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050612 - Il riposo dell'armeno
Dal Corriere del Mezzogiorno dell’11/7/05
Èda tempo immemore che anche gli Armeni, i popoli che nelle lontane terre caucasiche hanno subito violenze e pulizie etniche che sono all'origine di
tanti drammatici esodi dei nostri tempi, hanno avuto contatti con la terra pugliese. La Puglia è un ponte fra l'Oriente e l'Occidente e su questo ponte,
da secoli, passano - e addirittura hanno trovato e trovano poi salde radici - tante fasce del mondo orientale. Nel sangue pugliese s'annidano così tracce di popoli del passato e del presente, e gli Armeni ne costituiscono una fetta consistente, uniti in quel comune grembo materno che è il Mediterraneo. La loro
presenza in Puglia si avverte anche nei cognomi indubbiamente armeni di Armenise, Amoroso e Caccuri e Susca e Zaccaria e Marzapane e Trevisani, Pascali, Oliviero, e poi armeno è il nostro bel san Gregorio, proprietà della famiglia armena degli Adralisto che la vollero dedicare al loro santo nazionale, San Gregorio l'Illuminatore. Figlio di un principe rifugiato alla corte del re di Armenia, Tiridate II, convertì ? nel 302- quel popolo orientale alla fede cristiana. Non a caso Giovanni Paolo II, in un periodo che sapeva di nuovo di drammatici venti di guerra, andò in quella lontana terra alla ricerca
di quei fermenti di pace ancora più cari ai popoli che hanno sentito, in secoli e secoli, il continuo cavalcare dei cavalieri dell'Apocalisse. Brani della vita quotidiana armena nel cuore delle nostre terre appaiono nel Codice Diplomatico arese, volume IV: fra l'altro è registrata la curiosa, e furiosa, lite tra una matrigna e il figliastro per una grossa questione di eredità. Già, la grande storia attraverso ipiccoli fatti quotidiani. Un evento memorabile, per la nostra terra e gli Armeni, fu il loro arrivo nell'immediato primo dopoguerra.
Sfuggivano a tremendi eccidi e qui, a Bari, trovarono ospitalità. Fu loro offerto un terreno su quella che è oggi via Amendola e lì fu fondato un piccolo
villaggio armeno. Lo chiamarono Nor Arax, che sta per Nostra Patria ma anche per Nuova Patria o Nuovo Ararat. C'erano, fra quei profughi, Timurian Diran che
fondò un laboratorio per tessere tappeti (e oggi i suoi eredi sono ancora nell'arte degli stupendi tappeti esotici). C'era fra loro Hrand Nazariantz, il
poeta «cosmico» nato a Costantinopoli che cantò, con cuore di esule e altissimo dire, la tragedia della sua terra sino ad arrivare alla soglia del Premio
Nobel. Di questo grande uomo hanno parlato a lungo Pasquale Sorrenti e l'italianista Domenico Cofano, con libri di particolare impegno. Importante fu
per il villaggio armeno anche l'opera della Associazione degli Interessi per il Mezzogiorno che aveva un grande animatore nel raffinato letterato-archeologo Zanotti-Bianco, poi senatore e accorto consigliere, nella Seconda guerra mondiale, della principessa Maria Josè. Il senatore scrisse importanti pagine sull'evento riportate nel suo libro «Tra la perduta gente». Fra l'altro, in quel volume, Zanotti-Bianchi riportò le «lamentazioni», in dialetto, dei soldati italiani sui fronti della Prima guerra mondiale. Raccolsi quelle frasi struggenti, le passai a Michele Mirabella che le introdusse nel mio lavoro «Aminueamare» (Mandorle amare), di cui curava la regia. Tormando agli Armeni, il governo concesse- sono tuttora esistenti, e abitate - delle solide
baracche austriache, date all'Italia in conto riparazioni per i danni della Prima guerra mondiale. E gli Armeni lì ricostruirono fra i mandorli e gli
ulivi, un pezzo della loro terra. Hrand Nazariantz visse a lungo, sempre povero e ospite di amici, ora in questa ora in quell'altra casa, addirittura in
famiglie della provincia di Bari. Gli regalò un cappotto il commissario della Dogana Vittorio Laurora, un metro e novanta, voce tonante, un gran viso tagliato con l'accetta, valdese noto per il sua profondo impegno a favore degli
ultimi della terra. Il poeta armeno Hrand Nazariantz, eternamente povero sino alla fine dei suoi giorni, meritava dunque la sua attenzione e i suoi cappotti.
A tarda età, il poeta accettò di diventare cittadino italiano. Ci fu una breve cerimonia in Prefettura. Nazariantz così parlò a Sua Eccellenza,il Prefetto del
tempo: «Signor Prefetto, io sono grato all'Italia per l'onore che mi ha fatto, ma sono anche triste perché, in un giorno come questo, debbo constatare- e lo
faccio con molta umiltà- non ho in tasca il becco di un quattrino. Per questo sono il più povero dei cittadini italiani. Dobbiamo perciò brindare ad acqua». Una sera, parlando di Nazariantz alla libreria Palomar, leggemmo un pezzo di Pasquale Sorrenti nel quale era annotato che «...parlando con l'armeno Diran Timurian, uno del villaggio che si era fatto strada nella vita, ho saputo che le spoglie di Hrand non furono gettate nella fossa comune ma stanno in una tomba conosciuta dal Timurian. Ora Timurian è morto?». Quella sera, nella libreria c'era Rupen Timurian, il figlio di Diran. Si alzò, gli occhi pieni di lacrime, la voce gli mancava; riuscì a dire che Hrand Nazariantz era stato accolto nella loro cappella familiare.

V.V

 
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