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23 febb. 2010- Il dilemma di Ankara sognando l'Europa
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LA STAMPA
ENZO BETTIZA
Non a caso il premier turco Recep Tayyip Erdogan, scaltro manovriero e leader del filoislamico partito di governo Akp (targato «Giustizia e Sviluppo»), ha voluto denunciare l.arresto di oltre 40 esponenti militari, tra cui 14 di altissimo rango, proprio nel corso della sua visita ufficiale a Madrid.
Tra i diversi tavoli sui quali abilmente Erdogan punta le sue carte, quello europeo ha un posto preminente ed è la Spagna che da gennaio esercita la presidenza semestrale dell.Unione Europea. Egli finora, negoziando la lunga e difficile trattativa per l.ingresso pieno della Turchia nell.Ue, ha concesso agli europei diversi punti sulla questione dei diritti civili: abolizione della pena di morte, sospensione del reato d.adulterio per le donne, mano ammorbidita nei confronti della ribelle minoranza curda, mano tesa agli armeni con qualche promettente attenuazione del drastico negazionismo a proposito delle ondate genocide con cui i turchi, a cavallo tra Ottocento e Novecento, stroncarono il risveglio risorgimentale e culturale degli armeni cristiani.
Però la cosa che oggi maggiormente interessa Erdogan è di mettere, nel pacchetto delle concessioni democratiche all.Europa, la più centrale e spinosa fra le questioni di potere in Turchia. Il ruolo non solo politico, ma storico, dell.esercito. Furono difatti gli Stati maggiori sin dal 1923, dall.inizio della dittatura modernista di Kemal Atatürk, i garanti e custodi del lascito laico con cui il dittatore proveniente dalle caserme volle laicizzare ed europeizzare uno Stato nuovo sulle macerie dell.Impero ottomano. Nel corso del tempo, scomparso Atatürk e attenutasi la dittatura, i generali e i colonnelli, assistiti dal nerbo della magistratura secolarizzata, continuarono tuttavia a prodigarsi nella funzione di vigilissimi eredi del kemalismo. Erano soldati di mestiere e giudici costituzionali i controllori, ora flessibili ora intransigenti, dei governi civili e delle rispettive maggioranze partitiche che s.avvicendavano alla gestione dell.esecutivo. In più occasioni, 1960, 1971,
1980, interruppero con colpi di Stato la dinamica parlamentare istituendo governi militari di breve durata, volti a restaurare i princìpi kemalisti in un Paese nevralgico percorso da nazionalismi etnici e da insorgenti tentazioni islamiste; un Paese di oltre 70 milioni di abitanti eurasiatici, pilastro della Nato dal 1952, con un esercito convenzionale ritenuto secondo soltanto a quello degli Stati Uniti. Tale complesso militare-giudiziario ha visto profilarsi con orrore e tremore un pericolo nell.espansione crescente del partito Akp, che pur si dice moderato e sa temperare l.islamismo strisciante con forti iniezioni di liberismo economico. Il fatto che il musulmano Erdogan con moglie velata sia diventato capo del governo, e che il suo sodale Abdullah Gül con consorte altrettanto velata sia pervenuto alla presidenza della Repubblica, ha scatenato da tempo scandalo e rigetto fra i guardiani in uniforme di uno Stato a laicità ridotta. Ciò li ha spinti a minacciare una riscrittura della Costituzione e, più velatamente, a carezzare qualche ipotesi di una quarta o quinta prova di forza contro un governo deviato dai precetti di Atatürk.
Ma Erdogan ha saputo agitare e vendere sottilmente a Bruxelles fino a ieri, a Madrid oggi, lo spauracchio di un nuovo golpe castrense, antidemocratico, anticostituzionale, mirato a reprimere non solo le moderate istituzioni islamiche turche ma anche l.attività dei sindacati e dei partiti. Egli ha posto non più con le parole, ma con i fatti, gli europei custodi delle libertà civili davanti all.arresto di illustri ex capi della marina e dell.aviazione, accusati di aver ordito fin dal 2003 un piano pregresso di golpe, chiamato in cifra Bayloz («martello»), ai danni del governo legittimamente eletto dal popolo.
Denunciando i più sacri sopravvissuti della tradizione kemalista, screditati dalla stampa amica come membri dell.organizzazione terrorista Ergenekon, una specie di Gladio turca, Erdogan ha di fatto lanciato all.Europa la sfida o meglio l.enigma di un concetto ssimorico: se voi, europei, volete europeizzare davvero la Turchia, dovere condannare l.europeismo militarizzato ed eversivo degli stati maggiori e solidarizzare con l.europeismo evoluzionista e progressivo degli islamici moderati e non violenti.
A questo punto, tutto è in alto mare e tutto ancora da filtrare e convalidare con prove provate. Non era ancora accaduto tra Ankara e Istanbul un repulisti di simili proporzioni. La Turchia appare come mai spezzata nelle sue due anime.
L.Europa, già oscillante e perplessa, con milioni di immigrati anatolici non integrati nelle banlieues di Berlino, di Parigi, di Stoccolma, si trova di fronte un.autentica spaccatura della storia moderna della Turchia, una dissoluzione e denigrazione a base di manette e di carcere degli epigoni, non sappiamo fino a che punto colpevoli, dell.élite turca che da tre quarti di secolo aveva puntato quantomeno sull.europeizzazione tecnica, se non sull.
occidentalizzazione civica, del grande e tumultuoso Paese ondivago tra noi e l.Asia. Sapremo meglio, fra qualche tempo forse meno breve del previsto, se i turchi, superando o sfasciandosi sotto al gravissimo scontro istituzionale, saranno in grado di varcare lo Stretto dei Dardanelli o se invece resteranno definitivamente di là, attaccati alla loro dolce matrigna asiatica.
G.C
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