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050603 - Borghezio: Turchia impedisce convegno su genocidio armeni
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Borghezio: Turchia impedisce convegno su genocidio armeni
Roma, 27 mag (da il Velino) - Il governo turco, attraverso il ministro della giustizia Cemil Cicek, ha esercitato pressione per impedire lo svolgimento, presso una prestigiosa università di Istanbul, di un convegno storico sul genocidio armeno
(com) 11:15
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Turchia: il “genocidio” armeno ed i rapporti internazionali
Sul finire dell’aprile 1915 si colloca l’apertura di una delle pagine più buie della storia recente della Turchia, quel genocidio della popolazione di etnia armena che, mai riconosciuto come tale da Ankara, torna oggi, in occasione della ricorrenza dei 90 anni, alla ribalta internazionale. Riprende così vigore un dibattito che, lungi dall’essere relegato all’ambito storiografico, permea di sé la più ampia sfera della relazioni regionali ed internazionali della Turchia.
(Carlo Frappi)
Equilibri.net (25 maggio 2005)
Aprile 1915. L’Impero Ottomano, da sei mesi in guerra al fianco delle Potenze Centrali, si trova a fronteggiare l’avanzata delle truppe russe dopo che a Sarikamish, in gennaio, queste si sono aperte la strada per l’Anatolia orientale. E’ in questo contesto che le autorità di Costantinopoli, intimorite dai possibili sviluppi della lotta indipendentista armena e dai primi segali di rivolta provenienti dall’Anatolia, decisero di deportare la popolazione ottomana di etnia armena verso i territori sud-orientali dell’Impero. Si innestava così, con i primi arresti del 24 di aprile, quella serie di eventi che avrebbero portato allo sterminio della popolazione armena, uno sterminio sulla cui entità e sulle cui cause permangono ancor’oggi importanti divergenze interpretative. Stando infatti alle fonti armene, il numero di individui uccisi supererebbe il milione di persone, contro le 3-400.000 unità riconosciute dalle autorità ed interpretazioni ottomane prima e turche successivamente. Ciò che tuttavia separa profondamente le due opposte posizioni è l’interpretazione delle cause del massacro stesso. Mentre infatti, sostengono gli storici armeni, la popolazione suddetta sarebbe stata oggetto di una deliberata politica di genocidio, secondo l’opposta interpretazione, la morte di questi ultimi sarebbe stata in gran parte determinata dalla avverse condizioni del periodo di guerra – dalla carestia alle epidemie, dalle difficili condizioni climatiche a scontri, intra-comunali e con le autorità, generati dalla rivolta armena. Dato incontrovertibile è tuttavia che, alla fine del conflitto mondiale, la popolazione armena precedentemente stanziata in Anatolia risultava definitivamente sradicata e che la Repubblica Turca nasceva nel quadro di una profonda contrapposizione rispetto alla popolazione ed alla diaspora armena, contrapposizione che caratterizza ancora oggi i rapporti tra la Turchia e la giovane Repubblica Armena sorta sulle ceneri della dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Il riconoscimento internazionale del genocidio
Lungi dall’essere relegata al piano del dibattito storiografico, la questione del genocidio armeno ha acquistato nel tempo una sua connotazione politica, connotazione tanto più evidente a partire dai successivi e numerosi riconoscimenti che diversi parlamenti nazionali hanno dato al genocidio.
Se con il passare del tempo, infatti, i parlamenti di 15 Paesi – ivi compresi, oltre al Parlamento Europeo ed al Vaticano, Italia, Francia, Belgio, Grecia, Russia e Canada – hanno sanzionato ufficialmente l’avvenuto genocidio, l’approssimarsi della ricorrenza del 24 aprile ha avuto l’effetto di riportare la questione alla ribalta internazionale. In questo quadro, al di là delle numerose celebrazioni e dimostrazioni organizzate dalla diaspora armena in diversi stati europei e non – dalla Russia alla Ucraina, dalla Georgia all’Iran, dagli Stati Uniti ad Israele – è ripresa con vigore la campagna, appoggiata dalle autorità di Yerevan, volta al riconoscimento internazionale del genocidio. Il 19 aprile, su questo sfondo, il parlamento polacco approvava una risoluzione nella quale veniva condannato, come “genocidio”, il massacro della popolazione armena consumatosi a partire dal 1915. L’immediata e dura reazione di Ankara – che prontamente annullava una serie di attività interparlamentari previste per maggio – non ha tuttavia impedito che la Duma russa, a stretto giro di vite, approvasse un’analoga risoluzione. Nonostante quest’ultima avesse infatti passato un’analoga risoluzione nel 1995, il 22 aprile un secondo atto parlamentare ha ribadito che “i deputati della Duma denunciano fermamente l’atto del genocidio, persuasi che l’intera comunità internazionale dovrebbe commemorare il suo novantesimo anniversario”.
A rendere poi le pressioni internazionali più pesanti, ha contribuito l’atteggiamento dei principali attori di quell’Unione Europea l’ingresso nella quale rimane obiettivo centrale della politica estera turca. Il 24 aprile, infatti, il Presidente francese Chirac, con una decisione che non ha mancato di suscitare forti proteste in Turchia, ha reso omaggio, assieme al Presidente armeno Kocharian, al monumento che a Parigi commemora le vittime del genocidio. Un genocidio che il parlamento francese ha riconosciuto nel 2001 con una risoluzione che ora i socialisti chiedono diventi legalmente sanzionabile. Il Ministro degli Esteri francese, in collaborazione con la propria controparte olandese, ha poi dichiarato l’intenzione di avanzare una istanza alla Presidenza di turno dell’Unione, perché richieda ufficialmente ad Ankara di rivedere le proprie posizioni riguardo il genocidio stesso. Un atteggiamento più accorto ha infine avuto la Germania. Il 19 aprile il Bundestag ha infatti approvato una bozza di risoluzione che, pur condannando la “attitudine alla negazione” turca rispetto alle accuse armene – una attitudine che si sottolinea essere contraria al principio di “pace e perdono” propria dell’Unione Europea – non faceva tuttavia menzione del “genocidio”, limitandosi a richiedere che la Turchia si “assuma la responsabilità storica del massacro degli armeni ad opera dell’Impero Ottomano”. L’approvazione definitiva della risoluzione veniva inoltre rimandata in previsione della visita di Schroeder ad Ankara dei primi di maggio.
L’attore internazionale verso il quale si indirizzavano, tuttavia, le maggiori aspettative armene erano di certo quegli Stati Uniti, dove, nel 2000, solo l’intervento personale di Clinton aveva evitato che il Congresso approvasse una risoluzione di sostegno alle accuse armene. Con l’avvicinarsi della ricorrenza del 24 aprile e del tradizionale discorso presidenziale, d’altro canto, 168 membri del Congresso avevano presentato a Bush la richiesta di cogliere l’occasione per riconoscere il genocidio, mantenendo così quella promessa che, ai tempi della campagna elettorale del 2000, aveva indirizzato alla comunità armena statunitense. Tali aspettative sono andate tuttavia deluse. Facendo infatti riferimento agli “esili forzati ed alle uccisioni di massa”, a quella che “il popolo armeno è arrivata a definire la Grande Calamità”, Bush ha infatti accuratamente evitato di utilizzare l’espressione “genocidio”. Ha piuttosto preferito riferirsi indirettamente ad esso, facendo menzione del rapporto stilato nel febbraio 2003 dal Centro Internazionale per la Giustizia Transnazionale (ICTJ), organismo indipendente cui l’ormai estinta Commissione Turco-Armena per la Riconciliazione (TARC) – creata nel 2001 per iniziativa del Dipartimento di Stato – aveva demandato lo studio degli eventi successivi al 1915. Il rapporto, redatto su un piano strettamente giuridico dall’ICTJ, aveva infatti sottolineato come tali eventi “presentino tutti gli elementi del crimine del genocidio”, così come stabilito dalla relativa convenzione ONU del 1948, una convenzione che tuttavia, non avendo valore retroattivo, non poteva applicarsi al caso in questione.
Le reazioni in Turchia ed i rapporti con l’Armenia
Come era preventivabile, la serie di eventi succedutisi nello scorso aprile hanno generato diversi momenti di tensione tanto tra Ankara e diverse cancellerie europee, quanto nella stessa opinione pubblica di un Paese, la Turchia, che avverte il peso di quello che percepisce come un crescente isolamento internazionale.
Al di là infatti delle note di protesta ufficiali presentate a Polonia e Russia e delle dure dichiarazioni rilasciate dai più alti esponenti governativi, ciò che ha scavato un più profondo solco nelle posizioni dell’opinione pubblica e dell’establishment turco è stata la sensazione di trovarsi innanzi alla strumentalizzazione della questione armena da parte di quei Paesi – con la Francia in testa – che non vedono con favore l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea. Va da sé che tale circostanza abbia contribuito in maniera decisiva ad ingrossare le fila degli “euro-scettici”. D’altro canto, non contribuivano ad diminuire le apprensioni turche le stesse dichiarazioni rilasciate lo scorso 7 di maggio dal rappresentante della Commissione Europea ad Ankara. Kretschmer infatti sottolineava come in Turchia permanessero “gravi deficienze nel rispetto dei diritti umani […] e della libertà di espressione” e che “la questione armena non costituisce requisito per l’ingresso [nell’UE]. Ma è un problema che la Turchia deve urgentemente risolvere”. Quasi scontate, in questo quadro, la reazioni delle istituzioni turche che, oltre a rimarcare – attraverso l’influente Segretario Generale del Consiglio di Sicurezza Nazionale, Alpogan – come le accuse di genocidio costituissero “pretese senza fondamento avanzate per insultare la Turchia”, sottolineavano ancora una volta come non avrebbero accettato, rispetto alla questione armena, alcuna pressione esterna. Le stesse alte sfere militari turche – così come dimostrato dalle recenti dichiarazioni del Generale Özkök – mostrano un crescente raffreddamento nell’appoggio sinora assicurato ad un percorso europeo sul quale sembrano moltiplicarsi gli ostacoli di natura politica.
Nell’intento di uscire dall’empasse nella quale la soluzione della questione armena sembrava essere scivolata, portando peraltro con sé l’intero spettro dei rapporti tra le due Repubbliche confinanti – che a tutt’oggi non hanno relazioni diplomatiche – il Primo Ministro Erdogan, in aprile, ha convocato il leader del principale partito d’opposizione Baykal, per predisporre azioni congiunte. Con una solidarietà d’intenti senza precedenti, è stato così deciso, da un lato, di rendere disponibile nuova documentazione diplomatica ottomana per permettere lo studio del periodo successivo a 1915 e, dall’altro, di proporre alla Presidenza armena la creazione di una commissione congiunta per lo studio dei controversi eventi. La soluzione del nodo del genocidio veniva così presentata come pre-condizione per la negoziazione sulle altre fonti di contrasto tra i due Paesi – dalla chiusura della frontiera comune, sino all’occupazione armena del Nagorno-Karabakh azero. Benché Kocharian accettasse, in linea di principio, la costituzione di una commissione congiunta – proposta accolta con favore anche da Stati Uniti, Commissione Europea e Germania – la controproposta giunta ad Ankara modificava la offerta turca con riferimento tanto alla composizione, quanto alle materie da coprire in essa. Si proponeva infatti una commissione inter-governativa – piuttosto che di storici – incaricata di affrontare l’intero spettro delle problematiche tra i due Paesi. Su questo sfondo, alla metà di maggio, si apriva a Varsavia quella riunione del Consiglio d’Europa che in molti vedevano come l’occasione propizia per un passo avanti verso la normalizzazione dei rapporti turco-armeni. Così tuttavia non è stato. Al contrario, il tanto atteso incontro separato tra le parti non ha avuto luogo, e, ciò che è peggio, l’intervento di Kocharian innanzi all’assemblea – con espliciti riferimenti alla necessità di riconoscimento internazionale del genocidio, oltre che alla chiusura della frontiera turca ed alla legittimità dell’occupazione del Nagorno-Karabakh – ha segnalato la riapertura di quel circolo vizioso tra accuse incrociate, che si sperava in via di risoluzione.
Conclusione
L’esperienza recente – in primis il fallimento di quella TARC promossa dagli Stati Uniti – mostra come la soluzione alla datata questione armena e, più in generale, la normalizzazione dei rapporti turco-armeni, non possa che venire direttamente dalle due parti in causa. Il clima tuttavia non sembra essere dei migliori, anche in considerazione di quella crescente radicalizzazione nelle posizioni dell’opinione pubblica e dei più alti esponenti delle istituzioni turche, che finisce per ridurre notevolmente lo stesso spazio di manovra del governo Erdogan, indebolendo, al contempo, le posizioni di quella parte dell’intelligencija turca che si continua a mostrare disponibile ad un riavvicinamento, sgombro da pregiudizi, al vicino armeno.
Equilibri.net
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Da Avvenire 26/5
SAN NICOLA, le porte aperte dell’Eucarestia
IL LUOGO
L’antica basilica di Bari custodisce le spoglie di un uomo di Dio venerato dai cristiani d’Oriente insieme a quelli d’Occidente. Ponte di riconciliazione nel cuore di una città dalla vocazione ecumenica. Così disse Giovanni Paolo II nella sua visita del 1984 a Bari. Così è accaduto ieri, grazie alla preghiera elevata insieme da cattolici, ortodossi e protestanti
San Nicola, le porte aperte dell'Eucaristia
Da quando la diocesi barese ha stretto forti relazioni col Patriarcato di Mosca, qui arrivano molti fedeli russi. Il rettore della basilica: ogni mercoledì invochiamo l’unità
Dal Nostro Inviato A Bari Giovanni Ruggiero
Forse è il vento, come quello di ieri, che viene dall'Oriente: increspa il mare e risveglia la «nostalgia per l'unione». Non è la nostalgia di un passato che si è scolorato nel fluire del tempo - come disse Giovanni Paolo II, proprio a Bari più di vent'anni fa - ma è «l'attesa di un futuro che ci è stato promesso, e che per noi è il compito e il lavoro del presente». Soffiava questo vento leggero ieri a Bari, e accarezzava il mare, quando dentro la basilica di San Nicola si recitava la preghiera ecumenica, presieduta dal cardinale Walter Kasper e dall'arcivescovo ortodosso Kirill. Il mare soffiava rinnovando questa nostalgia nella preghiera che in un punto dice: «In comunione con coloro che ci sono vicini, in comunione con le nostre sorelle e i nostri fratelli cristiani, in comunione con la tua creazione, noi ti presentiamo tutto ciò che è stato lacerato e separato». Ieri, e non a caso a Bari, dunque. Ieri, e non a caso di mercoledì: perché questo giorno della settimana la Chiesa di Bari lo dedica alla preghiera ecumenica. «È un giorno - spiega il rettore della Basilica pontificia di San Nicola, il domenicano padre Giovanni Matera - stabilito per la preghiera, e l'Eucarestia è vista come vincolo di unità». Oggi, sull'altra sponda di questo mare, e ancora più lontano, in Russia, è tradizione che gli ortodossi preghino per la città di Bari. La città di mare è porta per gli stranieri. «Le onde di questo mare - disse Giovanni Paolo II nella sua storica visita - hanno portato lungo i secoli idee e merci, minacce e progresso, costituendo, in una diversità di concezioni e di costumi, una integrazione che voi baresi cercate di comprendere e di promuovere con gli strumenti della cultura». Quotidianamente, fedeli ortodossi russi raggiungono la città, specie da quando si sono strette forti relazioni con il Patriarcato di Mosca, e pregano sulla tomba del Santo. Ogni domenica, poi, nella basilica, in una speciale cappella, viene celebrata la liturgia da un sacerdote ortodosso. Il Papa in questa città ricordava che le due Chiese sorelle d'Oriente e d'Occidente compren- dono che, senza un ascolto reciproco delle loro ragioni profonde, la stessa Chiesa di Cristo «non può manifestare la piena maturità di quella forma ricevuta all'inizio nel Cenacolo». Queste parole aleggiavano ieri pomeriggio nella basilica del Santo quando nel canto ecumenico è stata intonata la preghiera del Simbolo di Nicea, nel testo utilizzato durante il III Incontro delle Conferenze delle Chiese europee. C'erano Jonathan Boardman, pastore della Chiesa Anglicana All Saints di Roma, il reverendo Luca Anziani, pastore della Chiesa Evangelica Valdese, e il reverendo padre Vasken Nanyan della Chiesa Armena Ortodossa. Hanno pregato insieme: «Noi crediamo in un solo Dio, Padre Onnipotente...». E c'era don Angelo Romita, il delegato diocesano per l'ecumenismo: «Abbiamo pregato non tanto e non solo per l'unità, ma per la santità della vita quotidiana. Per san Nicola, a fondamento dell'unità c'è la santità della vita, c'è l'arricchimento di se stessi attraverso l'altro». Questo impegno ecumenico della diocesi barese nasce subito dopo il Concilio Vaticano II con la fondazione dell'Istituto di teologia ecumenica «San Nicola» voluto dall'allora arcivescovo Nicodemo. Il Papa, quando visitò Bari, il 28 febbraio 1984, aveva colto questa ansia di unità che aveva fatto della città un punto di convergenza e di dialogo tra i cristiani d'Oriente e d'Occidente. Se ne andò da Bari in un giorno spazzato dal «vento di Pentecoste», come disse l'arcivescovo Magrassi, raccomandando e sollecitando un enorme lavoro pastorale, perché in queste terre «è sempre stata viva la percezione del carattere complementare delle due tradizioni e quindi l'urgenza del loro incontro». I cristiani, ieri, si sono salutati con un impegno: «Mentre lasciamo la Chiesa, ognuno di noi è chiamato ad assumere il proprio ministero di riconciliazione». Le origini di questa riconciliazione a Bari sono lontane: risalgono a quan do una sessantina di marinai baresi portarono da Myra le spoglie di San Nicola. Era il 9 maggio 1088 quando i baresi fecero l'impresa.
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Da La Gazzetta di Sondrio
Noi italiani sappiamo ben poco dell'Armenia, del Caucaso
e del Genocidio Armeno
di Nemo Canetta
Genocidio Armeno - da un milione e mezzo a due milioni di "eliminati"
Prima d'iniziare vorrei chiarire che non ho mai avuto nulla contro i turchi, che, in quel Paese, ho fatto due tra i miei più bei viaggi e che ho sempre considerato Ataturk un vero eroe della civiltà occidentale.
Ma ...
Mi sono accorto, quest'anno, che noi italiani sappiamo ben poco dell'Armenia, del Caucaso e del Genocidio Armeno.
Qualche ricordo scolastico, Tigrane, Pompeo, forse qualche immagine delle chiese armene dell'odierna Turchia, nulla più.
Quando, assieme a Giancarlo Corbellini, nel 1977 fummo in Anatolia per i nostri viaggi di nozze visitammo la regione dell'Ararat, Van, il suo lago, le chiese. Nessun turco ci parlò degli Arrmeni. Ed addirittura un curdo, che declamava poesie sul lago, ci disse che Curdi ed Armeni erano lo stesso popolo!!! Sapevamo che non era vero ma le nostre conoscenze non andavano molto oltre.
Quanto al Genocidio Armeno - da un milione e mezzo a due milioni di "eliminati" (mica bruscolini) - chi mai ne ha sentito parlare, a scuola?
Ricerche, film, testi sul Genocidio ebraico ma nulla sugli Armeni.
Come insegnante, per 20 anni, posso testimoniarlo. Un silenzio di tomba!
Eppure molti governi, molti Enti internazionali lo hanno denunciato, a chiare lettere ma, l'Europa e l'Occidente hanno molto bisogno della Turchia che, ostinatamente, non vuole riconoscere ciò che, in realtà, a tutti gli studiosi è noto. E la Turchia è un grande Paese, un potente Paese, un grande mercato, ha amici potenti (la Germania, ad esempio, sin dalla fine del XIX secolo). Ed allora "meglio non svegliare il can che dorme ...".
Qualche esempio della congiura religioso-commercial-politica:
- Nessun Paese islamico ha mai ammesso il Genocidio, solo il Libano. Ma il Libano è, per il 50% cristiano e in quel Paese gli Armeni sono numerosi ...
- La Germania, già citata ed alleata di ferro della Turchia, sapeva tutto già da allora, a Berlino giungevano rapporti da brivido. Alcuni ufficiali e diplomatici tedeschi erano orripilati da quanto accadeva ma ... ma i rapporti politico-militari erano più importanti: Berlino tacque. E, per quel che ne so, tace ancora oggi.
- Israele dovrebbe essere uno degli Stati più sensibili all'argomento. Ma Israele è un altro alleato di ferro della Turchia. Per cui la condanna è finalmente arrivata ma tardiva e molto sfumata, per non irritare il potente alleato.
Lo ammetto, pure io ne sapevo poco ma, al solito, quando progetto un viaggio, mi informo.
Ed allora, presso case editrici quasi sconosciute, ho scoperto libri terribili sul genocidio degli Armeni, perpetrato dai Turchi, tra la fine del XIX secolo e gli anni subito seguenti la Grande Guerra.
Una sorta di "prova generale" di ciò che, circa 20 anni dopo sarebbe accaduto agli ebrei. Con la differenza che qui non ci sono state Norimberga, non ci sono stati tribunali né condanne, solo l'oblio.
Io ed Eliana andremo in Armenia ed in Georgia, per circa 5 settimane alla scoperta di due antiche civiltà cristiane che, piaccia o no, furono uno degli antemurali dell'Europa contro l'Islam ed i Turchi.
E difatti il Genocidio, i documenti parlano chiaro, fu perpetrato anche perché gli Armeni erano cristiani e pertanto non potevano essere "buoni" cittadini ottomani: solo gli islamici lo potevano essere.
Parola degli esponenti del Giovani Turchi, che erano progressisti e moderni ma che non volevano e sapevano scindere la religione dall'etnia.
Ma oggi la Turchia moderna, lo sa fare?
Il fatto che ancora adesso NEGHI ASSOLUTAMENTE il Genocidio non depone a suo favore. E c'è chi la vuole subito in EU!
Un'ultima nota: ci sono le dichiarazioni e le prese di posizione, sul Genocidio, di molti Stati ed Enti, tra cui l'Italia.
Interessante è quella del Comune di Milano che, tra l'altro, recita:
" ... che la Turchia, al fine di poter far parte dell'Unione Europea, dovrà riconoscere la responsabilità per tale genocidio, e che il riconoscimento del crimine commesso è anche nell'interesse del popolo turco, che potrà così liberarsi da un insopportabile peso morale ..."
Come ex milanese sono orgoglioso che la mia città abbia avuto questo coraggio: se la Turchia vuole essere Europa, prima riconosca i suoi crimini.
Non farlo significa che, un domani, sarebbe pronta a farli nuovamente!
E trovo invero assai strano che si parli di Turchia, in EU, e non di Georgia od Armenia che, storicamente e culturalmente, certo lo sono assai di più dei turchi.
Nemo Canetta
GdS 20 V 2005 - www.gazzettadisondrio.
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LIBRI
Storia di Vardan e dei martiri Armeni
La storia armena del V secolo è segnata da un evento decisivo per l’identità nazionale ed ecclesiale: la battaglia di Avarayr. Politicamente soggetti ai Persiani, gli Armeni si impegnano in una tenace resistenza nel momento in cui si vedono costretti a rinnegare la propria fede cristiana. Un esercito di valorosi capeggiati da Vardan Mamikonean viene alle armi con i Persiani il 2 giugno 451 presso Avarayr. «Colui che pensava che tenessimo la nostra fede cristiana a mo’ di vestito, ora sa che non può mutarla, come il colore della pelle, e forse non potrà farlo fino alla fine»: sono le parole scolpite nella memoria storica degli armeni con le quali Elise descrive lo stato d’animo dei guerrieri e che sottolineano il legame inscindibile tra fede e orgoglio nazionale. Nella Storia di Vardan, Elise - di cui sappiamo poco, probabilmente egli stesso impegnato nella battaglia - ripercorre gli eventi, offrendo una lettura in chiave storico-salvifica della lotta antipersiana. L’opera - di cui esiste solo una versione ottocentesca - è qui proposta in una traduzione italiana di agile lettura, ma che non perde la coloritura naif dell’originale.
Elise – Autore città nuova editore www cittanuova.it
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Armenia: La Loggia, creare una 'casa italia' a yerevan
19/05/2005 13:52
Roma, 19 mag. - (Adnkronos) - Creare una ‘casa Italia’ a Yerevan, in Armenia, allo scopo di rafforzare i già eccellenti rapporti bilaterali in campo economico, commerciale e culturale. Questo lo scopo della visita ufficiale nel paese caucasico del ministro per gli Affari Regionali, Enrico La Loggia. Un progetto che è stato sollecitato con particolare entusiasmo dal presidente dell’assemblea nazionale armena Arthur Baghdassaryan, e accolto con grande favore dal ministro.
V.V
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