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12 06 2009 - I mercanti sperano nell'ex premier:
Il potere del Bazar ha scelto Mousavi CLAUDIO GALLO per la stampa
TEHERAN
Il Gran Bazar di Teheran non è un mercato coperto, è un centro pulsante della vita economica e politica del Paese. Difficile vincere le presidenziali se i bazaris mostrano il pollice verso. Per cercare di capire che cosa succederà nel voto di oggi non c.è posto migliore del conglomerato di botteghe che corre per otto chilometri nel Sud della capitale. Meno affascinante di quelli di Istanbul e Damasco, il Bazar è stato costruito intorno a un nucleo di baracche artigianali un secolo e mezzo fa. Rispettando la scenografia del potere, sorse accanto al palazzo Gulistan dove regnavano gli shah Qajar. La moschea il palazzo e il mercato, l'antica tripartizione indoeuropea sopravvissuta alla storia sotto nuove spoglie. Oggi è insieme la vigilia del voto, che si è sostanzialmente ridotto a una sfida tra Ahmadinejad e Mir Hossein Mousavi, e il giorno prima della chiusura del venerdì. La gente fa la spesa per il weekend islamico.

Sotto le volte ad arco di mattoni rosati, i negozietti s.incastrano uno dentro l.altro, uno sopra l.altro, come se un terremoto li avesse schiacciati insieme. Un negozio che vende jeans all.ingrosso ha sulla vetrina i ritratti di Khatami e Mousavi ma gli impiegati non vogliono parlare. Carretti colmi di merci da scoppiare passano a tutta velocità, trainati da uomini-cavallo con tanto di bardatura. Hanno la precedenza e quando arrivano bisogna scansarsi se si vogliono salvare le caviglie. Ci si tuffa nel negozio di tappeti dell.
ingegner Khalil Neyshapouri. Alto, stempiato, 58 anni, veste un elegante completo di lana leggera. Lui è sicuro, «la maggioranza dei bazaris voterà per Mousavi. Il mio cuore è con Rezai (il conservatore ex comandante dei pasdaran) ma voterò Mousavi perché voglio che Ahmadinejad se ne vada». Sul muro, una grande calligrafia su seta, dentro una pesante cornice di legno: è una sura del Corano che si espone per scacciare il malocchio. Khalil la guarda di sfuggita, ci siamo capiti.

Il fatto che molti pensino di votare per Mousavi è un segno dell.
insoddisfazione per Ahmadinejad. Storicamente il candidato d.opposizione non è un amico dei commercianti. Nel 1981 quando era premier cercò di strappare il controllo del commercio estero ai bazaris per creare una rete di cooperative che offrissero ai poveri merci a prezzi più bassi. Quando il duello governo- mercanti divenne troppo acceso, intervenne Khomeini per riaffermare i diritti del Bazar. Il leader supremo decretò: «Finché c.è Islam, c.è libero commercio».

Il Bazar è una città nella città, dentro c.è la moschea dell.Imam Khomeini, una stazione dei pompieri e la chiesa armena di San Taddeo. S.incontrano i volti affilati dei persiani, quelli pallidi e carnosi degli azeri, la pelle di cuoio e gli occhi sottili dei turco-mongoli. La potenza del bazar è la vendita
all.ingrosso, oltre la metà delle transazioni passa di qui, insieme al 15% del
credito privato. Una forza economica che si trasforma in potere politico. La
prima Costituzione nacque nel 1905 da una rivolta dei bazaris contro il
tentativo dello Shah di controllare il commercio e nella rivoluzione islamica
del 1979 erano in prima linea contro Mohammed Reza Pahlavi.

Mehdi Ghadiri, 33 anni, baffi spioventi, occhi e capelli neri, se ne sta
impalato con le braccia conserte nel suo negozio di tappeti in attesa di
turisti. In mezzo alla bottega campeggia una foto da scuscià di Ahmadinejad.
«Secondo me - dice - la maggior parte di noi vota per lui. Abbiamo bisogno di
un Presidente per bene, onesto, un grande economista (sic). Una persona normale
come noi». Accanto un vecchio sgrana un rosario islamico, annuisce. Nel vicolo
dove si vendono vestiti, Nader Azizi, 41 anni, sorriso smagliante sotto i baffi
a manubrio è per Mousavi. Dice: «Vincerà al secondo turno 52 a 48. Ahmadinejad
ha messo il Paese su una strada senza uscita, dobbiamo cambiare». Comincia una
discussione con il vicino di banco. Si concorda che gli attacchi furibondi e
minacciosi di Ahmadinejad ai rivali sembrano rivelare la paura della sconfitta.
Arriva un vassoio di bicchierini di tè fumante con cubetti di zucchero da
mettere in bocca prima di bere. Fa scalpore che l.ex Presidente Rafsanjani, l.
uomo più ricco dell.Iran, abbia scritto una lettera alla Guida Suprema Ali
Khamenei per lamentarsi degli attacchi del Presidente: gli dà del ladro a ogni
comizio «indebolendo così le istituzioni islamiche». Per tutti è il segno che
Ahmadinejad ha perso il controllo. Nader guarda un santino di Mousavi e si
sfrega le mani.

Ma la battaglia non è affatto decisa. Mehdi Abdolrahman, 28 anni, è
appoggiato al bancone del suo negozio di elettrodomestici. Al polso porta la
fascia tricolore dei sostenitori di Ahmadinejad: «Vincerà perché sta dalla
parte della gente. In politica estera ha fatto tanto, ha attaccato i ladri e
aiutato i poveri». Sintetizza perfettamente i tre pilastri della martellante
campagna di Ahmadinejad: aiutare i poveri, combattere la corruzione e dare all.
Iran un.immagine da potenza mondiale. Pochi motivi non troppo elaborati che
hanno conquistato i cuori delle masse ma anche quello di un bottegaio
benestante. Si getta nella discussione Mohammad Safari, 60 anni. Lavora a Qom,
al mausoleo di Hazrat Maassoumeh, si vanta di aver fatto il pasdaran nella
guerra con l.Iraq e di essere pronto a tornare in prima linea. Spiega: «Conosco
il dottor Ahmadinejad da quando era sindaco di Teheran. Persona per bene, un
vero servo del popolo. Solo lui riesce a tenere testa ai nostri nemici: America
e Israele». «Già, quando era sindaco una delle sue rivoluzioni furono ascensori
separati per uomini e donne» bisbiglia una signora con spolverino grigio e velo
nero che passa con un.enorme sporta piena di frutta.

Hormoz Kardo, 26 anni, giornalista, sta comprando un pacchetto di Winston Ultralight: chiede che non si scriva il suo vero cognome. Dice: «Spero che vinca Mousavi. Questa elezione è una grande opportunità. Vogliamo lasciarci alle spalle la stagione di Ahmadinejad: l.era dell.isolazionismo e del populismo. Dopo 20 anni di assenza dalle scene Mousavi è visto come un volto nuovo ma il suo curriculum di primo ministro è incoraggiante: negli otto anni di guerra con l.Iraq è riuscito a salvare l'economia. Oggi deve fare il bis».
Il Bazar piomba nel buio ma il suo potere invisibile non si spegne mai. Vedremo oggi se avrà davvero messo da parte i suoi dissapori con Mousavi per scegliere il cambiamento.

G.C.

 
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