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19 09 2009 - «Il mio grido contro l'orrore del '900»
festival è cominciata nel segno delle donne e adesso sta entrando nel vivo
Cristina Savi
Antonia Arslan presenta "La strada di Smirne", secondo libro della trilogia sulla strage degli armeni. «L'odio va sconfitto con l'amore. Mi batto perché la nostra storia non sia dimenticata» Pordenonelegge comincia nel segno delle donne. È accaduto mercoledì con Claudia Koll che ha letto liriche dedicate alla Madonna. Ieri la sala di palazzo Gregoris si è riempita per ascoltare Antonia Arslan e oggi pomeriggio questa decima edizione sarà inaugurata da Margaret Mazzantini. Naturalmente, il programma prevede decine di altri incontri, ma è bello pensare che stavolta le protagoniste al femminile siano più in prima fila di altre occasioni. Tutto a vantaggio di Pordenonelegge, come è accaduto ieri con la Arslan. È un sollievo rivedere Antonia Arslan. Si era temuto per la sua vita, alcuni mesi fa, dopo il ricovero urgente per una setticemia fulminante.
Ma l'autrice del pluripremiato La masseria delle allodole ha avuto la meglio su quel male improvviso: la voce degli armeni in Italia è più forte che mai.
È che quella brutta parentesi della malattia ha lasciato un segno profondo. La Arslan non ha ancora cancellato il ricordo di quelle dita gonfie - al risveglio - che sul foglio «riuscivano a tracciare solo qualche lettera sghemba», facendole temere seriamente di non poter più scrivere. E così, ieri sera, al pubblico affettuoso che affollava palazzo Gregoris, ha fatto capire che è ancora lontana dalla pubblicazione dell'annunciato terzo libro della "trilogia". Quello più difficile, perché parlerà di lei.
«Per ora ci sono molti fogli, appunti, due o tre pagine già scritte, qualche personaggio che si affaccia, ma deve maturare ancora un po'. Dovrebbe intitolarsi Autunno a Tudor City, che è un quartiere di New York».
Un po' di pazienza perché, nel frattempo, la Arslan sta anche pensando di scrivere qualcosa della malattia, ma nessun timore. L'ex professoressa di letteratura non ha intenzione di smettere di raccontare la tragedia di un popolo che ancora fatica a diventare memoria collettiva. Non può più farne a meno. Dopo la Masseria la sua vita è un tour continuo, la chiamano ovunque, per"gridare" forte cosa fu quella strage e far sì che la sua voce sconfigga il silenzio su quella pagina infame. Perché la storia della sua gente non vada perduta.
Straordinariamente comunicativa e umana, la Arslan - che ha riscoperto le proprie radici armene traducendo le opere del poeta Daniel Varujan e che nel 2004 ha dato voce alle memorie familiari appunto ne La masseria delle allodole (subito un best seller, pluripremiato e diventato anche un film diretto dai fratelli Taviani) - era ospite di Pordenonelegge per presentare il secondo libro della trilogia, La strada di Smirne. L'attesissimo seguito di uno dei romanzi più letti in Italia negli ultimi anni racconta un altro episodio della saga familiare, muovendo dalla storia di quattro bambini e della loro madre che, scampati al massacro degli armeni, si stanno imbarcando su una nave inviaggio verso Venezia.
Dialogando con Carlo Scaramuzza, la Arslan, attraverso i personaggi del libro ha toccato il tema dello sterminio organizzato («Il lato oscuro del '900, che è stato un secolo di progressi straordinari»), della brutalità dell'uomo e del male assoluto senza mai ricorrere a parole d'odio e, come sa bene chi conosce il suo lavoro, facendo sempre affiorare l'antidoto al male: l'amore.
Prima dell'incontro con la scrittrice, a palazzo Gregoris è stato presentato il volume Memoria e deportazione. Curato da Stefano Bortolus e Barbata Tomasella,raccoglie gli interventi di autori che hanno partecipato al ciclo di incontri organizzato dalla meritoria giovane associazione pordenonese Aladura nella scorsa stagione sullo stesso tema, tra i quali anche Boris Pahor e la stessa Arslan.(18 settembre 2009

G.C.

 
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