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01 01 2009 - Erdogan e i cristiani. Poche promesse, zero fatti
Visita a sorpresa del premier turco a Bartolomeo I. Ma come altri gesti distensivi del passato, anche questo rischia di rimanere senza seguito. Le riserve di Benedetto XVI sull'ingresso della Turchia nell'Unione Europea.
La cautela della diplomazia vaticana

di Sandro Magister

ROMA, 27 agosto 2009 – Samuel Huntington definì la Turchia "un Giano bifronte", non sai mai se amico o avversario dell'occidente.

Il medesimo pensiero deve essersi affacciato nella mente di Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli, nell'accogliere il 15 agosto scorso il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan in visita all'orfanotrofio e al monastero di San Giorgio di Kudunas sull'Isola dei Principi, nel Mar di Marmara.

Era la prima volta che un primo ministro turco si recava nell'Isola dei Principi, tradizionalmente abitata da cristiani, e in un edificio, l'orfanotrofio, la cui proprietà, requisita dalle autorità turche, è stata attribuita al patriarcato ecumenico dalla corte di Strasburgo nel giugno del 2008.

Nel corso della visita Erdogan, accompagnato da quattro suoi ministri, ha pranzato con Bartolomeo I e con i rappresentanti delle minoranze religiose in Turchia – greci, armeni, ebrei, siro ortodossi e cattolici – ai quali ha assicurato garanzie contro ogni discriminazione religiosa ed etnica.

"Il mio prossimo va incontrato con amore perché è anch'esso creatura di Dio", ha detto Erdogan citando una massima di una confraternita sciita, quella dei mevlevi, sorta a Iconio nel XIII secolo con alcune particolarità riprese dal cristianesimo.

Richiesto di un commento, Bartolomeo I ha detto ad Asia News: "La presenza di Erdogan ci ha onorato e ci è stata data l’occasione di esporre direttamente i nostri problemi, benché lui ne sia già a conoscenza. Abbiamo invitato il primo ministro alla sede del patriarcato ecumenico e a Halki, ed Erdogan ha ringraziato per l’invito":

Halki è un'altra isola in cui ha sede il seminario di formazione teologica del patriarcato ecumenico, chiuso dalle autorità turche nel 1971. Lo scorso 10 giugno, a Bruxelles, Oli Rehn, responsabile per l’allargamento dell'Unione Europea e quindi per un eventuale ingresso della Turchia, ha dichiarato che tale ingresso è subordinato anche alla riapertura di Halki.

Entro dicembre del 2009 Erdogan dovrà presentare alle autorità di Bruxelles un resoconto dei progressi compiuti dalla Turchia nell'adeguarsi agli standard necessari per l'ingresso nell'Unione. Per il patriarcato, questo è un motivo in più per sperare che finalmente il seminario teologico di Halki riapra e ritorni alle sue funzioni.

Purtroppo, però, è avvenuto più volte che "Giano" abbia rovesciato le attese, mostrando a questa e alle altre minoranze religiose della Turchia il suo volto non amico ma ostile.

Per quanto riguarda il patriarcato, ad esempio, lo Stato turco continua a non riconoscergli la sua "ecumenicità" religiosa. Lo tratta alla stregua di un ente locale adibito al culto dei greco ortodossi, retto da un capo che deve essere cittadino turco dalla nascita, privo di personalità giuridica e quindi anche di diritti di proprietà. L'annichilimento del patriarcato – che oggi in Turchia è ridotto a poco più di 3000 fedeli – non ha sinora fatto intravvedere alcuna seria inversione di marcia.

Questo vale anche per le altre minoranze cristiane. La comunità più cospicua, quella degli armeni, è stata falcidiata meno di un secolo fa da un genocidio che le autorità di Ankara rifiutano di riconoscere, e oggi ne rimangono poche decine di migliaia, su una popolazione di oltre 70 milioni di abitanti quasi tutti musulmani. I cattolici sono circa 25 mila, con sei vescovi, i siro ortodossi 10 mila, i protestanti di varie denominazioni 3 mila.

Come Erdogan, ma non per le stesse ragioni, tutte queste minoranze religiose confidano ardentemente in un ingresso della Turchia nell'Unione Europea. Per esse, tale ingresso comporterebbe il riconoscimento di uno spazio di libertà che in caso contrario temono continuerà ad essere assai compresso.

Nella stessa Europa, però, queste loro ragioni ricevono scarsa considerazione. Vi sono governi, tra cui l'italiano e il tedesco, favorevoli all'ingresso della Turchia nell'Unione mentre altri, come quello francese, sono contrari. Sia i primi che i secondi ragionano comunque in termini di interesse nazionale. I calcoli sugli oleodotti e i gasdotti che provengono dai paesi dell'Asia centrale di lingua turca e di religione musulmana, passando dalla Turchia, hanno la preminenza rispetto a quelli riguardanti la libertà religiosa.

***

Su questo sfondo, la posizione della Santa Sede appare anch'essa bifronte.

Da un lato, la diplomazia vaticana tiene conto sia delle attese dei cattolici e delle altre minoranze religiose della Turchia, sia degli equilibri geopolitici che spingerebbero a un suo ingresso nell'Unione. Il più esplicito nell'esprimere questo orientamento cautamente possibilista è stato il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, in un'intervista a "La Documentation Catholique" dell'inizio del 2007.

Premesso che la Chiesa cattolica non ha un "potere particolare per favorire l'ingresso della Turchia in Europa o per opporvi un veto", Bertone disse in quell'intervista che "senza la Turchia l'Europa non beneficerebbe più di quel ponte tra l'Oriente e l'Occidente che questo paese è sempre stato nel corso della storia. [...] Lasciare la Turchia fuori dall'Europa rischia inoltre di favorire il fondamentalismo islamista all'interno del paese".

Dall'altro lato, però, le autorità della Chiesa sono sensibili anche ai pericoli di tipo opposto che un ingresso della Turchia nell'Unione Europea potrebbe comportare: non una benefica integrazione della Turchia in Europa, ma una "catastrofe" per un continente che ha abdicato alla propria identità cristiana.

La parola "catastrofe" è nel titolo di un libro che è la sintesi più efficace di queste obiezioni. Il libro è uscito quest'anno in Italia e ne è autore Roberto de Mattei, storico, vicepresidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche e direttore della rivista "Radici Cristiane". Si intitola: "La Turchia in Europa: beneficio o catastrofe?" e opta decisamente per la seconda di queste due ipotesi.

In effetti i precedenti storici non sono incoraggianti. L'attuale Turchia è stata una delle aree più vitali del cristianesimo dei primi secoli e ancora all'inizio del Novecento, dopo secoli di dominio ottomano, manteneva forti impronte di questa sua identità cristiana, con numerosi fedeli. In pochi decenni anche queste impronte sono state quasi annientate dalla pressione congiunta del laicismo esasperato di un Kemal Atatürk e della rinascita islamista infine arrivata al potere con Erdogan.

Di questi pericoli Benedetto XVI è pienamente consapevole. Quando nel novembre del 2006 si recò in Turchia erano passati pochi mesi dall'uccisione di un sacerdote cattolico, Andrea Santoro, colpito a morte da un islamista fanatico, mentre era inginocchiato in preghiera nella piccola chiesa di Trebisonda.

Durante il suo viaggio in Turchia, Benedetto XVI non disse una sola parola circa l'ingresso di questo paese nell'Unione Europea. E la stampa internazionale interpretò quel suo silenzio come un assenso, avvalorato da alcuni commenti espressi da Erdogan dopo l'incontro col papa. Ma niente fa pensare che Joseph Ratzinger abbia attenuato, da papa, le forti riserve che aveva espresso in materia prima d'essere eletto successore di Pietro.

Ratzinger si pronunciò sul tema in due interventi ravvicinati dell'estate del 2004. La prima volta in un'intervista a Sophie de Ravinel per “Le Figaro Magazine” del 13 agosto:

“L'Europa è un continente culturale e non geografico. È la sua cultura che le dona una identità comune. Le radici che hanno formato e permesso la formazione di questo continente sono quelle del cristianesimo. [...] In questo senso, la Turchia ha sempre rappresentato nel corso della storia un altro continente, in permanente contrasto con l'Europa. Ci sono state le guerre con l'impero bizantino, la caduta di Constantinopoli, le guerre balcaniche e la minaccia per Vienna e l'Austria. Penso quindi questo: sarebbe un errore identificare i due continenti. Significherebbe una perdita di ricchezza la scomparsa della cultura in favore dei benefici in campo economico. La Turchia, che si considera uno stato laico, ma fondato sull'islam, potrebbe tentare di dar vita a un continente culturale con alcuni paesi arabi vicini e divenire così la protagonista di una cultura che possieda la propria identità, ma che sia in comunione con i grandi valori umanisti che noi tutti dovremmo riconoscere. Questa idea non si oppone a forme di associazione e di collaborazione stretta e amichevole con l'Europa e permetterebbe il sorgere di una forza comune che si opponga a qualsiasi forma di fondamentalismo”.

La seconda volta parlando agli operatori pastorali della diocesi di Velletri, il 18 settembre:

“Storicamente e culturalmente la Turchia ha poco da spartire con l'Europa: perciò sarebbe un errore grande inglobarla nell'Unione Europea. Meglio sarebbe se la Turchia facesse da ponte tra Europa e mondo arabo oppure formasse un suo continente culturale insieme con esso. L'Europa non è un concetto geografico, ma culturale, formatosi in un percorso storico anche conflittuale imperniato sulla fede cristiana, ed è un fatto che l'impero ottomano è sempre stato in contrapposizione con l'Europa. Anche se Kemal Atatürk negli anni Venti ha costruito una Turchia laica, essa resta il nucleo dell'antico impero ottomano, ha un fondamento islamico e quindi è molto diversa dall'Europa che pure è un insieme di stati laici ma con fondamento cristiano, anche se oggi sembrano ingiustificatamente negarlo. Perciò l'ingresso della Turchia nell’Unione Europea sarebbe antistorico”.

Da papa, Benedetto XVI ha sempre mostrato di avere a cuore, più che i destini politici della Turchia, la sorte dei cristiani di quel paese e gli sforzi di riconciliazione tra la Chiesa di Roma e il patriarcato ecumenico, con il quale i suoi rapporti sono eccellenti.

Ma la Santa Sede è pur sempre anche un attore politico. E per quanto riguarda l'ingresso della Turchia nell'Unione Europea, tra i pro e i contro c'è anche una via intermedia, che il Vaticano sembra più propenso ad appoggiare.

È quella che lo stesso cardinale Bertone ha fatto intravvedere nella citata intervista a "La Documentation Catholique": non un'integrazione piena della Turchia nell'Europa, ma una sua partecipazione al solo livello economico.

Il libro:

Roberto de Mattei, "La Turchia in Europa: beneficio o catastrofe?", Sugarco, Milano, 2009, pp. 152, euro 15,00.

G.C.

 
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