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Trestimonianze e immagini in mostra a Pordenone fino al 30 giugno
da IL POPOLO online del 20/6/09
La coscienza può attendere E’ il titolo ed insieme la domanda, na provocante domanda che a tutti noi rivolgono le "Immagini e testimonianze" dell’eccidio degli Armeni, mostra allestita nel chiostro dell’ex convento di S. Francesco a Pordenone, luogo il più adatto per il suo carattere raccolto e silenzioso, ad una osservazione attenta e meditata delle opere esposte. Uno sterminio dimenticato per molti decenni, ma tenuto sempre vivo dalla memori; di chi fu testimone di quegli eventi lontani nel tempo e ne ha tramandato il ricordo attraverso fotografie e documenti. Fotografie sbiadite ma non meno significative, scattate di nascosto da Armin T. Wegner, scrittore e poeta, volontario in Turchia ai tempi della grande guerra (1915-1818), conservate, ed oggi, esposte perché la memoria non si cancelli e non si dimentichino le sofferenze e le atrocità compiute sull’inerme popolo armeno dai Turchi, quando ancora esisteva l’impero ottomano e, in Europa, infuriava la prima guerra mondiale. Ma molto prima di questi tragici eventi, verso la fine dell’800, era cominciato il dramma di queste genti, eredi di una antica civiltà, di una antica cultura, anche se la loro regione, un vasto altopiano, tra le aspre montagne del Caucaso, era situato in un luogo impervio e lontano così da essere quasi sconosciuto. Impervio questo luogo, ma importante per la sua posizione come ci ricordano le grandi invasione che da oriente ad occidente, si sono succedute nel corso dei secoli. Eppure gli Armeni hanno sempre mantenuto la loro identità nella cultura come nell’arte di cui ancor oggi, rimangono importanti vestigia, come attestano, ad es.,le antiche, splendidi cattedrali, ormai in rovina, contemporanee a quelle bizantine, anche se diverse: più atmosferiche queste nella ampiezza degli spazi interni, più lineari quelle nella puntuale definizione delle strutture. La mostra è un dolente itinerario che si snoda drammatico nelle sue fasi e nei suoi momenti più terribili, quando la mano omicida giungeva nelle case, lungo le strade, ovunque l’odio e - il sonno della ragione - ,come direbbe Goja, era in grado di raggiungere persone inermi ed innocenti. Immagini di giovani donne e di fanciulli, di anziani costretti a fuggire dalle loro dimore per essere cacciati in luoghi desolati, dove non c’era presenza alcuna di un ricovero, di una pozza d’acqua. Soltanto il deserto con il suo terreno arido e desolato, dove il vento sollevava turbini di sabbia, soltanto le montagne rocciose che si stagliavano minacciose sui luoghi circostanti. In questi luoghi era l’andare di tante persone di ogni età che spesso cadevano per non più rialzarsi, che cercavano disperate un albero dove fermarsi, un ruscello ove dissetarsi. Perché ? Ci domandiamo sempre il perché dinanzi a simili eventi, a simili tragedie, ma non sappiamo spesse volte trovare risposte adeguate. Anche quando le troviamo cerchiamo di allontanarle, di dimenticarle perché ci toccano troppo da vicino e non desideriamo essere disturbati nel profondo della nostra coscienza. Oppure perché ci hanno insegnato, anche attraverso i libri di storia, che queste tragedie erano inevitabili, dovevano accadere per proteggere chissa quali presunte ideologie, chissà quali presunti principi. E così ci abbiamo creduto o abbiamo fatto finta di credere?, che certi misfatti erano o dovevano essere inevitabili. Per viltà ? Allora, ma
anche oggi, in questo nostro tempo. La coscienza può attendere? E’ l’interrogativo che la mostra ci pone e al quale dovremmo rispondere. Armin T. Wegner ci ha già dato la sua risposta che non ammette dubbi ed incertezze anche a rischio della vita, perché sarebbe stato fucilato, se trovato in possesso di quelle compromettenti fotografie. E noi ? Tant’é ! La mostra, organizzata dalla Associazione "Via Monereale" Porde-none, rimarrà aperta fino al 30 giugno, da lunedì a domenica dalle 16 alle 20. Per inf. 0434 363255.

Giulio Ragazzoni

G.C

 
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