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21 08 2009 - La Turchia in Europa. Beneficio o catastrofe?
di Anna Bono bono@ragionpolitica.it martedì 18 agosto 2009 Autore: Roberto De Mattei Editore: Sugarco Edizioni Prezzo: 15 € Pagine: 146 L'area di influenza della Turchia, che si estende dalla Bosnia alla Cina passando per Balcani, Caucaso, Kurdistan, Afghanistan, Tagikistan e Turkestan cinese, viene anche definita dai politologi «zona delle tempeste» perché presenta tutti i pericoli e le incognite del nuovo assetto mondiale, a partire dal jihadismo islamico che minaccia l'Occidente. Non per niente Samuel Huntington, nel suo celebre saggio intitolato Scontro di civiltà, indicava la Turchia tra gli stati situati su una delle «linee di faglia» lungo le quali cozzano e si fronteggiano le diverse civiltà del pianeta. In effetti nel paese convivono non meno di quattro identità concorrenti. La prima e più forte è quella islamica: il 98% della popolazione è di religione musulmana. La seconda è quella ottomana: l'impero comprendeva un centinaio di etnie e una ventina di religioni diverse, subordinate a quella dominante. Vi è poi l'identità nazionale turca, in cui confluiscono il panturchismo e il turanismo, che si affermò nella prima metà del Novecento grazie a Mustafa Kemal Ataturk. Infine vi è la componente europeizzante e filo-occidentale, costituita dalle élite intellettuali concentrate nella città di Istanbul. Ve ne sarebbe una quinta, quella cristiana, se non fosse stata estirpata quasi del tutto con la forza e la violenza: il genocidio dei curdi è forse l'episodio più drammatico di una persecuzione tuttora in corso. Per oltre un millennio la Turchia è stata una terra cristiana, ma ora non restano che circa 100.000 fedeli, alle prese con restrizioni al culto, intimidazioni e abusi e privi di rappresentanza politica, il che li colloca in una situazione molto simile alla dhimmitudine. Perciò, mentre nessuno dubita dell'utilità di una partnership europea con la Turchia, l'eventualità che venga accolta la sua richiesta di entrare a far parte dell'Unione Europea è valutata in maniera radicalmente diversa a seconda di come si interpretano i segnali lanciati dal suo governo e di come si valutano i rapporti di forza tra le maggiori componenti politiche del paese. Al di là di ogni altra considerazione, spiega a questo proposito il docente di Storia del cristianesimo Roberto de Mattei in un suo recente saggio, è indubbio che la Turchia in Europa assumerebbe un peso tutt'altro che marginale. Con 73 milioni di abitanti, e una previsione di 90 entro il 2023, sarebbe probabilmente la nazione più popolosa dell'unione e il sistema di voto dell'Ue le consentirebbe di avere un ruolo cruciale in ogni decisione, tanto più se si considera il fatto che gli immigrati turchi in Europa sono già adesso quattro milioni. Che cosa succederebbe, allora, nel caso in cui, come molti ritengono, l'Ue non fosse in grado di integrare una popolazione così consistente e soprattutto così estranea alla tradizione europea politica, culturale e religiosa? E, interrogativo ancora più pressante, se avessero ragione coloro che, come Bat Ye'or e Magdi Cristiano Allam, temono il realizzarsi di un piano islamico di conquista dell'Europa che l'ingresso della Turchia in Europa faciliterebbe notevolmente. «Grazie alle vostre regole democratiche vi invaderemo - disse alcuni anni or sono a Monsignor Bernardini, arcivescovo di Smirne, un alto funzionario islamico durante un incontro sul dialogo religioso islamo-cristiano - grazie alle nostre leggi religiose vi domineremo». Queste parole vengono prese con estrema serietà da coloro che credono sia in atto un'offensiva musulmana contro l'Europa. Ma anche chi non teme l'avanzata islamica e non crede a un piano di conquista europea già in atto, non può fare a meno di nutrire perplessità sull'effettiva adeguatezza della Turchia rispetto ai requisiti per l'adesione di nuovi membri fissati nel 1993 al vertice di Copenaghen e inseriti nel 2000 nel Trattato sull'Unione Europea: in particolare, l'esistenza di un'economia di mercato, in grado di competere entro lo spazio europeo, e di istituzioni politiche stabili che garantiscano democrazia, legalità e rispetto dei diritti umani universali, inclusa la libertà di religione e la protezione delle minoranze.

G.C.

 
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