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06 05 2009 - lo straordinario successo del romanzo di Antonia Arslan,
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GAZZETTA di PARMA
Genocidio in Anatolia nel romanzo della Arslan: «La strada di Smirne» Nel 2004 lo straordinario successo del romanzo di Antonia Arslan, «La Masseria delle allodole», tradotto in quindici lingue e diventato film per la regia dei fratelli Taviani, ha contribuito a fare conoscere al mondo la tragedia degli armeni. Cinque anni dopo, «La strada di Smirne» (Rizzoli) ne costituisce il necessario corollario: inizia dove «La Masseria delle allodole» era terminato e, a capitoli alterni, racconta da un lato le vicende dei superstiti della famiglia di Sempad e dall’altro le nuove sfide dei personaggi
rimasti in Anatolia. Il primo romanzo si concludeva con una frase lapidaria: «Nessuno è più tornato nella Piccola Città». In realtà, i pochi armeni sopravvissuti alla violenza ottomana, speravano di poter ritornare alle loro case e al loro mondo. Ma questo secondo romanzo narra la fine delle loro
illusioni: anche nel breve e ingannevole periodo di pace che segue la fine della Prima Guerra Mondiale, le case degli armeni sono occupate dai turchi e i loro beni confiscati. Dopo la morte terribile del farmacista Sempad, nel maggio del 1915, quello che rimane della sua famiglia cerca di imbarcarsi per l’Italia, dove li attende Yerwant, il fratello di Sempad che, partito ancora
ragazzino dall’Anatolia, aveva fatto fortuna nella sua nuova terra. Ad aiutarli a fuggire sono stati lo scaltro mendicante Nazim, la fedele greca Ismene e il prete ortodosso Isacco, che di Ismene diventerà il marito. A questi personaggi si aggiungono una moltitudine di figure, in una narrazione che è sempre più densa e corale. Ma rimangono Nazim, Ismene e Isacco i veri protagonisti di «La strada di Smirne», testimoni del secondo terribile genocidio. E se nel primo romanzo della Arslan il filo conduttore della narrazione era la sofferenza femminile, nel secondo è quella dei bambini, delle centinaia di orfani che Ismene tenta inutilmente di mettere in salvo prima ad Aleppo e poi a Smirne.
Henriette, la bambina diventata muta dopo aver assistito al massacro del padre Sempad, è il simbolo delle tante infanzie distrutte. E Antonia Arslan, con l’abilità di un cantastorie, sa rendere universali le terribili sofferenze del suo popolo sterminato dalle mire egemoniche della potenza turca.
G.C.
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