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050603 - L'Arena - il giornale di Verona

L'Arena - il giornale di Verona CaricaHalfBanner(); Meteo Borsa Oroscopo teni aerei Farmacie Almanacco Proverbio Il Santo Le Lettere dei Lettori Lunedì 30 Maggio 2005 L’artefice del progetto. Ha seguito l’opera sin dall’inizio quando era nella Congregazione delle Chiese orientali Segno d’amore per un popolo L’ambasciatore della Santa Sede: «Un passo verso la rinascita»«Questa gente è caparbia e volonterosa e si attiva per uscire da una situazione di povertà ma ha davanti a sè la sfida della responsabilità sia nel lavoro che nella gestione della famiglia C’è la piaga dell’aborto: la media è di sei o sette per donna, ma alcune arrivano a trenta» (dall’inviato)Nella chiesa del piccolo villaggio di Arenik, a cinque chilometri da Gyumri, la seconda città più popolata dall’Armenia e gravemente colpita dal terremoto del 1988, monsignor Claudio Gugerotti, 50 anni, veronese, nunzio apostolico in Georgia, Armenia e Azerbaigian, ha consacrato un vescovo armeno cattolico, Nishan Karakeheyan, a lungo vissuto in Grecia e poi a Teheran, in Iran, per seguire gli armeni cattolici in diaspora. Una cerimonia dal sapore antico, con numerosi canti e inni, seguita da un migliaio di persone dentro e fuori la chiesa, a cui hanno partecipato le autorità civili e religiose, tra cui Karekim II, il «catolikos» cioè il Patriarca della Chiesa Armena Apostolica, la Chiesa nazionale. C’era anche monsignor Giuseppe Pasotto, stimmatino, di Bovolone, vescovo in Georgia. Dire che monsignor Gugerotti ha l’Armenia nel cuore è poco. Da 31 anni, da quando si è laureato in Lingua e Letteratura armena all’Università di Venezia (la città dell’isola di San Lazzaro, chiamata l’isola degli Armeni) ha mantenuto un filo diretto continuo con il Paese caucasico. Da tre anni monsignor Gugerotti, ordinato prete dell’Istituto Don Nicola Mazza nel 1982, è nunzio. È un’ambasciatore, quindi, il rappresentante della Santa Sede presso le Chiese cattoliche dei tre Stati. Già dal 1985 Gugerotti si è occupato del settore armeno della Congregazione delle Chiese orientali della Santa Sede, lavorando per tanti anni insieme al cardinale Achille Silvestrini, che ne era il Prefetto. Fu proprio in quella veste che 15 anni fa Gugerotti benedì l’ospedale «Redemptoris Mater» costruito ad Ashotsk, donato da papa Giovanni Paolo II in segno di solidarietà con il popolo armeno colpito il 7 dicembre 1988 dal disastroso terremoto. Una benedizione giunta dopo cinque viaggi per individuare la zona in cui costruirlo, utilizzando i fondi della Caritas italiana. «L’inaugurazione fu una cerimonia molto toccante, di profonda spiritualità», ricorda monsignor Gugerotti, che utilizza un albergo nella capitale Yerevan come base, quando giunge per qualche giorno al mese in Armenia, visto che la nunziatura ha sede a Tbilisi, capitale della Georgia. «L’ospedale, infatti, veniva costruito in una zona in cui soltanto nel 1990 gli abitanti potevano manifestare pubblicamente la loro grande fede, per molti anni repressa dal regime comunista. Giovanni Paolo II volle accompagnare l’Armenia sulla strada di una nuova resurrezione che ponesse al centro della vita le persone più deboli e sfortunate». Era un amore profondo quello di Giovanni Paolo II per l’Armenia. Un legame che il pontefice polacco rivelò di dovere anche a monsignor Gugerotti, come disse pubblicamente nel suo viaggio del febbraio 2001, per il quale pubblicò una «Lettera apostolica in occasione del 1700° anniversario del Battesimo del popolo armeno». «Il gesto del Papa di donare l’ospedale», racconta monsignor Gugerotti, «fu di grande sensibilità nei confronti di un popolo dal destino travagliato. E poi il Papa, che quand’era ragazzo aveva un compagno di banco armeno, è sempre stato vicino a questo popolo, visto che in Polonia c’erano 35mila Armeni». È stato significativo, fin dal crollo dell’Urss, il ruolo della Chiesa cattolica nella ricostruzione morale e civile dell’Armenia, dove peraltro i cattolici sono un’esigua minoranza, al punto che hanno un vescovo ma non una diocesi. «È stata questa la decisione del Papa dopo il crollo del regime», spiega Gugerotti, «per non creare una sorta di antagonismo con la Chiesa Armena Apostolica. L’Armenia è quindi un’amministrazione apostolica. I sacerdoti cattolici armeni presenti attualmente sono sei, di cui quattro provenienti dalla Congregazione mechitarista armena di Venezia, a cui il Papa affidò la formazione della classe dirigente del Paese». - Monsignor Gugerotti, quali sono i rapporti della Chiesa Armena Apostolica con quella cattolica di rito armeno? «Ottimi, improntati a una grande cordialità. Quando venne qui papa Giovanni Paolo II fu ospitato dal Patriarca della Chiesa Armena Apostolica, Karekim I, di cui era grande amico. E Karekim II, il successore, era in San Pietro ai funerali del Santo Padre. Sono rapporti che continueranno a essere molto buoni». - Com’è la religiosità in Armenia? «La Chiesa Armena Apostolica ha sempre svolto il duplice compito di conservare e garantire l’identità nazionale e l’educazione religiosa e morale. Dopo il crollo dell’Urss sono state riaperte molte chiese e c’è stato indubbiamente un recupero della religiosità, anche se, dopo tanta repressione, soprattutto i giovani non sapevano nemmeno che cosa volesse dire professare un credo. Il catolikos, fra l’altro, è eletto anche dagli armeni della diaspora, sia ecclesiastici che laici, e questo contribuisce a tenere vivo il legame con la religione cristiana. Dire armeno, perciò, significa dire cristiano. Ecco perché il genocidio del 1915, compiuto dai Turchi, che provocò la morte di oltre un milione e mezzo di Armeni, fu anche un genocidio religioso». - Qual è lo spirito del popolo armeno? «L’essere segnato dal martirio. È una storia di sofferenza di cui il terribile genocidio è solo un capitolo. Non a caso il simbolo classico della religiosità armena è una croce di pietra. È la pietra che parla, che esprime la Chiesa, la tomba, le difficoltà della vita». - È un popolo ottimista? «No, ottimista no, ma coltiva sempre la speranza che sta sulla soglia, nella certezza che Dio passerà di lì. Ma gli Armeni sono anche caparbi, scaltri, capaci di muoversi e di darsi da fare per venire fuori da situazioni di difficoltà economica». - Quali nodi l’Armenia deve sciogliere? «Sicuramente il trauma del 1915, l’anno del genocidio compiuto dai Turchi, che tutt’ora non lo riconoscono, nonostante l’Armenia l’abbia chiesto. Di recente, una commissione di storici turchi sta lavorando proprio per fare sì che venga rivisto questo capitolo della loro storia e si arrivi a riconoscere il genocidio. Tutt’ora, comunque, Armenia e Turchia non hanno rapporti diplomatici. Un altro nodo è quello del Nagorno - Karabakh, che ha provocato una guerra sanguinosa tra Armeni e Azeri e resta tutt’ora un trauma violento nelle coscienze della gente». - Sul piano culturale e sociale quali sfide hanno davanti gli Armeni? «È necessario che gli Armeni che vivono in patria riscoprano un linguaggio comune con quelli della diaspora, non sentendosi come i loro parenti poveri. Ma la sfida più importante è acquisire un senso del bene comune e morale che vada oltre il contingente». - Che cosa significa? «Responsabilità nel lavoro e nella gestione della famiglia, per una serena e responsabile accoglienza della vita. In Armenia c’è la piaga degli aborti: la media è di sei-sette per donna, ma ci sono donne che sono arrivate a trenta». - Tra tante sofferenze, e forse sulla scia di un graduale sviluppo avuto negli ultimi anni, gli Armeni appaiono comunque un popolo sereno, positivo. Perché? «Qui c’è un detto popolare che dice: ’’All’uccello cieco è Dio che fa il nido’’. Gli Armeni, nonostante tutto, hanno una grande fiducia in Dio». (e.g.) © Copyright 2003, Athesis Editrice S.p.A. - Tutti i diritti riservati - [Credits]


V.V

 
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