesso primo ministro Recep Tayyip Erdogan, dopo le reazioni rabbiose da parte dei circoli nazionalistici, ha preso le distanze da questo appello degli intellettuali che presentano le loro scuse alle vittime: 'Respingo questa campagna - ha ffermato - e non la sostengo. Non ho commesso alcun crimine, di che dovrei scusarmi?'. Così, dieci giorni fa, ei magistrati turchi hanno presentato una petizione chiedendo che vengano puniti gli organizzatori della campagna. Come se non bastasse Arat Dink, figlio del giornalista armeno, è ora sotto processo, con la richiesta di una condanna a sei mesi, ai sensi del famigerato art. 301, con l’accusa di “insulto all’identità turca”. Motivo dell’imputazione, la pubblicazione su Agos (di cui è diventato editore dopo l’assassinio del padre) di un’intervista rilasciata da Hrant nel luglio 2006 all’agenzia Reuters e nella quale si faceva espresso riferimento al genocidio del popolo armeno”. Fino a qui la citazione da Asia News. La questione del riconoscimento del genocidio armeno tocca anche i rapporti con l’ebraismo. Scriveva Giorgio Bernardelli su Terrasanta.net un anno fa: "la questione è riesplosa in questi giorni in maniera caldissima nella comunità ebraica di New York, come racconta

un articolo pubblicato da Shmuel Rosner su Haaretz. Alcune comunità armene americane hanno infatti minacciato di ritirare il proprio appoggio alla campagna No Place for Hate («Non c'è spazio er l'odio») promossa dall'Anti Defamation League, l'associazione ebraica in prima linea nella lotta
all'antisemitismo.

La motivazione era abbastanza chiara: chiedete solidarietà, ma poi - per ragioni di pportunità - vi rifiutate di appoggiarci nella battaglia sul progetto di legge in discussione al Congresso che (come già accaduto in Francia) vorrebbe sancire la definizione di genocidio per le violenze dei turchi contro gli armeni nel 1915-17. L'Anti Defamation League ha risposto con una svolta clamorosa: attraverso un comunicato firmato dal suo direttore-deus ex china Abraham Foxman, per la prima volta un'importante organizzazione ebraica afferma sulle uccisioni degli armeni che "se questa parola allora fosse esistita, l'avremmo chiamato genocidio". Foxman scrive di essersi consultato con Elie Wiesel prima di compiere questo passo.

E precisa che l'Anti Defamation League rimane comunque contraria al progetto di legge in discussione al Congresso.

Basterà agli armeni?”. In passato Israele e le organizzazioni ebraiche americane, per non incidere sui rapporti di partnership esistenti fra quel paese e la Turchia, hanno lavorato contro i progetti di riconoscimento da parte del Parlamento USA del genocidio. E nel 2003 un’infermiera israeliana di origine armena scelta fra i tedofori per la festa dell’Indipendenza si era stata definita, nel testo scritto per il programma della cerimonia, come “discendente di terza generazione dei sopravvissuti all’Olocausto armeno del 1915”. Ma le proteste dell’ambasciata turca obbligarono il governo a ristampare duemila nuovi esemplari della brochure. Reuven Rivlin, un parlamentare di lungo corso della Knesset, ha scritto qualche giorno fa che Israele è obbligato a riconoscere il genocidio armeno: “non possiamo, nel nome della saggezza politica o diplomatica, sopprimere dei valori umani fondamentali che toccano le radici della nostra esistenza tragica”. E c’è secondo alcuni un collegamento diretto fra questi due orrori.

Nell’agosto del 1939, poco prima di aggredire la
Polonia, per vincere le perplessità di alcuni suoi collaboratori, a cui aveva rivelato i piani di sterminio, disse: “Chi si ricorda oggi del massacro degli armeni?”. Ci sembra opportuno ricordare quello che scrisse qualche anno fa Gad Lerner a un amico armeno: "Il massacro del popolo armeno è stato il primo atroce genocidio del XX secolo.....Caro Vahramian, io ti abbraccio e ti prometto
solennemente che partecipando alla Giornata della memoria pregherò per i tuoi cari trucidati così come pregherò per i miei".


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G.C

 
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