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I GRANDI DI COMO- ARAM MANOUKIAN
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[http://webstorage.mediaon.it/media/2009/09/89998_1085226__AND1234_6_8785014_medium.jpg]
di Giuseppe Guin
È una storia lunga centocinquant’anni. Da quando Christian Lechler, nel 1858, aprì a Stoccarda la prima fabbrica di vernici e da quando, nel 1910, a Ponte Chiasso, la Lechler divenne italiana.
Oggi, al vertice della Lechler, c’è Aram Manoukian, 50 anni, primo dei dieci figli di Noubar. Produce ogni anno 15 milioni di litri di vernici, ha un fatturato di 110 milioni, 500 dipendenti, 2 stabilimenti, 4 filiali estere e clienti in 50 paesi del mondo.
Dottor Aram, ne sono passati di anni e oggi la Leachler colora persino il casco di Valentino Rossi.
Siamo fornitori dei principali produttori di caschi, dalla Nolan, alla Agv di Valentino Rossi, fino alla Bieffe di Schumacher.
Un tocco Lechler c’è anche sulle auto della Ferrari!
Parecchie componenti interne della Ferrari, sia da strada, che da Formula Uno, hanno vernici nostre, che garantiscono la massima affidabilità.
Dicono che sia targato Lechler anche lo yacht di Cavalli e pure quello di Sabrina Ferilli.
La nautica è uno dei nostri quattro business. La barca di Cavalli è particolare, perché cambia continuamente colore a seconda della luce e della inclinazione dello scafo.
E dove altro avete piazzato le vostre vernici?
Lechler fa prodotti vernicianti da quando sono nate le prime carrozze, poi le auto in legno, passando dai treni, all’edilizia, all’industria, fino ai restauri del Teatro Sociale a Como.
Fino, anche, all’elicottero di Giugiaro e agli aerei della Nato.
Gli esempi potrebbero continuare. La Papamobile del 1925, usata da Pio XI, è stata recentemente restaurata con vernici Lechler e c’è pure una stravagante Fiat 500 "Pepita", color oro, voluta da un magnate russo.
Ma è vero che lei, in realtà, avrebbe preferito fare l’architetto!
Era la mia ambizione. Ma mi accorgo che sto conducendo l’azienda proprio con questo taglio. A me piace progettare e dell’azienda guardo il futuro, quello che dovrà diventare.
Dicono che senza giacca blu e bottoni d’oro, non si senta a suo agio.
Una volta ero davvero così. Avevo una decina di giacche blu con i bottoni dorati, era una sorta di divisa. Ma poi sono cresciuto.
Ma è comunque rimasto il Paul Newman del lago di Como.
Ma no! Ma chi dice queste cose? Piuttosto, qualche mio amico, scherzando, mi diceva che ero il sindaco di Celerina, ma solo perché avevo la passione per lo sci e ci andavo spesso.
Proprio quegli amici, però, dicono che lei, non solo è bello, ma sa anche di esserlo.
Ma no, sono chiacchiere di quando si era ragazzotti e si scherzava.
Sarà, ma si dice che lei si sia sposato tardi, proprio perché aveva troppe donne che la rincorrevano.
Anche queste sono leggende. Di certo so che ero malvisto in quel di Bergamo, perché lì c’era la mia fidanzata, che poi è diventata mia moglie.
Rubava le donne ai bergamaschi?
Quando andavo al solito bar del centro, in effetti mi accorgevo che non ero ben visto, proprio perché… ero un concorrente venuto da fuori.
Lei è Aram: I suoi fratelli: Vartan, Anoush, Vartui, Any, Onnik, Vasken, Sossy, Karin, Mannik…. Ma nella vostra famiglia un nome, diciamo, "normale" non c’è?
La mie due figlie hanno nomi italiani. La cosa curiosa è che io, che ho il cognome armeno, Manoukian, ho dato dei nomi italiani ai miei figli, alcuni mie cugine, invece, che sposandosi hanno perso il cognome, hanno dato, ai loro figli, dei nomi armeni.
Un esempio è una Manoukian che ha sposato un Versace e ha chiamato il figlio Onnik Versace.
Quello è un esempio. Questo significa che tutti noi siamo molto legati alle nostre radici armene.
Ma quanto pesa l’origina armena nella sua vita di oggi?
Portiamo tutti con orgoglio questo cognome. E ci sentiamo tutti "figli" di un grande nonno, Onnik, che ha vissuto la sua origine armena con la malinconia nel cuore e negli occhi. Un uomo che soffriva per non avere più una patria. Spesso ci diceva: «Voi siete fortunati, perché una patria ce l’avete!».
Siete in dieci figli, finirete anche voi con il litigare, come è successo in tante grandi famiglie?
Penso proprio di no. Nella nostra formazione c’è un senso molto alto del valore della famiglia.
Ma non sarà facile andare d’accordo così in tanti.
La grande forza di questa famiglia, quello che rende orgoglioso me e anche i miei fratelli, è il riuscire a restare sempre uniti, dialogando sempre.
Un caposaldo tramandato dal nonno Onnik e dal padre Noubar.
È un valore che ci arriva da molto lontano, dal nostro avere origini armene, un popolo che ha vissuto la diaspora.
Che cos’era la famiglia, per papà Noubar?
Mio padre ha vissuto l’intera vita per la famiglia e per la sua unità. Della famiglia aveva un concetto permeato da un profondo senso religioso.
Siete l’ultima famiglia patriarcale.
Non so se l’ultima, ma abbiamo questa struttura e ci stiamo bene.
Ma quando vi trovate per il pranzo di Natale quanti siete?
Circa una cinquantina, ma non ci troviamo soltanto per il pranzo di Natale. I Manoukian sono una community ampia e anche molto legata.
Ma la parola Manoukian è completamente sinonimo di Opus Dei?
Non necessariamente. Mio zio Armen è stato uno dei fondatori italiani dell’Opus, mio padre ne faceva parte, così pure alcuni miei fratelli. Per cui l’Opus Dei è certamente presente nella mia famiglia
Lei però, diciamo, è rimasto, tra virgolette, "indenne".
Io sono cattolico e anche praticante, ma non sono appartenente all’Opus Dei, che pure rispetto e apprezzo.
Ma quel fatto inspiegabile alla morte di suo padre?
Io ho assistito e non so spiegarmelo. Mio padre era in agonia. Mio fratello, sentendo alla radio che quel giorno era la festa di un particolare santo, l’ha cercato in Internet e ha lasciato quell’immagine sullo schermo del computer acceso.
E alla morte l’immagine è sparita?
Appena mio padre è morto, l’immagine è scomparsa del monitor. Io non voglio dare alcun significato a questo fatto. So solo che è successo e tra noi fratelli ci siamo guardati molto stupiti.
Ma, oggi, la Lechler è una di quelle aziende casualmente sul territorio comasco o ne vive la realtà?
No, no. L’azienda vive la realtà di Como. Io personalmente mi sento quasi in obbligo nei confronti di questo territorio e, quando posso, partecipo al mondo associativo, sociale, solidale. Ho un rammarico: scoprire che a Como esiste una forte conflittualità tra gli enti e vedo poca disponibilità ad allearsi per fare delle cose insieme.
Il solito vecchio problema del non sapere fare squadra.
È un peccato, perché Como ha delle grandi potenzialità che naufragano nelle divisioni e nelle conflittualità. Io sono convinto invece che la ricetta vincente nelle aziende e nella società sia quella delle alleanze.
Le industrie chimiche sono nel mirino per l’inquinamento.
Qui non esiste inquinamento. Uno degli investimenti più significativi è stato un impianto di raccolta dei fumi delle lavorazioni, costato un milione di euro. Abbatte ogni tipo di inquinamento atmosferico.
Ancor più nel mirino, la sicurezza. Nella vostra storia c’è un incidente con tre morti.
Un dramma avvenuto nel 1963 nella sede di Ponte Chiasso. Oggi, però, un incidente come quello non potrebbe più ripetersi. Abbiamo raggiunto ottimi livelli di sicurezza e le normative, giustamente molto rigide, danno altissimi margini di garanzia.
In arrivo due anni di celebrazioni.
Mio zio, Agop, sta preparando due libri che ricorderanno due date importanti, il 2008, che segna i 150 anni di storia del marchio Lechler e il 2010, che segna i 100 anni della Lechler italiana.
Buon compleanno. Oggi, anche Onnik sentirebbe di avere una patria.
G.C.
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