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06 04 2009 - Genocido armeno, Obama: non interferisco "Dialogo con la Turchia contro il terrorismo" "Le mie opinioni sono di pubblico dominio, non vi ho rinunciato,
Genocido armeno, Obama: non interferisco "Dialogo con la Turchia contro il terrorismo" "Le mie opinioni sono di pubblico dominio, non vi ho rinunciato, ma non voglio interferire in alcun modo con i negoziati fra Turchia e Armenia, che potrebbero dare risultati molto presto": il presidente degli Stati Uniti Barack Obama - come era nelle previsioni - ha eluso ogni menzione del genocidio degli armeni nel corso della conferenza stampa congiunta con l’omologo turco Abdullah Gul. In campagna elettorale Obama si era mpegnato a denunciare il genocidio senza mezzi termini: "Non è un’accusa, un punto di vista o un’opinione personale, ma un fatto documentato da un gran mole di prove storiche", aveva scritto sul suo blog. Per non rischiare di danneggiare il riavvicinamento in corso delle relazioni turco-armene, la Casa Bianca ha scelto ora la discrezione, ma resta da vedere cosa farà il Congresso di fronte alla risoluzione di condanna che come ogni anno verrà presentata tra pochi giorni in occasione del 24 aprile, giornata del ricordo per gli armeni di tutto il mondo. " È in corso un processo tra Armenia e Turchia per risolvere delle annose questioni, voglio incoraggiarlo dato che sta facendo progressi e potrebbe dare frutti molto presto: non voglio quindi concentrarmi sulle mie opinioni ma su quelle dei popoli turco e armeno, non ho intenzione di minare accordi o annunci che potrebbero essere fatti nel prossimo futuro", ha spiegato Obama rispondendo alla domanda di una giornalista. Gul: vicende storiche, non politiche Da parte ilpresidente turco sua ha ribadito che la questione non è "politica ma storica": "Il contesto è quello del 1915, quando l’Impero Ottomano combatteva su quattro fronti: molte persone persero la vita ma anche la popolazione musulmana soffrì grandemente e nello stesso tempo. Dovremmo lasciare che siano gli storici a sedersi a un tavolo, siamo pronti ad affrontare qualsiasi realtà" storica, ha continuato il Presidente turco ricordando di aver proposto la creazione di una commissione storica congiunta - aperta anche ad altri Paesi come Stati Uniti o Francia - e di aver messo a disposizione gli archivi di Ankara. "Abbiamo iniziato dei colloqui con l’Armenia per normalizzare i nostri rapporti, e quando avremo raggiunto una conclusione credo che avremo dato soluzione a molte questioni", ha concluso Gul. Lotta al terrorrismo Turchia e Stati Uniti sono alleati di lungo corso, e possono produrre una "alleanza modello" perché la Turchia è membro della Nato e il dialogo con Ankara è essenziale, ha ribadito Obama., sottolinenando di voler costruire su quelle che sono "già forti fondamenta", fin qui definite soprattutto in termini militari e di sicurezza, ma che in futuro dovranno espandersi anche nel settore economico. Obbiettivo numero uno di questo dialogo è tuttavia la lotta al terrorismo: "abbiamo discusso su come dare maggiore supporto su questo fronte, ma è chiaro per noi che il terrorismo è sempre inaccettabile". Per Obama, la cosa essenziale "nei rapporti turco americani è il riconoscimento che i due paesi possono creare una alleanza modello, che fra le nazioni occidentali da un lato e un paese a cavallo fra due continenti dall’altro, è possibile creare una comunità moderna prospera, sicura".Quindi esempio del dialogo "fra le culture, ed è una cosa di estrema importanza per me". La Turchia paese islamico nella visione di Obama diviene perno della diffusione del dialogo: il presidente Usa ha aggiunto che «se est ed ovest saranno uniti nel trasmettere questo messaggio al mondo, penso che avremo un impatto straordinario». ---------------------------------------------------------Libano: Gli armeni con Hezbollah, il partito di dio sente aria di vittoria di Michele GiorgioIl Manifesto, 5 aprile 2009 Beirut, dove domani arriverà il ministro degli esteri Frattini (che andrà anche a Damasco), vive la tensione della campagna elettorale dei due schieramenti politici libanesi per le legislative del 7 giugno. In apparenza è ancora aperto il match tra i partiti del fronte filo-Usa e antisiriano “14 marzo”, guidati dal sunnita Saad Hariri (figlio del premier assassinato Rafiq Hariri), e quelli dell'”8 marzo” (opposizione) capeggiato dal movimento sciita Hezbollah e dal partito cristiano dei Liberi Patrioti. In realtà i libanesi sanno che l'ago della bilancia pende sempre di più verso l'opposizione. È fallito il tentativo di Hariri e dei suoi alleati di strappare il voto dei cristiani armeni alla lista del generale Michel Aoun (Liberi Patrioti). Pur essendo minoranza, i cristiani hanno il 50 per cento dei 128 seggi del Parlamento e il fronte “14 marzo”, approfittando dello strappo tra Aoun e l'influente deputato greco ortodosso Michel Murr, ha provato a portare dalla sua parte i libanesi di origine armena. Quest'ultimi - storicamente fedeli alla presidenza della repubblica - nel 2005 avevano votato compatti per la lista di Aoun proprio su richiesta di Murr ma ora, di fronte allo scontro tra i due ex alleati, sono stati in bilico e, in apparenza, sul punto di sganciarsi dal leader dei Liberi Patrioti. La proposta fatta da Hariri e il suo blocco era allettante: in cambio di quattro deputati sicuri nella capitale, gli armeni avrebbero dovuto votare per i candidati del “14 marzo” nei distretti elettorali ancora incerti di Beirut 1, Metn and Zahleh, dove pochi voti di differenza potrebbero decidere la vittoria finale. Invece a metà settimana il partito armeno Tashnag ha confermato l'alleanza con Aoun facendo naufragare le speranze dei filo-Usa. Hariri subito dopo ha tenuto un incontro al vertice con i tutti i leader del suo schieramento - Samir Geagea (Forze libanesi), Amin Gemayel (Falange) e il druso Walid Junblatt - per fare il punto di una situazione per lui sempre più preoccupante. Il “14 marzo” ha falle aperte anche in altre zone del paese. Junblatt sul Jabal druso deve vedersela con il suo rivale Talal Arslan mentre la tradizionale roccaforte sunnita di Sidone è contesa tra Bahia Hariri (la zia di Saad) e il popolare deputato dell'opposizione Osama Saad. La vittoria dell'opposizione a questo punto si fa sempre più concreta e il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, annunciando la candidatura di 11 esponenti del suo movimento è apparso ottimista e ha già proposto la formazione di un governo di unità nazionale. Possibilità che Hariri esclude. Il “14 marzo” spera che gli Stati uniti e l'Europa in caso di vittoria dell'”8marzo” scelgano di attuare il boicottaggio del nuovo governo. Tuttavia Washington, che con Bush aveva garantito aiuti militari per decine di milioni di dollari in funzione “antiterroristica” (cioè contro Hezbollah), con l'avvento di Barack Obama sembra aver adottato una linea più cauta, facendo infuriare gli antisiriani. Ieri in un'intervista al sito libanese Naharnet l'ambasciatrice Usa a Beirut, Michele Sison, è corsa ai ripari ribadendo il sostegno dell'Amministrazione alla “sovranità del Libano” e al tribunale internazionale per l'assassinio di Rafiq Hariri. Allo stesso tempo non è stata categorica nell'escludere un dialogo con un eventuale governo guidato da Hezbollah. Dagli Stati uniti invece l'ex ambasciatore Jeffrey Feltman - alleato di ferro di Hariri - ora sottosegretario di stato, ha messo in chiaro che l'assistenza futura di Washington a Beirut verrà decisa nel quadro del risultato delle elezioni del 7 giugno lasciando intendere che un boicottaggio, simile a quello attuato con Hamas a Gaza, è una prospettiva concreta.

G.C.

 
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