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Il Libano si appresta a celebrare la vittoria di Hezbollah
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di Dagoberto Husayn Bellucci )
A pochi giorni dalle elezioni legislative libanesi la calma regna a Beirut e nei principali centri del paese dei cedri. Una calma apparente che ha destato non poca attenzione sui media locali e sulla stampa araba che si attendeva, come nel recente passato, una campagna elettorale dai toni accesi e ’scandita’ dal suono dell’ennesima autobomba.
Al contrario - dopo l’attentato che è costato due mesi or sono la vita ad un dirigente di Fatah e le scaramucce nella valle della Beka’a, fuochi fatui di tensioni latenti in paese dove all’estremismo politico e alle provocazioni sioniste si sommano da anni i problemi della disoccupazione e quello del narcotraffico - poco o niente è dato registrare nell’ultimo mese e in particolar modo nell’ultima settimana che precede il voto libanese.
Provocazioni e tensione in quest’angolo di pianeta sono ovviamente sempre all’ordine del giorno: Beirut non è Roma nè il Libano sarà mai ‘normalizzato’ e sottomesso da chicchessia (a stelle - più o meno di Davide - e strisce) così come non si pone il problema della sovranità nazionale. I libanesi hanno compreso perfettamente i meccanismi e le dinamiche destabilizzatrici che hanno investito il paese a cominciare dalla risoluzione Onu nr. 1599 che aprì, nell’autunno 2004, la stagione della strategia della tensione e che in ordine portò all’attentato contro il premier Rafiq Hariri, alla stagione delle autobombe, al voto ‘caldo’ del 2005 con la formazione di un primo esecutivo di unità
nazionale e infine sfociò nel conflitto lanciato dall’entità criminale sionista alias “stato d’Israele” contro la Resistenza Islamica e alla successiva discesa in piazza - nel dicembre 2006 - dei partiti dell’Opposizione Nazionale guidati da Hizb’Allah.
A distanza di due anni e mezzo da quelle manifestazioni oceaniche che occuparono stabilmente il centro della capitale libanese per oltre un ann e mezzo il Libano tira le somme di quasi cinque di vita politica e sociale “a sbalzi” (…un autentico ‘tapis roulant’ esistenziale quello vissuto dai
cittadini libanesi…) e , a poche ore dal voto di domenica, già si comincia a sentire aria di vittoria e trionfo per i partiti dell’Opposizione che hanno sostenuto Hizb’Allah e il Blocco della Resistenza Nazionalpatriottica: i cristiani del Gen. Michel Aoun hanno assicurato che la regione vitale del Metn sarà un loro feudo mentre anche i partiti comunisti si sono dichiarati disposti ad entrare in un esecutivo di unità nazionale che comprenda tutte le forze dell’Opposizione una volta sancita la vittoria del partito di Dio e dei suoi alleati.
La regione del Metn, nella zona settentrionale della capitale Beirut,a maggioranza cristiano-armena è determinante gli esiti del confronto elettorale dato che, da questa circoscrizione con ogni probabilità, sarà decisiva per assicurare i 7 seggi disponibili a determinare lo spostamento di voti per l’uno o l’altro schieramento: pro Hizb’Allah e Opposizione oppure a favore dell’attuale maggioranza parlamentare filo-occidentale che sostiene il premier sunnita Fouad Siniora e si raccoglie dietro ai partiti del 14 Marzo guidati dalla Corrente Futura del figlio dell’ex premier Sa’ad Hariri.
E che il Metn sia determinante gli esiti del voto del prossimo 7 giugno non è una novità se anche la diplomazia internazionale pare essersi mossa a sostegno dell’uno o dell’altro schieramento: fior di petroldollari sono piovuti nelle casse dei partiti occidentalisti del “fronte del Bristol” mentre dall’altra parte della barricata pare che la Repubblica Islamica dell’Iran si sia interessata a rafforzare i propri rapporti con la vicina Armenia con la quale , peraltro, divide un trattato di alleanza e mutua cooperazione militare che la unisce anche alla Grecia in funzione anti-turca e anti-azera (l’Iran ha una componente minoritaria di etnia azera spesso aizzata ad arte dagli strateghi della tensione e del caos delle centrali sistemiche mondialiste come , ai confini meridionali del Baluchistan sono stati spesso provocati i dissensi tra minoranza sunnita e la stragrande maggioranza sciita…recentemente sulle elezioni iraniane è ripiombata l’ombra del terrorismo con l’attentato di Zahedan che poche settimane fa ha colpito innocenti civili).
L’asse iraniano-armeno è entrato in funzione anche per quanto riguarda le elezioni libanesi: l’avvicinamento tra il partito cristiano-armeno libanese di Tashnang ed il movimento sciita di Sayyed Hassan Nasrallah ne è il risultato più evidente e conferma un ‘trend’ peraltro già anifestatosi nell’estate 2007 quando , ad agosto, nella stessa regione del Metn il partito del Gen. Aoun ottenne il seggio - rimasto vacante dopo l’assassinio dell’ex ministro dell’industria Pierre Gemayel , secuzione e metodi che ricordano fin troppo le azioni commesse durante il conflitto civile libanese dagli uomini della vecchia Falange oggi riciclatisi sotto i vessilli delle Forze Libanesi dirette dal
criminale di guerra Samir Geagea - e la maggioranza dei voti superando il rivale falangista.
“Con 160.000 cittadini armeni, pari più o meno al 4 per cento della popolazione - scrive ’Occidentale” - , sono 6 su 128 i deputati che nel Parlamento libanese vengono riservati a questa comunità: 5 agli armeni ortodossi e uno a quelli cattolici, mentre gli armeni protestanti votano per il
seggio riservato appunto ai protestanti. Quattro di questi eletti fanno parte dell’alleanza anti-siriana “14 marzo”: due con partiti non armeni, uno del partito liberale Ramgavar e uno di quello socialdemocratico Henchagian. Due stanno invece con l’Alleanza filo-siriana a guida Hezbollah intitolata all’8 marzo, entrambi del Tashnag: un partito presente in 35 Paesi, diretto da un
comitato segreto che si riunisce quattro volte all’anno, già protagonista tra fine ‘800 e inizio ‘900 della lotta armata contro l’Impero Ottomano, e oggi componente del quadripartito al potere in Armenia. Negli anni ’90 fu pure forza egemone nella regione del Nagorno Karabakh: l’enclave che si è separata dall’Azerbaigian in seguito a una guerra i cui esiti non sono però stati riconosciuti a livello internazionale.
Con un rapporto di forze attualmente di 75 anti-siriani contro 56 anti- siriani, gli armeni sono uno dei segmenti di elettorato che possono rovesciare la bilancia delle forze, e il Tashnag ha elevato il livello della propria intesa con Hezbollah, da una semplice convergenza tattica a un’alleanza vera e
propria. Una ragione è che gli armeni, unica delle comunità libanesi con una lingua distinta dall’arabo, tendono a considerarsi a parte rispetto sia alla contrapposizione cristiani-musulmani che a quella pro o contro la Siria, al punto che durante la Guerra Civile ai posti di blocco delle varie milizie di fronte alla domanda di rito “cristiano o musulmano?” tendevano a rispondere quasi sempre: “armeno”.
Il Tashnag sostiene che la coalizione di Hariri aveva offerto loro un seggio solo, con l’idea di dare gli altri ad armeni di partiti genericamente cristiani o interconfessionali; la coalizione di Hariri ribatte che glieli avrebbero dati anche tutti e sei, ma in cambio di un impegno preciso a integrarsi nella coalizione. Comunque, alla fine è prevalsa l’offerta assolutamente pragmatica con cui i filo-siriani hanno offerto loro il pieno controllo di tutti e sei i seggi armeni; e poi si vedrà.
Non c’è però solo la tattica. Anche in Siria vivono 200.000 armeni, e un altro mezzo milione stanno in Iran, dove la Costituzione riserva loro due dei quattro seggi cristiani in Parlamento e concede loro di gestirsi le proprie scuole. Insomma, in una forza pan-armena come il Tashnag c’è anche la
preoccupazione di salvaguardare queste minoranze. Ma più importante ancora è la convergenza che tra Iran e armeni si è creata in nome della comune avversione per il mondo turco. L’Iran, in particolare, ha aiutato in molti modi la guerra del Nagorno Karabakh contro i turcofoni azeri.
L’Iran dopo l’indipendenza armena dall’Unione Sovietica ha pure rappresentato il principale sbocco verso il mare per un Paese senza coste, e a cui la Turchia ha chiuso le frontiere fino al recentissimo appeasement. E l’Iran fornisce anche all’Armenia gran parte del suo fabbisogno energetico, in particolare attraverso un gasdotto di 140 Km che va da Tabriz a Sardarian: un tratto che ha
iniziato a funzionare il 20 dicembre 2006; che è stato ufficialmente inaugurato il 19 marzo 2007 con l’intervento dei due presidenti Mahmud Ahmadinejad e Robert Kocharyan; che è costato 220 milioni di dollari; cui si progetta di aggiungere ulteriori 197 Km, in modo da portare il gas fino al centro del Paese; e la cui capacità dovrebbe passare da 1,1 a 2,3 milioni di metri cubici all’anno entro il 2019. In cambio, l’Armenia restituisce 3 Kwh della sua energia idroelettrica per ogni metro cubo di gas.
Poiché l’Armenia dalla sua contrapposizione con la Turchia è anche sospinta nell’orbita russa, si dice che la pressione di Gazprom abbia “convinto” il governo di Erevan a ridurre il diametro dei tubi a soli 700 millimetri, rispetto ai 1420 originariamente programmati. Ma se davvero come si prospetta verrà costruita una seconda pipe-line di simili proporzioni, l’Armenia potrebbe diventare per l’Iran un ponte per esportare gas verso l’Europa.
La cooperazione Iran-Armenia comprende poi la costruzione di due centrali idroelettriche su quel fiume Arax che segna il confine tra i due Paesi. E una terza linea di trasmissione a alto voltaggio per collegare le due reti elettriche. E il memorandum che nel luglio del 2007 ha pianificato la
costruzione di una ferrovia e una raffineria che in territorio armeno e con capitale russo dovrebbe processare il greggio iraniano. Ci sono poi un’autostrada, intese commerciali, e perfino un accordo per realizzare assieme programmi televisivi.”
(1)Così mentre la politica e la diplomazia internazionale sono in pieno movimento - è da tenere presente soprattutto la coincidenza delle elezioni libanesi che precedono di poco il voto iraniano decisivo per una riconferma al vertice della presidenza della Repubblica Islamica di Ahmadinejad e del blocco conservatore - e tra Iran ed Armenia sembra scoccata l’ultima fase di una ‘luna di miele’ datata è altrettanto evidente che dall’enclave criminale sionista a sud non arrivano segnali affatto incoraggianti nè positivi sul futuro assetto del Vicino Oriente che dipenderà in gran parte anche dall’esito del voto libanese.
I massimi dirigenti sionisti hanno ripetutamente dichiarato di essere pronti a colpire Teheran anche senza appoggio a stelle e strisce da parte della nuova amministrazione statunitense. Le diffuse smentite delle ultime ore non possono lasciar dubbi di sorta che i progetti bellici sionisti siano a tutt’oggi in piedi: ne è una riprova la recente esercitazione militare effettuata da “tsahal” nelle zona compresa tra il Golan e l’alta Galilea, le reiterate minacce del premier sionista Benjamin Nethanyauh che ha sostenuto l’assoluta inconciliabilità del programma nucleare iraniano con gli interessi di sicurezza nazionale sionisti e in particolare i niet relativi alla proposta del presidente americano Barak Obama di dare una svolta al processo di pace per la Palestina concedendo una sovranità nazionale ed una piena autonomia al popolo palestinese. Una proposta apertamente rifiutata dal collega israeliano che ha categoricamente smentito l’amministrazione yankee sostenendo che “uno Stato palestinese indipendente non rientra tra gli obiettivi della politica
israeliana” e , di fatto, congelando qualsiasi ipotesi di riapertura dei negoziati anche nei confronti del vicino siriano.
Il presidente siriano Bashar el Assad lo aveva ribadito non più di due settimane or sono che “il solo ostacolo alla pace nella regione era costituito dall’intransigenza israeliana” e le parole di ethanyauh pare proprio confermare questa realtà fattuale. E che siano i sionisti l’ostacolo principale ad una pacificazione regionale sembra che sia un dato di fatto del quale ha preso coscienza anche il ministro degli Esteri italiano, on. Frattini, che visitando Damasco ha riconosciuto l’intransigenza dimostrata finora dall’esecutivo di Tel Aviv. Il responsabile della Farnesina , evidentemente
lasciatosi ‘fulminare sulla via di Damasco”, ha pagato dazio alla lobby sionista se - neanche un mese dopo queste sue avventate dichiarazioni - ha fatto retromarcia in occasione di una prevista visita in Iran e , senza alcuna motivazione realmente plausibile, ha annullato una sua visita di Stato nella Repubblica Islamica dell’Iran.
Nel frattempo nel paese dei cedri è stata smantellata una nuova rete spionistica israeliana con l’incriminazione, pochi giorni fa, di quattro cittadini libanesi sospettati di aver svolto in passato attivita di spionaggio a favore dei sionisti.
. Sale così a 23 il numero delle presunte spie incriminate negli ultimi mesi.
Le persone arrestate dallo scorso aprile sono invece 35, ha riferito all’Associated Press l’ufficiale di polizia Ashraf Rifi. Il Libano si considera ancora in guerra con Israele, e vieta ai suoi cittadini di avere qualsiasi
rapporto con il suo vicino. E’ prevista anche la pena di morte per coloro che collaborano o svolgono attività di spionaggio per conto di Israele. Il procuratore militare Saqr Saqr ha incriminato oggi quattro uomini per aver “collaborato con il nemico israeliano, aiutando le sue forze e fornendo
informazioni su postazioni civili e militari ed esponenti politici”, ha detto la fonte. Israele non ha finora rilasciato commenti su questa vicenda. Dei 23 incriminati alcuni sono ancora latitanti.
Mentre si è andata clamorosamente sgonfiando la vicenda relativa alla “Siryan Connection” in merito all’assassinio dell’ex primo ministro Rafiq Hariri - con la scarcerazione dei quattro generali libanesi arrestati nel 2005 e rimandati al Tribunale Speciale per il Libano istituito dalle Nazioni Unite - prende sempre più piede la “pista sionista” com’era anche logico che fosse: se la Siria è estranea - come hanno sempre affermato i partiti dell’Opposizione Nazionale fin dal febbraio 2005 - inevitabilmente dev’essere “Israele” il mandante della strage che, il giorno di San Valentino di quattro anni or sono, tolse la vita al primo ministro sunnita e ad una ventina delle sue guardie del
corpo.
In Libano i giochi politici sono abbastanza chiari e di una semplicità allucinante per chi non voglia utilizzare il paraocchi della propaganda filo- sionista e filo-americana dei partiti della maggioranza: il “gioco sporco” al rialzo condotto finora dai partiti filo-occidentali per mantenersi al potere ha
le ore contate anche se non mancano gli ultimi colpi di coda di una fazione politica probabilmente giunta al capolinea dopo aver subito una serie interminabile di smacchi tanto elettorali quanto tattico-strategici e anche militari. E’ di poche ore la notizia, diffusa dalla “Securitè Genèrale” di Beirut , relativa alla scoperta di una serie di documenti falsi di identità che servivano per portare alle urne soggetti non votanti. E’ quanto riferisce da Beirut il quotidiano “An Nahar” che, citando il ministro degli interni Ziad Baroud, parla di severe misure che sarebbero state adottate affinchè nessuno possa utilizzare questi documenti domenica prossima.
Il ministro ha anche precisato che le persone implicate in questa produzione su larga scala di false carte d’identità saranno chiamate a risponderne davanti alla giustizia. La campagna elettorale libanese, sulla quale si è profilata l’ombra statunitense con l’inopportuna e assolutamente tendensiosa visita di due settimane fa del vice-presidente statunitense Joe Biden (che Hizb’Allah ed i suoi alleati hanno ritenuto giustamente come una palese interferenza negli affari di Stato libanesi), scorre dunque verso la sua conclusione tra nuove polemiche e provocazioni ma sostanzialmente senza alcuna reale tensione che possa contribuire a mettere in discussione la legittimità del voto di domenica prossima.
Un voto che per Hizb’Allah significherà quasi sicuramente un trionfo e che dovrebbe portare ai partiti dell’Opposizione un numero sufficiente di seggi (tra i 67 ed i 70 previsti dagli opinionisti locali e dalla stampa araba) per ottenere finalmente la maggioranza parlamentare.
Nell’ultimo discorso, teletrasmesso dalla televisione “Al Manar” dal caposaldo del movimento sciita - Ba’albak nella Beka’a , tradizionale roccaforte dei fedeli di Nasrallah e luogo di fondazione e nascita del partiti di Dio - il segretario generale del partito filo-iraniano , Sayyed Hassan Nasrallah, ha ribadito che non vi saranno sorprese dalle urne e che Hizb’Allah vincerà queste elezioni ottenendo una sicura maggioranza per dare una svolta radicale alla politica del paese.
Parlando da un maxi-schermo il capo di Hizb’Allah ha anche sostenuto una volta di più che il suo movimento “non può essere disarmato con la forza o con il ricorso alle pressioni della comunità internazionale” perchè “il diritto alla Resistenza contro l’occupazione è un diritto inalienabile del popolo libanese e di tutti i popoli che soffrono nella regione” chiaro riferimento alla confinante Palestina ed al vicino Iraq.
“Voi - ha dichiarato Nasrallah ai suoi sostenitori - e la vostra resistenza siete in grado di far fronte contro il nemico sionista. Avete spianato la strada per fare del nostro paese, del Libano, la zona più forte della resistenza contro “Israele” e contro l’imperialismo internazionale” ricordando i sacrifici , anche in vite umane, sostenuti dal popolo libanese durante la sanguinosa aggressione israeliana dell’estate 2006 e , precedentemente, durante i quasi vent’anni di occupazione sionista del Sud del paese di cui - lo scorso 25 maggio - è stata celebrata la liberazione (nono anniversario).
In particolare il segretario generale di Hizb’Allah ha ricordato al fronte occidentale della politica libanese che esiste e permane il problema dell’occupazione dei territori delle fattorie di She’eba e di Kfar Chouba mentre anche il villaggio libanese di Gajar - occupato tre anni fa - resta a tutt’oggi
saldamente in mani sioniste. Territori libanesi che Hizb’Allah intende riportare sotto la sovranità nazionale prima , eventualmente, di parlare di un improbabile disarmo della propria “milizia”. I sostenitori sciiti del Blocco della Resistenza non amano denominare come “milizia” la loro formazione di Resistenza Nazionale considerando che , proprio sulla dizione del movimento
armato del partito di Dio, si è giocato equivocamente negli ultimi quattro anni fin dall’applicazione della risoluzione Onu 1599 che decretava ed imponeva all’esecutivo di Beirut “il disarmo delle milizie”. Considerando che, esclusi i partiti politici palestinesi dotati ognuno di un loro servizio d’ordine all’interno dei dodici campi profughi disseminati dal nord al sud del paese, la sola possibile “milizia” considerabile tale è proprio la Resistenza Islamica sciita appariva fin troppo ovvio a chi si riferisse il documento delle Nazioni Unite ispirato e votato dal Consiglio di Sicurezza su pressioni dell’allora amministrazione statunitense Bush.
La situazione dunque appare ancor più chiara a poche ore dal voto di domenica che aprirà una nuova fase nella politica libanese e muterà il panorama geopolitico del Vicino Oriente come ha sottolineato anche il ministro degli esteri russo, Serghei Lavrov, per il quale “Hizb’Allah una volta maggioranza dovrà partecipare ad una conferenza internazionali” sul processo di pace regionale che Mosca intenderebbe ospitare nei prossimi mesi.
Lavrov e la politica vicinorientale russa , ritornati prepotentemente sulla scena regionale dopo la serie di smacchi subiti dall’amministrazione Bush e dopo il fallimento delle spedizioni militari a stelle e strisce in Iraq ed Afghanistan, hanno interesse a spostare il baricentro delle trattative e dei
colloqui di pace a Mosca. Come ha ribadito lo stesso ministro degli esteri russo lo scorso 23 maggio a Damasco al Presidente siriano Assad è necessaria “una sinergia di potenze mondiali” per riordinare “la regione mediorientale” e “scongiurare eventuali nuovi conflitti” che Mosca ritiene assolutamente catastrofici per tutta le popolazioni di tutta l’area e per la politica internazionale. Lavrov ha anche avuto un incontro in occasione della sua visita nella capitale siriana con il capo in esilio del movimento palestinese di Hamas, dr. Khaleed Meshaal.
Mentre Washington perde colpi ed il burattino delle lobbies sioniste Baraq Obama in queste ore è in visita in alcune capitali arabe per riannodare improbabili relazioni tra Stati Uniti e mondo islamico (dopo otto anni di odio neoconservatore e di tensioni scatenate ovunque dalla superpotenza a stelle e strisce) , Mosca e la Russia rilanciano il dialogo e la distensione internazionale in vista di un nuovo assetto di potere mondiale dopo il fallimento dell’utopia dell’One World e del mondo nipolare a stelle e strisce e la strategia dei falchi di Washington di imporre anche manu militare
improbabili “scontri tra le civiltà”.
A Damasco il capo della diplomazia del Cremlino ha sottolineato la necessità di fuoriuscire da quest’epoca di instabilità e tensioni planetarie e, poche ore dopo, è stato ospite della conferenza dell’Organizzazione della Conferenza Islamica (OCI) che si è svolta nella stessa capitale siriana nello stesso periodo.
Il Libano , in queste ore di attesa prima del voto di domenica, sempre più ago della bilancia del futuro dell’intero Vicino Oriente: da Beirut a Teheran si profila un trionfo delle forze anti-sioniste e anti-imperialiste dell’Islam shi’ita. Segnali di un cambiamento nella politica mondiale, segnali di
distensione. Soprattutto segnali che determineranno la fine delle utopie mondialiste e dei sogni imperial-espansionistici della superpotenza a stelle e strisce e dei suoi alleati sionisti.
DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI
Direttore Responsabile Agenzia di Stampa “Islam Italia”
H.D:
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