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VOCI DALLA DIASPORA «Non si cancelli l’orrore»
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Domenica 04 Ottobre 2009 CRONACA Pagina 19
VOCI DALLA DIASPORA. Sonia Balasini Shaghoyan riferisce la posizione della piccola comunità che si è stabilita e vive nella nostra città ormai da alcuni decenni
Gli armeni veronesi
«Non si cancelli l’orrore»
Tra pochi giorni a Zurigo si firma lo storico trattato tra Armenia e Turchia ma i discendenti degli scampati allo sterminio non ne sono contenti
[//GONJPG/200910/BASSE/04_19_are_f1_315.jpg] Neanche lo sparuto gruppetto di armeni della diaspora che risiedono a Verona è felice di quanto sta avvenendo in questi giorni, ossia lo storico accordo tra la Turchia e la Repubblica dell’Armenia, nata dopo la caduta del Muro di Berlino dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, che dovrebbe essere firmato a Zurigo il 10 ottobre.
«Anche qui la maggioranza di noi non vuole che si dimentichi il genocidio», dice Sonia Balasini Shaghoyan, armena in esilio di terza generazione, giunta in riva all’Adige dopo aver sposato un italiano. «La sofferenza per la diaspora è ancora troppo forte. Nessuno di noi dimentica che siamo fuori dal nostro Paese, lontani dalla terra dei nostri padri e con l’impossibilità di tornare. Il nostro è un dolore nascosto nel cuore, è lì che sembra addormentato, invece basta un nulla e si risveglia. E stavolta non si tratta proprio di un nulla. Non si può cancellare lo sterminio del popolo armeno, né tutte le sofferenze dei sopravvissuti e dei loro figli e dei figli dei figli».
UN TRATTATO «NECESSARIO». Attualmente Turchia e Armenia non hanno relazioni diplomatiche e le loro frontiere sono chiuse dal 1993. Ciò ha portato all’appoggio turco all’Azerbaijian nel conflitto per il Nagorno-Karabakh, enclave armena in territorio azero, e alle violente reazioni turche al riconoscimento internazionale del genocidio armeno del 1915. Il timore della quasi totalità dei nove milioni di armeni che sono dispersi ai quattro angoli del pianeta è che Serge Sarkisian, presidente dell’Armenia, dove vivono solo tre milioni di persone, firmi senza ottenere in cambio il riconoscimento, dopo 94 anni, dello sterminio di un milione e mezzo di armeni che vivevano all’interno della Turchia e delle deportazioni di massa, che poi hanno portato alla dispersione in tutto il mondo dei sopravvissuti.
UN SILENZIO DI DECENNI. «Ogni famiglia, come hanno dimostrato i libri di Antonia Arslan, ha una sua storia di orrore da raccontare e tramandare ai posteri», riprende la Shaghoyan. «Magari, rispetto ad altri popoli che dopo hanno subito genocidi simili ai nostri, siamo stati più riservati, nella convinzione che a nessuno interessasse il nostro dolore. I primi che avevano subito le persecuzioni avevano persino paura di parlare. E quanti erano finiti in Paesi musulmani ancora di più. Solo col tempo e solo in Europa e in America i racconti sono cominciati a emergere. Noi cerchiamo di preservare la lingua e la cultura dei nostri antenati ovunque ci troviamo, ma la prossima generazione?».
LA STORIA DEL NONNO. La famiglia della Shaghoyan è originaria di Mush, sul lago di Van. «Entrambe le mie nonne», racconta, «fuggirono dall’Anatolia verso la Siria. Fu una marcia terribile, una perse tre figli e il marito, l’altra ebbe altri lutti. Giunta in Siria, che era una colonia francese, gli armeni ebbero un pezzo di terra paludosa da bonificare e trasformare in villaggi. Qui la nonna materna conobbe un uomo più giovane di lei di tre anni, lo sposò ed ebbe mia madre. Il nonno, che era un cristiano molto fervente, un vero credente, si era salvato miracolosamente. Quando scoppiò la guerra aveva 18 anni», continua la Shaghoyan, «e fu chiamato sotto le armi dall’esercito turco. Avendo però sentito che gli armeni venivano uccisi, decise di scappare. Un giorno, passando davanti a una villa di armeni ormai disabitata, vide su una finestra una grande Bibbia istoriata del 1700. “Questa mi salverà”, si disse, e la mise sotto il cappotto. Il giorno dopo, in un altro villaggio, fu catturato dai turchi. Assieme a tutti gli altri maschi armeni fu portato davanti a una grande fossa. E lì avvenne l’esecuzione di tutti. Il nonno, che era piccolo, sempre aggrappato alla sua Bibbia, si lasciò cadere a terra un attimo prima che sparassero. Gli altri gli caddero addosso e lo nascosero. Riuscì così a farsi passare per morto. Quando calarono le tenebre, strisciò fuori dalla fossa comune, che per fortuna non era stata coperta subito, e corse tutta la notte per scappare lontano. E così fece notte dopo notte finché non giunse in Siria. Dove incontro la nonna».
Quando la mamma della Shaghoyan si sposò si trasferì con il marito in Libano, dove nacque Sonia, che qui nel 1980 conobbe il signor Balasini. Si sposarono e nel 1983 venne a vivere in Italia. Ma questa è un’altra storia.
G.C.
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